Fabrizio Tirabassi, l'uomo di fiducia di Becciu, era nel cda della società di Gianluigi Torzi

Il dipendente della segreteria di Stato vaticana era anche direttore finanziario in un'azienda del broker. E grazie a questo doppio ruolo ha offerto un contributo decisivo per realizzare l’estorsione che ha portato la Santa Sede a pagare 15 milioni di euro di fatture false. Tra i suoi conti, uno allo Ior di oltre un milione

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Non sarà certamente la seconda ondata pandemica a fermare il flusso investigativo che si è creato intorno all’inchiesta relativa all’acquisto del palazzo di Sloane Avenue a Londra, agli affari di famiglia e non dell’ex cardinale Angelo Becciu, alle indagini sulla gestione delle risorse della cassa della Segreteria di Stato e al tessuto di complicità ed omissioni incrociate che hanno permesso il più grande sacco della storia delle finanze vaticane, un sacco operato distraendo fondi all’Obolo di San Pietro, come dei Robin Hood all’incontrario rubando ai poveri per dare ai ricchi.

L’ultima figura su cui si è appuntata l’attenzione degli investigatori è quella di Fabrizio Tirabassi, dipendente della Segreteria di Stato e titolare di svariati conflitti di interessi. Per raccontare il suo ruolo bisogna partire dal personaggio centrale del sistema che, come raccontato in altre puntate della nostra inchiesta, è Enrico Crasso il quale, assieme ad Alessandro Noceti (finanziere prima al Credit Suisse e poi a Valeur) nel 2012 introduce - come confermano gli investigatori nella rogatoria che trasmettono agli inquirenti svizzeri - Raffaele Mincione negli ambienti vaticani per una possibile operazione nel settore petrolifero in Angola.

L’operazione non andrà in porto e aprirà le danze per l’acquisto del famigerato palazzo di Londra che vede tra i fautori, secondo le carte degli inquirenti, Fabrizio Tirabassi, dipendente della Segreteria di Stato che seguirà tutto l’iter costitutivo di “Athena Capital”, il fondo che rappresenta l’escamotage di Crasso per coprire l’evidenza che per acquisire l’immobile stesse utilizzando fondi vincolati ad altre attività.

Tirabassi, uomo di fiducia del cardinale Becciu, nel giugno del 2013 riceve la segnalazione da Credit Suisse Lugano di un parere negativo espresso intorno alla figura di Raffaele Mincione, parere che viene comunicato anche a Monsignor Alberto Perlasca e rafforzato in seguito da una informativa della Gendarmeria con “elementi reputazionali negativi” a carico del finanziere di Pomezia.

Ma nonostante tutto la Segreteria di Stato continua a fare affari col faccendiere, che le porterà in dote il broker molisano Gianluigi Torzi, il quale con la complicità dello stesso Tirabassi e di Enrico Crasso verrà presentato come il risolutore della controversa operazione londinese. Secondo le carte degli inquirenti, e le evidenze documentali da noi riscontrate, il 27 novembre 2018 Fabrizio Tirabassi entra a far parte del consiglio di amministrazione della Gutt Sa, società dello stesso Torzi, fornendo così un contributo fondamentale per l’estorsione maturata nei confronti della Santa Sede.

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Torzi, infatti, della sua società - che gestiva l’immobile di Londra - aveva appena ceduto al Vaticano 30mila azioni senza diritto di voto, mantenendone 1000 con diritto di voto, una circostanza presente nel contratto di compravendita e che sarebbe stata subito escogitata da Torzi e Tirabassi per rivalersi successivamente in modo ancora più ingente sul Vaticano.

L’impiegato della Segreteria di Stato per gli investigatori non è solamente a conoscenza del piano ma ne è parte attiva, come dimostra la nomina a “Direttore finanziario di classe B” della Gutt Sa che riceverà dalla Segreteria di Stato il pagamento nel pagamento di una fattura “falsa” di 15 milioni di euro, una fattura pagata per servizi non solo mai erogati ma neanche erogabili.

Secondo quanto riscontrato dagli investigatori, il palese conflitto di interessi di Tirabassi e la volontà quasi ossessiva di un altro impiegato della Segreteria di Stato, Monsignor Mauro Carlino, di chiudere l’affare del palazzo è rappresentato dalla necessità di concludere la pratica prima che la vicenda esploda pubblicamente, non solo perché il cardinale Becciu è ormai stato allontanato ma perché il processo di riforma della cassa della segreteria di Stato appare imminente ed è quindi destinata a terminare quella rendita trentennale sia economica che gestionale di cui molteplici attori avevano beneficiato.

Ad esempio è da notare come lo stesso Tirabassi tra i numerosi conto correnti intestati ne abbia uno proprio presso lo Ior che non è mai stato movimentato ma per il quale ha aderito nel 2015 alla voluntary disclosure per cifre superiori al milione di euro.
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Una ricchezza assai sospetta, per un semplice impiegato, e che ci fa comprendere come il pasticciaccio brutto del palazzo di Sloane Avenue sia avvenuto principalmente perché i tanti convenuti intorno al banchetto della cassa vaticana hanno rotto un equilibrio, per il timore di non godere più della copertura necessaria ma anche perché, come qualsiasi «associazione a delinquere» che si rispetti, l’ultimo colpo deve essere quello definitivo, quello in grado di sistemare tutti prima che sia troppo tardi.

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