Da Agrigento a Siracusa, da Piazza Armerina a Selinunte, il sistema dei parchi della regione sconta gravi ritardi. E, tra cambi di vertice e mancanza di esperti, sono a rischio anche le esperienze migliori

Così affondano i tesori archeologici della Sicilia

Rovine romane a Tindari

Sicilia. Isola da sette patrimoni dell’umanità, 167 aree archeologiche, 250 musei, migliaia di reperti. E una sola restauratrice. «Sento la responsabilità, certo. E anche la solitudine», racconta Lorella Pellegrino, in servizio dal 1984, impegnata in questi giorni a preparare il progetto che salverà le armi millenarie ritrovate al largo di Levanzo, i rostri della battaglia delle Egadi. Mentre studia come proteggere la prova concreta della vittoria di Roma su Cartagine, così, Pellegrino deve attraversare l’isola per controllare le opere date in prestito alle mostre, cercare di far rispettare i piani per la manutenzione, confrontarsi con i soprintendenti sulla salute di mosaici e Kouroi.

La solitudine della funzionaria restauratrice, insieme alla sua ostinata passione per la materia, sono forse l’esempio migliore per capire la consistenza della nuova politica di grandi vorrei dei beni culturali siciliani. Da mesi è infatti in corso una ridda di nomine e organigrammi che sembra promettere molto. Senza fare però i conti con quello che è forse l’aspetto centrale della tutela: la competenza. La girandola di novità si celebra infatti sul deserto sempre più esteso di esperti. In una regione che scoppia di dipendenti pubblici, il personale preparato a salvaguardare nel concreto le meraviglie della storia è al minimo, denunciano professori e associazioni.

Archeologia
La Valle dei Templi non deve morire
8/8/2019

Prima il cambiamento. Vent’anni fa una legge regionale sanciva l’istituzione di venti aree archeologiche autonome. Era una norma innovativa, pensata per dare responsabilità ai funzionari e proteggere dagli speculatori le terre che circondano i templi. È rimasta inattuata per lustri. Nonostante lo sforzo di alcuni assessori, il sistema dei parchi non è mai partito. Fino a marzo di quest’anno: quando il governatore Nello Musumeci ha reso effettivo il piano, seppur in versione snellita, dando il via finalmente a 14 parchi autonomi. Alcuni di questi funzionano già da alcuni anni (la Valle dei Templi di Agrigento, Selinunte), altri diventeranno tali solo grazie al nuovo corso (come Tindari o Siracusa).

È un rinnovamento che promette risultati. Al centro sta l’autonomia finanziaria e amministrativa: ovvero la possibilità di trattenere gli introiti di biglietti, guide e servizi, usando i fondi direttamente. La convinzione è che la necessità di fare i conti in proprio porti a interventi migliori per i monumenti. A quattro mesi dalla tragica scomparsa dell’ex assessore, l’archeologo Sebastiano Tusa, inventore di eccellenze mondiali per la Sicilia come la Soprintendenza del Mare, il governatore ha completato così la sua volontà. Trattenendo però ad interim la carica, per stabilire anche i nomi di chi sarà chiamato a dare corpo a questa novità. In quattro mesi Musumeci ha pubblicato così una tale quantità di designazioni che sul sito ufficiale della regione i documenti sono registrati solo in pdf, senza timbro né firma.

«C’è stata una gran fretta di decidere ruoli e incarichi», osserva critico Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia, pronto a dar battaglia anche in tribunale per quelle che ritiene «vere e proprie forzature, come l’aver chiamato il consiglio dei beni culturali ad approvare tutti i nuovi parchi in un solo giorno». Assegnandovi poi i posti di comando. La fretta corrisponde, secondo Musumeci, alla necessità di «far turnare» i dirigenti in scadenza. «Ho voluto dare un segnale di immediata operatività», ha dichiarato alla stampa: «mettendo in atto una rotazione nell’ottica che tutta l’amministrazione non deve considerare la propria posizione un fatto consolidato. È giusto che spostamenti sul territorio portino linfa vitale, nel segno del movimento delle esperienze e delle conoscenze. Abbiamo il dovere di dare efficienza e accoglienza ai siciliani e ai milioni di visitatori che accedono ai nostri luoghi di cultura».

Per scegliere i nuovi alfieri della tutela, il governatore si è basato esclusivamente su questa rotazione. Nessun bando internazionale, nessuna selezione esterna, come avvenuto nel resto d’Italia dopo la riforma Franceschini. In Sicilia i beni culturali sono competenza regionale e regionali restano anche i vertici. Certo: il dipartimento ha un’abbondanza di titolati fra i quali scegliere. Ai beni culturali isolani sono censiti ben 147 dirigenti. Pochi meno di quanti ne conti l’intero ministero per il resto del paese. È l’esito di una legge record che promosse migliaia di funzionari in blocco. Livellandone però le competenze. E qui si apre la faglia.

L’ultimo bando per l’assunzione di tecnici, laureati in archeologia, restauro, archivistica o storia dell’arte risale al 2000. Metteva a gara centinaia di posti che sarebbero serviti a diventare la struttura (in parte enfatica) dei servizi per la cultura in Sicilia. Arrivarono oltre 300mila aspiranti. Ma i vincitori di quel concorso non sono mai stati assunti, o quando sono riusciti a entrare, si sono visti declassati. Alcune graduatorie infatti sono rimaste bloccate per anni in un labirinto di cavilli. I restauratori ad esempio saranno integrati solo adesso, dopo l’ultima sentenza che li ha visti vincitori a marzo, a 19 anni dal bando. Molti di loro sono ormai vicini alla pensione.

«Una condizione che riguarda gran parte del personale tecnico del sistema siciliano», spiega Chiara Portale, professore di Archeologia all’Università di Palermo, firmataria insieme a diversi colleghi di una lettera aperta alla Regione in cui si segnala come su 14 parchi archeologici, solo sei saranno guidati da archeologi. «E la questione delle competenze non riguarda tanto i vertici», continua: «quanto le strutture su cui possono contare. A Selinunte, ad esempio, con i suoi grandiosi templi per i quali sono necessari piani specifici, non ci sono funzionari archeologi. Zero. E così anche in altri quattro parchi di straordinaria importanza: Piazza Armerina, Siracusa, Tindari, Gela».

L’assessorato può contare su lunghe liste di impiegati. Ma non su chi ha studiato per conoscere e valorizzare le antichità. «Ai dirigenti potrebbero anche bastare le capacità manageriali. Ma a parte alcune preziose eccellenze, nella gran parte dei casi mancano pure quelle», ragiona aspro Leandro Janni, presidente di Italia Nostra Sicilia: «I criteri per far carriera sembrano rimasti la flessibilità e l’accondiscendenza al potere politico. Un’eredità servile che dimentica come siano i cittadini i primi e i soli proprietari del patrimonio artistico, non i politici».

Janni è preoccupato, spiega, per la Sicilia centrale e per le aree meno battute dal turismo. Come mostra il progetto di una grande discarica a Centuripe, borgo in provincia di Enna fitto di resti ellenistici. Contro i rifiuti si sono mobilitati in molti: all’ultima manifestazione, l’8 luglio, c’era anche Antonio Natali, l’ex direttore degli Uffizi. «C’è molta più sensibilità», conferma il docente di Italia Nostra: «Penso ai nostri piani paesaggistici, quasi tutti approvati. Ma buona parte del potere regionale cerca di scavalcarli. Si fa di tutto perché esistano formalmente strutture che poi non facciano niente».

La preoccupazione per i luoghi dell’arte “minori” è diffusa. Il modello dell’autonomia sembra funzionare infatti soprattutto per le grandi destinazioni. La Valle dei Templi di Agrigento, grazie alla gestione dell’ex direttore Giuseppe Parello, ha continuato a aumentare visitatori (928mila nel 2018) e incassi, che superano ora i 6,6 milioni di euro. Soldi investiti bene, nel miglioramento dell’accesso, in nuovi itinerari, oltre che prendendo seriamente gli obblighi di trasparenza (sul sito vengono pubblicati i rendiconti in versione dettagliata e semplificata, per essere comprensibili a tutti).

Siracusa, che potrebbe avere la stessa eco, con 680mila visitatori l’anno, fino ad oggi versava al bilancio regionale i suoi cinque milioni di introiti. «Ben vengano quindi le autonomie. Pur che servano a non sperperare i fondi e soprattutto a distribuirli ai monumenti minori, che non fanno cassa», insiste Fabio Morreale, di Natura Sicula, associazione impegnata da anni nella protezione del paesaggio: «Serve manutenzione. Siamo dovuti andare noi volontari a decespugliare il sentiero intorno al teatro romano di Siracusa perché era impossibile passare. Su 24 ettari di parco ne sarà visitabile a dir tanto uno e mezzo. È inaccettabile».

Francesca Spatafora, l’archeologa che è riuscita a rilanciare con la sua squadra il museo Salinas di Palermo, è stata ora mandata alla guida del parco di Himera, Solunto e Jato. Le tre antiche colonie superano di poco i 20mila visitatori: la sfida per riportarle in auge sarà enorme, e poco il tempo (fra un anno dovrà andare in pensione). Una risorsa potranno essere i fondi europei, che fino ad ora la Sicilia ha usato poco o male. Il parco archeologico di Cava D’Ispica, in provincia di Ragusa, stacca 37mila euro di biglietti l’anno ma ha avuto a disposizione un finanziamento di 6 milioni di euro. I lavori sarebbero dovuti finire a novembre 2016. I pagamenti risultano ancora a zero.

«Chi sarà alla guida dei nuovi enti potrà rapportarsi direttamente con i programmi europei, senza dover aspettare farraginosi passaggi in Regione», sottolinea Mariarita Sgarlata, ex assessore ai Beni Culturali, che conosce bene gli ingranaggi della macchina burocratica, da lei descritta in un libro chiave per capire molti ossimori isolani, “L’eradicazione degli artropodi: la politica dei beni culturali in Sicilia”. Per entrare nei canali Ue, serve però trasparenza. Nell’ultimo censimento Istat, pubblicato a gennaio, 140 musei siciliani su 250 rispondevano di non avere rendiconti contabili. Per molti sono d’altronde preoccupazioni secondarie rispetto alla gestione delle emergenze: con l’arrivo dell’estate l’ansia è per gli incendi.

A giugno sono bruciati i prati di fianco al tempio di Demetra a Morgantina, l’anno scorso ettari sacri a Selinunte. Dai dorsi anneriti di Aidone le polemiche sulla successione all’assessorato a Palermo sembrano lontane. Le scommesse continuano a dare in pole Rosalba Panvini, soprintendente prima di Siracusa e ora di Catania, contestata dalle associazioni ambientaliste per autorizzazioni discusse come quella di un enorme bar nel Castello Maniace. Ma ci sono anche Ignazio Buttita, antropologo e professore universitario e Carmine Briguglio, collaboratore dell’ex assessore.

«La questione nomine riesco a seguirla davvero poco», sorride la restauratrice Lorella Pellegrino: «Sono preoccupata per le colonne di Selinunte e per la villa Romana di Durrueli». È un luogo poco noto, mosaici che si buttano nel mare a 800 metri dalla Scala dei Turchi, raccontata in modo immortale da Andrea Camilleri. «Per fortuna ci sono i miei studenti: ogni anno abbiamo cinque giovani che apprendono la pratica al mio fianco. Sono forze eccezionali». Destinate a scappar via.

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