Lo scopo dell'inchiesta che segue è raccontare un fatto di cronaca di 390 anni fa. Il risultato dell'inchiesta è che lo sviluppo psicoevolutivo dell'essere umano, a differenza della scienza e della tecnologia, non avviene per anni o secoli ma attraverso le ere della filogenesi (decine di migliaia di anni).
L'evento è la peste di Milano del 1629-1630, come raccontato dagli storiografi Ripamonti, Lampugnano e Tadino, da Manzoni e da altri che per lo più oggi sono fermate della metropolitana o strade.
La risposta dei cittadini, delle istituzioni e della comunità internazionale non è diversa, negli schemi di fondo, da quella data al Cov-Sars-2. Ma ecco il racconto.
A settembre 1629, in piena Guerra dei Trent'anni (1618-1648), i lanzichenecchi di Albrecht von Wallenstein e le truppe di Rambaldo di Collalto scendono in Italia attraverso la Valtellina e la zona del lago di Lecco per sostenere la causa del Sacro Romano Impero, alleato con la Spagna e con i Savoia nella guerra di successione di Mantova e Monferrato.
Gli avversari sono la Francia e la Repubblica Serenissima.
Il 20 ottobre 1629 Lodovico Settala segnala al Tribunale della sanità di Milano che fra il lecchese e la bergamasca, nel corridoio dove sono passati i soldati, vengono segnalati presunti casi di peste.
Settala è il protofisico ossia, in termini moderni, il presidente dell'Ordine dei medici. È nato nel 1552 e ha 77 anni. Quando ne aveva 24, già medico, ha vissuto la pestilenza dell'anno 1576. Ha quindi esperienza teorica e di campo.
Avvertito da Settala, il Tribunale della sanità spedisce un commissario – figura radicata nella storia italiana – a indagare, accompagnato a un medico di Como. I due si fanno abbindolare dal negazionismo locale che attribuisce i decessi alle febbri autunnali e al paludismo o malaria.
Il 30 ottobre, appena dieci giorni dopo l'ispezione, i casi si sono moltiplicati al punto tale che le autorità decidono di controllare gli ingressi entro le mura di Milano, una delle città più popolate nell'Europa del tempo, sviluppatissima nei commerci, con residenti calcolati fra 200 e 250 mila.
I responsabili della sanità redigono una grida per affrontare l'emergenza. Ma il decreto non viene pubblicato per le esitazioni di chi teme conseguenze economiche e le misure restano lettera morta per quasi un mese.
Il 14 novembre i magistrati di sanità fanno un passo in più ed espongono la gravità della situazione al governatore Ambrogio Spinola, rappresentante della corona di Spagna e veterano della guerra delle Fiandre. Il genovese Spinola è impegnato nell'assedio di Casale Monferrato e non solo non presta troppa attenzione al contagio ma peggiora la situazione attivamente.
Il 18 novembre, infatti, il governatore ordina grandi celebrazioni pubbliche per la nascita del primogenito di Filippo IV di Spagna, il principe Carlo. Decine di migliaia di milanesi scendono in strada a festeggiare.
Il 29 novembre, quando finalmente è pubblicata la grida del 30 ottobre, la peste è già in città. Secondo il Tadino, medico prima che storiografo, si individua anche il paziente 1. È un soldato italiano dal nome incerto che combatte con l'esercito spagnolo. Morto lui, vengono bruciati il suo letto e i suoi vestiti. I suoi parenti vengono spediti in quarantena al Lazzaretto che sorge all'incirca dov'è oggi la via omonima, una parallela di corso Buenos Aires nei pressi di Porta Venezia, l'antica Porta orientale.
Le misure di legge sembrano portare qualche esito e l'inverno passa con danni limitati. Le basse temperature dell'inverno lombardo potrebbero essere state meno favorevoli al contagio dato che la peste nelle sue varie forme (bubbonica, setticemica e polmonare) è causata dal batterio Yersinia pestis. Il morbo è diffuso dal ratto, portatore spesso asintomatico. Pulci o zanzare, che d'inverno sopravvivono con maggiore difficoltà, lo trasferiscono all'uomo.
Ma c'è un altro fattore. Nei mesi fra la fine del 1629 e l'inizio del 1630 si è diffuso un senso di omertà da parte di chi ha un parente malato o moribondo e preferisce non denunciarlo per evitare quarantene, sequestri, blocco dell'attività.
Per chi ancora non ha conosciuto direttamente il morbo, consigli e divieti delle autorità sanitarie sono interpretati come limitazioni alla libertà civile e alle necessità lavorative, quando non come vessazioni insensate. I medici Alessandro Tadino e Senatore Settala, figlio del protofisico, vengono insultati per strada. Settala senior, riconosciuto mentre circola per la città con una portantina, viene preso a pietrate e si salva di giustezza perché i servitori riescono a infilarsi nel portone di un amico del dottore.
Mentre il contagio cresce e il Lazzaretto supera la sua capienza massima di duemila posti (arriverà a sedicimila), si celebrano le festività di Pasqua (31 marzo 1630) come se niente fosse. Ad aprile la situazione continua a peggiorare.
lazzaretto-milano-720x0-c-defaultDurante la Pentecoste, in una bella domenica di maggio scelta dai milanesi per una scampagnata fuori Porta orientale nei pressi del cimitero di San Gregorio e dunque del Lazzaretto (stampa accanto), i magistrati cittadini organizzano una messinscena terrificante per scuotere le coscienze.
Fanno sfilare una carretta carica dei corpi nudi di un'intera famiglia sterminata dal morbo nella notte.
La paura, invece di prendere la strada dell'ammaestramento, si incammina verso la superstizione.
Il 17 maggio si sparge voce che qualcuno abbia unto gli assiti del Duomo con materiali venefici. Le panche vengono portate fuori e lavate. È l'inizio della caccia all'untore, approvata in qualche modo dalla grida del tribunale della sanità del 19 maggio che impone di segnalare chiunque abbia un comportamento sospetto.
Nei giorni successivi i momenti di tensione e di violenza si moltiplicano. Un vecchio che spolvera con il mantello la panca della chiesa viene trascinato fuori e massacrato di botte sotto gli occhi dello storico Giuseppe Ripamonti.
È testimoniato oltre ogni ragionevole dubbio che i muri vengono effettivamente imbrattati con una materia giallognola. Non si saprà se questo luridume viene sparso da agenti di poteri stranieri o da semplici imbecilli in vena di scherzi.
Dalla Spagna si denunciano quattro untori francesi che vagherebbero per un'Europa già molto internazionale, a diffondere il morbo come forma di guerra chimica.
Un gruppetto di francesi viene identificato per strada a Milano. Si salvano per miracolo dal linciaggio e, per un miracolo ancora maggiore, vengono assolti dalle accuse.
UnknownL'11 giugno, dopo giorni di pressioni da parte dell'autorità temporale che vuole offrire conforto alla popolazione, l'arcivescovo Federico Borromeo mette da parte le sue perplessità e accetta di guidare una processione alla quale partecipano decine di migliaia di fedeli di ogni classe sociale.
Il corteo parte all'alba dal Duomo con il feretro di San Carlo Borromeo, cugino di Federico. La reliquia viene portata in giro per tutti i quartieri della città, con fermate nelle piazze principali.
La diffusione del contagio dopo la processione nella calca estiva è devastante. Due secoli dopo persino il fanatico cattolico Manzoni, devoto di San Carlo Borromeo e ammiratore di Federico, faticherà a trovare scusanti per il suo amato cardinale.
Poiché però San Carlo non può essere colpevole e monsignor Federico nemmeno, la furia collettiva si accanisce ancora di più contro gli untori.
Il 21 giugno poco prima dell'alba, nel quartiere della Vetra de' Cittadini, l'attuale zona San Lorenzo-Porta Ticinese, “una donnicciola chiamata Caterina Rosa, trovandosi per disgrazia a una finestra” (Manzoni, Storia della colonna infame) vede un uomo che strofina qualcosa contro i muri e denuncia il fatto.
L'individuo sospetto sarà trovato in poco tempo. È Guglielmo Piazza, da circa un mese eletto commissario della sanità. È l'untore ideale proprio perché appartiene alla schiera dei vessatori, coloro che spediscono la gente a morire al lazzaretto. Viene torturato. Non resiste. Denuncia come complice e produttore del veleno il barbiere Giangiacomo Mora, più altri. Settimane di interrogatori feroci e confessioni estorte porteranno all'identificazione come mandante di don Juan Cayetano de Padilla. Grazie ai suoi mezzi, l'hidalgo spagnolo sarà l'unico a salvarsi da un'esecuzione capitale di indimenticabile atrocità.
Unknown-1Con sentenza del 27 luglio Mora e Piazza vengono “messi su un carro, condotti al luogo del supplizio, tanagliati con ferro rovente per la strada; tagliata loro la mano destra; spezzata l'ossa con la rota, e in quella intrecciati vivi, e alzati da terra; dopo sei ore, scannati; bruciati i cadaveri, e le ceneri buttate nel fiume; demolita la casa del Mora; sullo spazio di quella, eretta una colonna che si chiamasse infame; proibito in perpetuo di fabbricare in quel luogo”.
Secondo i censimenti dell'epoca, alla fine della pestilenza Milano conta 64 mila abitanti da 200-250 mila. Tre su quattro sono morti di peste. Fra loro, come sembra altamente probabile, anche il governatore Spinola (settembre 1630).
coronavirusDi quanto raccontato, a distanza di quattro secoli, sono cambiate le technicalities.
La tortura è vietata, come la pena di morte. La peste è un fattore di contagio presente (fra 1000 e 3000 casi all'anno secondo l'Oms) ma controllato grazie agli antibiotici e alla profilassi dopo l'ultima epidemia a fine Ottocento iniziata in Cina e conclusa con 12 milioni di morti.
La risposta psicologica al morbo invece segue le solite fasi.
1.Negazionismo assoluto. Secondo Manzoni (I promessi sposi, cap. XXXI), chi metteva in guardia “veniva accolto con beffe incredule, con disprezzo iracondo”. Insomma, è solo un'influenza.
2.Inizia a circolare la paura, sotto traccia. Timore dei provvedimenti delle autorità sanitarie da parte “della Nobiltà, delli Mercanti, della plebe”. Le nuove norme, che obbligano a cambiare comportamento, sono identificate a costrizioni inutili.
3.Con l'avanzare del contagio il negazionismo retrocede ma ancora combatte con quella che Manzoni chiama “trufferia di parole”. Il lavoro di mistificazione e falsificazione arriva a produrre neologismi: “febbri maligne” e “febbri pestilenti”. Si incomincia però a comprendere che il contagio non è limitato a una categoria di popolazione. In questo caso, i poveri.
4.Non si può più negare la realtà. Allora, in una situazione di panico generalizzato, si cerca di falsificare il nesso causa-effetto. Colpa dei francesi, degli alemanni, degli spagnoli. Infine, colpa degli untori.
L'untore può essere chiunque, allora come oggi. Un alemanno, un cinese, un vecchio. Tutti ma non noi.