Continua l'attacco M5S alla libertà di stampa: bocciato l’emendamento che avrebbe sospeso l'editto di Vito Crimi. La direttora Norma Rangeri: «Costava meno del bonus per il sifone delle docce»
“Siamo l’unico quotidiano di sinistra, stiamo per compiere cinquant’anni, siamo più vecchi di Repubblica: ti confesso che mi sarei aspettata almeno il rispetto dovuto all’anzianità.” È un sorriso amaro quello di Norma Rangeri, direttora del manifesto, dove è entrata circa cinquant’anni fa, insieme a una generazione di donne forti, intelligenti e generose che si sono prese di cura del giornale nei momenti di più acuta difficoltà.
Certo non avrebbe mai pensato che a spingere verso il baratro un giornale che, dice la direttora, è ormai “parte della storia di questo paese”, sarebbe stato un governo dove la sinistra è parte preponderante e dove addirittura la delega dell’editoria è in mano a un esponente del Pd, Andrea Martella. Eppure è andata esattamente cosi. Per fare chiarezza riassumo brevemente quanto accaduto. Il governo Conte-Salvini, sottosegretario all’editoria il grillino Vito Crimi, “Il Gerarca Minore” (definizione del geniale Massimo Bordin, anima di Radio Radicale) che conquistò con merito il soprannome in seguito all’impegno profuso nel “far passare i tagli che sono destinati a uccidere una voce di tutti come Radio Radicale e, più in là, a soffocare pesci piccoli della carta stampata, come se si trattasse di una battaglia di libertà, o addirittura un trionfo della democrazia”
come ha scritto Susanna Turco nel maggio 2019, vara una norma amazzagiornali.
Secondo l’editto del “Gerarca Minore” entro il 2022 sarebbero cessati i contributi diretti che riguardano solo testate con certe caratteristiche: 34 cooperative, 10 fondazioni o enti morali non profit e poi 3 giornali di minoranze linguistiche, altri dei consumatori, per non vedenti, italiani all’estero, 114 piccole testate non profit. Tutti questi editori messi insieme impiegano direttamente circa 900 persone: 677 giornalisti più 190 poligrafici e 8 tecnici (tutti a tempo indeterminato e con contratti nazionali). Le copie vendute in edicola sono 71 milioni e in digitale oltre 9 milioni (dati ufficiali Dipartimento Editoria riferiti al 2017).
I contributi effettivamente erogati sono stati pari a 59 milioni di euro.Caduto il Conte-Salvini, il Conte-Zingaretti cambia anche il sottosegretario all’editoria che diventa il dem Andrea Martella: «Come primo atto ho ottenuto il rinvio di un anno del taglio, per lavorare a una riforma organica del settore», spiega all’Espresso il sottosegretario. Siccome però la riforma non arriva anche quest’anno si sarebbe dovuto rinviare il taglio di altri dodici mesi: «L’emendamento che rinviava il taglio l’ho proposto io, ma non è stato approvato per l’ostilità del M5S». Quindi il taglio sarà operativo dal 2022? «Sì, ma siccome il contributo i giornali li ricevono sul bilancio dell’anno precedente, nel 2022 non chiuderà nessuno perché il contributo 2021 è salvo ed inoltre nei decreti sulla pandemia sono stati inseriti ristori anche per questi settori e poi puntiamo a varare una riforma complessiva che elimini per sempre i tagli», risponde Martella. Obietto che, come nel caso del taglio dei parlamentari, prima si taglia e poi si promettono riforme, come quella elettorale, che non arrivano mai : “E chi le dice che non arriverà la riforma elettorale?”, replica l’esponente dem assicurando il suo impegno a salvaguardare “un quotidiano che rappresenta una storia importante, ma anche tutte le altre imprese del settore che, per altro, non hanno protestato”.
Quanto accaduto è paradigmatico di una sinistra anemica e incapace di ingaggiare alcuna battaglia di principio nei confronti del populismo pentastellato: non sul garantismo, non sullo ius soli, non sul taglio ai parlamentari e neppure sulla libertà d’informazione: in una legge di bilancio che ha previsto risorse per ogni lobby e categoria, dai presepi alle bici elettriche, non si siano trovate le risorse per l’editoria. «L’emendamento costava meno del bonus per cambiare i soffioni delle docce», commenta Norma Rangeri. In ogni caso, malgrado le rassicurazioni del sottosegretario Martella, resta agli atti un attacco violento alla libertà d’informazione, guidato da un movimento che, dice la direttora «ha nel suo Dna, la disintermediazione. Per loro i giornali non sono affatto importanti. Da loro ce lo aspettavamo, ma ci aspettavano anche che Pd e Leu facessero una battaglia di principio, che non hanno fatto, per contrastare la filosofia populista che sta dietro ai tagli. Siamo molto delusi, ci rincuora che la nostra community stia reagendo con grande vigore, come sempre nei momenti di crisi e difficoltà”.