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Perché l'addio al Franco Cfa potrebbe essere una svolta per l'Africa

ABIDJAN, IVORY COAST:  An employee of the national agency of the BCEAO (Central Bank of West African States) collects a 1992-edition banknotes, 15 September 2004 in Abidjan, on the first day of the campaign to replace old banknotes with new ones across the eight countries of the Economic and Monetary Union of West Africa. Come January 1, some 850 billion CFA francs (1.3 billion euros) in bills from the 1992 series will no longer be considered legal tender in Senegal, Mali, Ivory Coast, Burkina Faso, Niger, Togo, Benin and Guinea-Bissau.   AFP PHOTO ISSOUF SANOGO  (Photo credit should read ISSOUF SANOGO/AFP/Getty Images)
ABIDJAN, IVORY COAST: An employee of the national agency of the BCEAO (Central Bank of West African States) collects a 1992-edition banknotes, 15 September 2004 in Abidjan, on the first day of the campaign to replace old banknotes with new ones across the eight countries of the Economic and Monetary Union of West Africa. Come January 1, some 850 billion CFA francs (1.3 billion euros) in bills from the 1992 series will no longer be considered legal tender in Senegal, Mali, Ivory Coast, Burkina Faso, Niger, Togo, Benin and Guinea-Bissau. AFP PHOTO ISSOUF SANOGO (Photo credit should read ISSOUF SANOGO/AFP/Getty Images)

Otto paesi si accordano per abbandonare la moneta nel 2020 e adottare una nuova valuta: l'eco. Una grande partita economica e geopolitica tra Francia e Cina. Ne abbiamo parlato con Ndongo Samba Sylla

ABIDJAN, IVORY COAST: An employee of the national agency of the BCEAO (Central Bank of West African States) collects a 1992-edition banknotes, 15 September 2004 in Abidjan, on the first day of the campaign to replace old banknotes with new ones across the eight countries of the Economic and Monetary Union of West Africa. Come January 1, some 850 billion CFA francs (1.3 billion euros) in bills from the 1992 series will no longer be considered legal tender in Senegal, Mali, Ivory Coast, Burkina Faso, Niger, Togo, Benin and Guinea-Bissau. AFP PHOTO ISSOUF SANOGO (Photo credit should read ISSOUF SANOGO/AFP/Getty Images)
Il 29 giugno ad Abuja, capitale della Nigeria, durante il summit dei capi di Stato della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale è stata annunciata la nascita di eco, la nuova moneta unica che già dal 2020 potrebbe sostituire il franco Cfa in Africa occidentale. Il condizionale è d’obbligo visto che il progetto d’integrazione monetaria - che coinvolge 15 paesi della Cedeao, di cui otto della zona Cfa e sette no - è stato lanciato nel lontano 1983 e da allora è stato più volte ripreso e abbandonato su pressione della Francia. L’ex potenza coloniale detta ancora legge in questa regione e non vuole perdere il dominio sul proprio “giardinetto africano”.

La questione, oltre che economica, è di natura geopolitica visto che il controllo sul commercio africano garantisce un’egemonia schiacciante da parte francese. Da qui l’interessamento di nuovi concorrenti continentali, primo fra tutti la Cina, la cui moneta potrebbe fungere da garanzia di stabilità per l’eco. Geopolitica monetaria che potrebbe cambiare velocemente gli equilibri africani e non solo.

Dell’importanza economico-strategica di tale iniziativa, L’Espresso ha parlato con Ndongo Samba Sylla, direttore del programma di ricerca in economia e sviluppo alla Fondazione Rosa Luxemburg di Dakar. Insieme alla francese Fanny Pigeaud, l’economista senegalese ha appena pubblicato in Italia il libro “L’arma segreta della Francia in Africa: una storia del franco Cfa” (Fazi Editore, 2019), una pietra miliare dell’attuale dibattito attorno a una delle ultime monete coloniali ancora esistenti al mondo.

Su cosa si sono messi d’accordo i capi di stato della Cedeao riuniti ad Abuja?
«Come preliminarmente riportato dal rapporto del comitato formato dai ministri delle Finanze e dei governatori delle banche centrali della Cedeao, che si è riunito a fine giugno ad Abidjan, in Costa D’Avorio, è stata raggiunta un’intesa sul nome della nuova moneta e sulla volontà di dotarsi di una banca centrale di tipo federale, di cui però non sono ancora stati precisati i dettagli. La Comunità non è ancora una federazione politica. Ad Abuja è stata anche presa la decisione formale di dotare la “zona eco” di un regime di cambio flessibile per mantenere un dato livello d’inflazione, anch’esso non ancora specificato. Quello che ancora non è stato trovato è un accordo sul simbolo della moneta unica, oltre al fatto che nessuno dei 15 paesi della Cedeao è riuscito a soddisfare i criteri di convergenza, i paletti economici fissati nel 2018 per far parte della futura valuta comune, come ad esempio i criteri sul deficit pubblico e sull’inflazione. Propositi non tanto precisi né rigorosi. In sostanza i dirigenti africani hanno confermato il proprio attaccamento di massima al progetto di moneta comune, sostenendo che gli stati che saranno pronti potranno lanciare l’eco nel 2020».

Secondo lei l’orizzonte del 2020 è realistico?
«Per nascere la nuova valuta ha bisogno di rettifiche costituzionali importanti in molti paesi. Anche per questo il rapporto ministeriale della Cedeao, che riporta un ampio ritardo già accumulato, fissa un piano di convergenza previsto per il periodo 2019-2024. È perciò prematuro, a mio avviso, parlare della fine del franco Cfa nel 2020».

Quale valore simbolico e geopolitico assumerà la futura adozione della moneta unica eco per l’Africa occidentale?
«Se riusciremo a mettere in pratica un progetto di moneta unica per i 15 paesi dell’Africa occidentale sarà un passo determinante per l’integrazione africana. Ultimamente nella regione il dibattito e i movimenti per l’abolizione del franco Cfa stanno prendendo sempre più piede. Molte persone in Africa francofona sperano che la moneta unica della Cedeao sarà l’occasione giusta per mettere fine alla vergogna del Cfa. Intellettuali e militanti panafricanisti non aspettano altro che farla finita con questa moneta coloniale. Sul piano simbolico e politico l’arrivo di eco sarà estremamente importante per l’emancipazione dalla potenza francese che ancora domina la regione».

Secondo lei i paesi africani sono pronti a slegarsi economicamente e politicamente dalla Francia?
«Nel 2017 il presidente nigeriano Muhammadu Buhari ha detto chiaramente che la Nigeria non accetterà mai di entrare nella zona eco finché gli otto paesi che utilizzano il Franco Cfa non forniranno un piano di divorzio dal tesoro francese. Era il 2017 e fino a oggi nessun capo di stato regionale ha fornito garanzie in merito. Durante una recente visita in Francia il presidente del Ghana ha dichiarato che ci sono dei blocchi da parte del Tesoro e della Banca di Francia e che perciò sarà difficile per gli otto paesi della zona Cfa smarcarsi dall’ex potenza coloniale francese. Diversi capi di stato africani - come il presidente della Costa D’Avorio Alassane Ouattara o il suo omologo senegalese Macky Sall - quando vanno in Francia elogiano il Cfa come un’ottima moneta “african”, mentre quando sono in Africa dicono che stanno lavorando per l’avvento dell’eco, senza però avere ancora fatto nessuno sforzo per soddisfare la richiesta della Nigeria».

In effetti il presidente del Senegal, da sempre locomotiva economica ed esempio per i paesi francofoni regionali, ha disertato il summit di Abuja preferendogli il G20 in Giappone.
«Macky Sall ha lanciato un messaggio molto chiaro: il Senegal non ha nessuna intenzione di abbandonare il franco Cfa. È una mera questione di volontà politica, perciò non serve dotarsi di una moneta unica se non si ha il desiderio di unirsi politicamente, cioè ad esempio avere una stessa politica budgetaria, di gestione delle materie prime e d’industrializzazione in tutta la regione. Esattamente come è già successo per l’euro. Continuiamo a essere schiacciati fra la dominazione francese e l’unica opzione che ci viene presentata per smarcarci da tale sudditanza post-coloniale: una tecnocrazia cieca e velatamente autoritaria, sul modello della Banca centrale europea. Bisognerebbe invece avere una prospettiva realmente progressista e democratica per dire che anche noi possiamo dotarci di una gestione monetaria virtuosa senza dover per forza sostituire la dominazione francese con altri poteri simili se non peggiori».

In termini di “geopolitica monetaria”, una forma sempre più importante di soft power esercitato dalle superpotenze mondiali nei confronti dei paesi in via di sviluppo, quali scenari si aprono con l’avvento della moneta unica eco?
«Le grandi potenze mondiali si preoccupano del futuro monetario africano e hanno dei piani strategici che riguardano il continente. Ciò che permetterebbe il pieno controllo delle economie africane è proprio l’aspetto monetario, il solo che può dare a relazioni già esistenti una portata esclusiva. In materia di commercio, d’investimenti e di finanza, la Cina gioca già un ruolo determinante in Africa. Dal punto di vista economico e finanziario è recentemente diventata il primo partner commerciale, davanti alla Francia, dei paesi della zona Cfa. A questo va aggiunto che il dollaro è la moneta del commercio internazionale, per questo continua a giocare un ruolo centrale nelle transazioni fra l’Africa e il resto del mondo. Se si guarda ai pagamenti intercontinentali africani, ci si accorge che il 45% di questo flusso di denaro è in dollari. Un’anomalia, visto che il Nordamerica rappresenta solo circa il 10% dei pagamenti africani. La maggior parte del commercio con l’Asia, quindi, viene scambiato in dollari. Alcune potenze asiatiche si stanno ribellando a tale logica e vorrebbero smarcarsi dalla moneta americana. La Cina, per esempio, oggi si rivolge direttamente alle banche nazionali di alcuni paesi come la Nigeria, per trovare una forma di collaborazione monetaria che possa bypassare le transazioni in dollari, accettando reciprocamente lo yuan e la naira come monete di riserva. Per fare questo Pechino non utilizza i canali regionali o multinazionali, come la Cedeao, ma preferisce gli accordi bilaterali. È che la Cina stia cercando di riorganizzare questi flussi monetari per emanciparsi dal monopolio del dollaro. Il paradosso è che invece gli stati africani non abbiano ancora provveduto a dotarsi di accordi simili fra di loro per favorire lo scambio di valuta straniera nel commercio intra-africano. Molto presto la Zona di libero scambio continentale sarà operativa ma non ci siamo ancora dotati di una moneta unica né di un accordo monetario per superare i rapporti egemonici con l’euro, il dollaro e lo yuan».

Che ruolo gioca la Cina in questa partita per l’egemonia monetaria e geopolitica in Africa?
«Le relazioni e gli investimenti cinesi in Africa stanno crescendo in maniera esponenziale. Pechino ha capito che il suo avvenire economico è fortemente legato all’Africa e cerca di prendere vantaggio, anche sul piano monetario, sugli altri attori internazionali. Ma i negoziati attorno all’eco restano opachi, trapelano solo voci, come quella dell’attaccamento allo yuan cinese. Il rapporto dei ministri dell’economia della Cedeao parla di una “valuta flessibile”, cioè non legata ad altre. Se invece l’eco verrà ancorato a un’altra moneta non africana allora verrà riproposta l’ipoteca sulla sovranità monetaria che viviamo oggi col franco Cfa. Se così fosse ci staremmo preparando a trasformare l’Africa occidentale in un accessorio monetario della Cina. Cosa che non credo accadrà, perché gli stati africani come la Nigeria - prima economia dell’intera Africa - non lo permetteranno».

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