Si chiama Next Generation Eu, non Recovery Fund. E serve a investire sul futuro
La parola "futuro" non compare neppure una volta nei documenti predisposti dal governo per la ripartenza. E sembra che nessuno abbia capito che i fondi europei devono avviare un processo di trasformazione profonda del sistema socioeconomico
Spagna 18 - Italia 0. Francia 18 - Italia 0.
Non sono risultati di partite di rugby, ma il confronto tra il numero di volte in cui la parola “futuro” (futura, future, futuri) compare nei documenti predisposti dai governi dei tre Paesi in preparazione del “Piano di ripresa e resilienza” (Pnrr). Certo, considerando che l’iniziativa su cui verranno erogati i fondi si chiama “Next generation Eu”, l’assenza di tale termine nel Piano italiano appare piuttosto sorprendente. Ma anche drammaticamente in linea con il fatto che in Italia quest’ultimo venga sistematicamente, ed erroneamente, chiamato “Recovery fund”, termine sconosciuto agli accordi europei.
Quando capiremo che questa iniziativa straordinaria dell’Unione europea non serve solo ad aumentare di qualche decimo il Prodotto interno lordo, cioè a rafforzare la ripresa, ma soprattutto ad avviare un processo di trasformazione profonda del nostro sistema socioeconomico? E che questa trasformazione non deve andare a beneficio solo della generazione adulta di oggi, ma far sì che le giovani generazioni abbiano le stesse possibilità di sviluppo e realizzazione che hanno avuto i cinquantenni, sessantenni e ultrasessantenni di oggi? Quando capiremo che quasi il 60 per cento dei 209 miliardi assegnati all’Italia va speso per la lotta contro la crisi climatica e la trasformazione digitale, cioè quelle due azioni più in linea con le aspettative delle giovani generazioni, e non per aiutare questo o quel settore economico a recuperare un po’ del fatturato perso a causa del Covid-19? O dobbiamo aspettare che, come nel caso del protagonista del famoso film di Sidney Lumet “Quinto potere”, arrivi il giorno in cui i giovani ci gridino contro: «Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più»?
C’è ancora un po’ di tempo per porre rimedio alle debolezze del documento italiano. In particolare, il nostro Paese deve saper rispondere alla sfida di immaginare il proprio futuro non solo sul piano dei contenuti, ma anche su quello della governance del processo. In particolare, quattro appaiono le principali debolezze sulle quali le autorità italiane dovrebbero lavorare nei prossimi mesi:
? La coerenza del disegno strategico per realizzare l’Italia del 2030 in un’ottica di sviluppo sostenibile (visione); ? I contenuti dei progetti e delle riforme per cui si chiedono i fondi e la loro coerenza con gli interventi e le riforme finanziate a valere su altri fondi europei e su fondi nazionali (coerenza delle politiche); ? Il disegno delle relazioni tra le istituzioni (nazionali e territoriali) chiamate a programmare, eseguire e monitorare l’attuazione del Pnrr (efficacia della governance); ? La costruzione di un sistema informativo unitario che consenta di descrivere in modo coerente e confrontabile, seguire nel tempo e valutare l’impatto delle azioni previste non solo dal Pnrr (trasparenza delle politiche).
È necessario costruire il “Piano di ripresa e resilienza” a partire da un’idea dell’Italia del 2030, che andrebbe esplicitata con chiarezza, con tanto di obiettivi di carattere economico, ambientale e sociale ben quantificati, per poi derivare i progetti funzionali a raggiungere questi ultimi. Ad esempio, il Piano spagnolo dice chiaramente che si vuole costruire una Spagna «verde, digitale, senza disuguaglianze di genere, coesa e inclusiva» realizzando l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile sottoscritta dai Paesi dell’Onu nel 2015, citata alla sesta riga del capitolo che descrive gli obiettivi del Piano. Non si tratta di un richiamo generico, perché l’Agenda 2030 (mai citata nel documento italiano) impone obiettivi quantitativi chiari e dettagliati, come la Commissione europea sa bene, visto che la Presidente Ursula von der Leyen ha chiesto ai singoli commissari e vicepresidenti di impegnarsi a raggiungerli, ognuno per la propria sfera di competenza.
Come segnalato nel recente Rapporto ASviS 2020 pubblicato l’8 ottobre, in termini di coerenza ed efficacia delle politiche, il Pnrr può essere l’occasione per dotarsi di strutture tecniche capaci di programmare a medio termine le politiche pubbliche, anche per anticipare i rischi di futuri shock e cogliere le opportunità che il futuro porta con sé. Da questo punto di vista, il Governo potrebbe creare, sul modello esistente in altri Paesi, un ente pubblico di ricerca per gli studi sul futuro e la programmazione strategica, come raccomandato dall’OCSE e dalla Commissione europea, a supporto del Governo stesso, del Parlamento e del Paese nel suo complesso. Tale istituto potrebbe mettere in rete le tante competenze di cui l’Italia dispone su tematiche settoriali, dando un respiro pluriennale all’azione pubblica.
Una delle debolezze storiche del sistema istituzionale italiano è l’assenza di procedure di valutazione delle politiche pubbliche. Per migliorare tale situazione, il Governo potrebbe inserire nella Relazione illustrativa di tutte le proposte di legge una valutazione ex-ante (anche qualitativa) dell’impatto atteso sugli Obiettivi e sui Target dell’Agenda 2030 per migliorare la coerenza delle azioni. Parallelamente, si potrebbe affidare all’Ufficio Parlamentare di Bilancio il compito di effettuare valutazioni quantitative dell’impatto atteso sugli Obiettivi dei principali documenti di programmazione e di bilancio, in linea con l’orientamento del Semestre europeo, compresi quelli di attuazione del Pnrr.
D’altra parte, poiché i progetti finanziati dal PNRR, dalle altre risorse comunitarie e dai fondi nazionali metteranno sotto forte pressione la capacità di programmazione ed esecuzione delle Regioni e degli Enti locali, soprattutto in alcune aree del Paese, un’attenzione particolare merita il tema delle politiche territoriali e di coesione. Per ciò che concerne il Mezzogiorno, le missioni proposte nel “Piano per il Sud 2030” mostrano una forte analogia con i principali capitoli del Pnrr. Per questo, sarebbe importante chiarire nel Piano come verrà assicurato il coordinamento delle azioni nazionali, regionali e locali.
Insomma, i mesi a venire vedranno crescere il dibattito sulle scelte che il Governo farà per l’uso dei fondi del “Next Generation Eu” e spero che anche le questioni legate alla governance vengano affrontate con un approccio trasformativo e non conservativo. Come ha scritto Papa Francesco nell’Enciclica “Fratelli tutti”, «il politico è un realizzatore, è un costruttore con grandi obiettivi, con sguardo ampio, realistico e pragmatico, anche al di là del proprio Paese». È di questi politici che, ora più che mai, abbiamo bisogno.