Le due anime conservatrici hanno trovato una nuova forma di alleanza, in Italia e nel mondo. Ora tocca allla sinistra convincere i ceti deboli che stanno appoggiando i propri avversari

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Fatti lontani e vicini di fine 2019. Il Labour è pesantemente sconfitto in Uk sul fronte della questione identitaria (Brexit), dopo una campagna elettorale segnata da menzogne e che ha diviso l’elettorato fra giovani e non-giovani. The Economist annuncia che a ben guardare le disuguaglianze sono (in parte) un’illusione. Il popolo americano non cambia opinione davanti ad abusi e menzogne di Trump, che si prepara a trasformare l’impeachment in un’opportunità. I leader della destra autoritaria italiana lanciano segnali per tranquillizzare. Segni di attenzione del vertice del Pd alla questione sociale e alle azioni radicali con cui affrontarla producono rigetti nel suo gruppo dirigente, forte adesione in molti suoi iscritti. Le piazze italiane si riempiono di persone che parlano di futuro, domandano conoscenza e si oppongono a violenza ed elogio dell’ignoranza. Per chi crede che la giustizia sociale, per noi e per le future generazioni (dunque inclusiva della giustizia ambientale), sia la questione centrale da affrontare e che ciò richieda di riequilibrare ricchezze e poteri - insomma per chi si sente di sinistra - questi fatti offrono tre indicazioni per il 2020: sulle forme di impegno; sulla convergenza delle diverse destre; sui contenuti con cui contrastarle, totem inclusi.

La prima indicazione riguarda le forme dell’impegno per l’emancipazione sociale. Assente di fatto la sponda dei partiti, questo impegno si è a lungo concentrato nelle pieghe della società, rifuggendo dall’“organizzazione” e dall’aspirazione a effetti di sistema. Ora viene in superfice e si misura con “il sistema”, in modi originali. Lo ha fatto costruendo nuovi partiti-movimento, che mirano a forme innovative di organizzazione (M5S in Italia), o metodi partecipativi in partiti spenti (Momentum-Labour in Uk). Lo fa diffusamente in Italia con la costruzione di alleanze fra organizzazioni o comunità territoriali di cittadini attivi, con l’obiettivo di produrre contenuti e proposte e battersi per esse: Alleanza contro la Povertà, Rete dei Numeri Pari, ASviS, Forum Disuguaglianze e Diversità (ForumDD), e molte altre. Ora, a chiedere un radicale cambiamento della gerarchia degli obiettivi e dei metodi della politica e dell’informazione sono anche mobilitazioni diffuse di piazza come Fridays for Future o le Sardine.

Analisi
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Si tratta di forme di impegno assai diverse, con un fattore in comune: il ricorso al confronto territoriale acceso, informato e aperto come luogo di ricostruzione di democrazia. Sono segnate da speranze, sconfitte e vittorie. Se ognuno di noi, coinvolto su uno di questi fronti, saprà trasformare le speranze in maggiore impegno, scoraggiando le aspettative spropositate pompate dagli avversari. Se, affiancando alla passione la capacità di non prenderci troppo sul serio, sapremo superare le sconfitte, respingendo il tentativo di minare la nostra fiducia. Se, consapevoli dei tempi lunghi che richiede il cambiamento del senso comune, non ci confonderemo di fronte a qualche temporanea o apparente vittoria, imboccando inesistenti scorciatoie. Se accanto alla determinazione nel perseguire gli obiettivi, riconosceremo la parzialità del nostro sapere e coltiveremo la costruzione di ponti fra le varie opzioni. Se faremo tutto questo, allora è davvero possibile che le diverse forme trovino uno o più punti di incontro. E che credibilità e impatto crescano nel tempo.

Ma intanto, ecco la seconda riflessione, dobbiamo essere consapevoli che l’azione delle destre sta evolvendo e marcia diritta verso una nuova fase di regressione sociale. Altro che emancipazione! Di attitudini di destra, utilizzando Karen Stenner, ne possiamo distinguere tre, ben diverse. L’attitudine neoliberista, per cui meno disturbiamo il capitalismo meglio è, visto che le sue scelte producono crescita e questa, prima o poi, beneficia tutti. L’attitudine allo status-quo, che predilige la stabilità ed è avversa a cambiamento e incertezze. L’attitudine autoritaria che predilige obbedienza e vincoli ai comportamenti ed è avversa alla complessità.

La dinamica autoritaria in atto - rifiuto della diversità e costruzione di nemici, avversione per elites ed esperti, domanda di comando autoritario - è la manifestazione di quest’ultima attitudine, sollecitata da cambiamenti minacciosi e destabilizzanti del contesto esterno. La destra autoritaria cavalca questa dinamica, in tutto l’Occidente e in una grande democrazia come l’India. Per alcuni anni, la parte prevalente della destra neoliberista ha colto in questa dinamica un rischio per i propri interessi e per la visione del mondo, che comprende libertà di movimento e di parola: lo ha scritto nei suoi mezzi di comunicazione, nei suoi Forum e negli organismi internazionali che egemonizza, e ha assecondato “aperture sociali e ambientali”. Ma, ci dicono le vicende degli ultimi mesi, appena la sinistra ha preso a tirare su la testa nelle forme variegate di cui si è detto, la destra neoliberista si è trovata a fare una scelta. E vediamo così prevalere la tolleranza o una vera e propria intesa de facto con la destra autoritaria. Pur di spiazzare la questione sociale, si è pronti a lasciare che la questione identitaria abbia il sopravvento. È la lezione britannica. Sono i segni di altri paesi Europei, noi inclusi, e degli Stati Uniti.

E siamo così alla terza indicazione: le azioni necessarie per contrastare assieme queste due destre, per convincere i ceti deboli che stanno appoggiando i propri avversari e che la strada alternativa dell’emancipazione sociale è possibile. Per farlo servono certamente proposte concrete e convincenti. Proposte (come quelle del ForumDD) che indirizzino la trasformazione tecnologica a favore della diffusione della conoscenza, di lavori buoni e autonomi e di servizi a misura di ogni persona; anziché della concentrazione monopolistica, di lavori cattivi e non dignitosi e di discriminazioni nell’accesso ai servizi, che sono poi le fonti principali dell’arresto della crescita di produttività nel nostro paese. Proposte che riconnettano giustizia ambientale e sociale, giustizia “fra” e “entro” le generazioni. Proposte che redistribuiscano poteri. Proposte che diano voce e opportunità ai più giovani, indipendentemente dalla loro “fortuna” alla nascita. Per farlo occorre certo ridare allo Stato il ruolo di indirizzo strategico che gli è stato tolto, rivitalizzando e modernizzando i suoi strumenti essenziali (appalti, imprese pubbliche, finanziamento pubblico alla ricerca, regolazione dei mercati) e rinnovando le sue fila. Ma non basta. Assieme al “pubblico”, occorre mettere in campo il “collettivo”: nei servizi di comunità, nelle piattaforme-dati, nel rilancio delle aree marginalizzate, nell’assunzione delle decisioni pubbliche, nel metodo.

Non è più tempo di proposte calate dall’alto. Perché per costruirle serve conoscenza, che è diffusa. E perché concordare con una proposta - come era il caso della maggioranza dei britannici con le singole proposte Labour - non vuol dire pensare che essa verrà attuata e funzionerà, e quindi votare per chi la propone. La reazione istintiva dei più di fronte a ogni intervento pubblico complesso è oggi di sfiducia, una sfiducia alimentata con grandi mezzi dalle due destre. Solo in un “confronto ragionevole”, dove si tenga conto del “punto di vista e delle preoccupazioni degli altri”, questa reazione istintiva può essere superata - ci ha insegnato Amartya Sen. A far cambiare idea sarà di rado la “persuasione ragionata”; assai più spesso la “persuasione sociale”, frutto di mobilitazioni collettive. «Le altre persone - scrive Jonathan Heidt - esercitano una potente forza, capace di farci considerare accettabile la crudeltà e imbarazzante l’altruismo senza darcene alcuna ragione o argomentazione», e dunque capace anche dell’effetto contrario.

Della “persuasione sociale” abbiamo bisogno anche per affrontare l’ultimo e più difficile fronte: la questione identitaria. È qui che la destra autoritaria ha i suoi totem: purezza o omogeneità della razza, della cultura, della lingua; protezione dalla minaccia migratoria; orgoglio nazionalista o etnico. Una parte della destra neoliberista non ama questi totem perché possono intralciare il capitalismo, ma è pronta oggi a conviverci (lo ha fatto l’Unione Europea con Viktor Orban in Ungheria, vedremo ora con Andrzej Duda in Polonia) e ad adattare a essi lo stesso capitalismo, se serve a scongiurare ogni vero riequilibrio di poteri. La sinistra deve affrontare questo fronte con totem altrettanto potenti, ma segnati da speranza e solarità, anziché da scoramento e cupezza. Come non fa più da tempo. “Universalismo”. “Nessuno deve essere uno scarto”. “Dignità del lavoro”. “Giustizia sociale e bellezza”. “Ora le donne”. “Orgoglio della diversità naturale e culturale dei nostri territori”. “Internazionalismo climatico”. “Basta con i giovani costretti a migrare”.

Non sono queste le parole giuste? Allora troviamone altre. Migliori. Attraverso un confronto culturale a tutto campo, dai luoghi di lavoro e di incontro a quelli della filosofia e della poesia. E poi usiamole come bandiere non negoziabili per contrastare le due destre. Insieme al nostro metodo. E alle nostre proposte.