Quello sui lavoratori da regolarizzare è stato un dibattito avvilente. Dove il cibo non era più al servizio delle persone, ma viceversa. Mentre i partiti, per mero calcolo politico, hanno giustificato come “utile” ciò che era semplicemente giusto

AGF-EDITORIAL-2763016-jpg
«Disgraziatamente, non tardò a dimostrarsi l’inanità di tali voti, le aspettative del Governo e le previsioni della comunità scientifica andarono semplicemente a rotoli. La cecità stava dilagando, non come una marea repentina che tutto inondasse e spingesse avanti, ma come un’infiltrazione insidiosa di mille e uno rigagnoli inquietanti che, dopo aver inzuppato lentamente la terra, all’improvviso la sommergono completamente. Davanti all’allarme sociale, ormai sul punto di esserne travolte, le autorità promossero in tutta fretta riunioni mediche, soprattutto di oculisti e neurologi», scrisse il premio Nobel per la letteratura, José Saramago, in Cecità, un racconto narrato con fantastica maestria durante un’epidemia. 

L’attuale pandemia del Covid-19, spogliandoci dallo superfluo, ci ha restituito la consapevolezza della fragilità dell’esistenza e della preziosità della vita. Infatti, l’abnegazione del personale medico - impegnato a sottrarre i malati (indipendentemente dalla provenienza geografica e dall’utilità economica) dalle grinfie della morte anche a costo della propria vita - è una nobile testimonianza dell’alto valore della Vita. Accanto a questo encomiabile impegno, è tuttavia avvilente vedere una politica impegnata in un’opera autoreferenziale, sul tema della regolarizzazione, per interessi economici e calcoli politico-elettoralistici, senza tenere conto della salvaguardia della Vita umana. 

Tuttavia, l’Italia di Giuseppe Di Vittorio avrebbe dovuto vedere una politica impegnata, accanto al personale medico, a mettere in sicurezza la vita di tutti gli esseri umani presenti sul territorio nazionale. L’Italia di grandi statisti, architetti della nostra democrazia, avrebbe dovuto vedere una politica coesa nel concedere un permesso di soggiorno per “emergenza sanitaria” (convertibile in lavoro) a tutti quelli che ne sono sprovvisti al fine di permettergli di accedere ai servizi sanitari per la propria sicurezza e di quella di tutta la nostra comunità. L’Italia dei nostri padri fondatori avrebbe dovuto vedere una politica audace, coraggiosa e capace di emanciparsi dalla prigionia del consenso elettorale per il bene di tutti gli Esseri Umani. 

Invece, il nostro grande paese ha assistito ad un dibattito politico sulla regolarizzazione per necessità di braccia al fine di salvare la frutta e la verdura. L’essere umano non deve essere al servizio del cibo ma è il cibo che deve essere al servizio dell’essere umano. Questa teoria della regolarizzazione delle braccia è frutto del paradigma utilitaristico che tende a “mettere i benefici al di sopra dell’uomo”, come sostiene Papa Francesco. In un contesto di guerra contro il Covid-19, un simile dibattito politico, oltre ad essere decontestualizzato, è cinicamente disumano e lede profondamente alla dignità umana. 
[[ge:rep-locali:espresso:285344595]]
Tuttavia, la dialettica politica sulla regolarizzazione delle braccia (da impegnare in agricoltura per salvare la frutta e la verdura) necessità di alcune precisazioni alfine di avere un quadro più chiaro e esaustivo della situazione. A questo riguardo, occorre rammentare che il IX Rapporto annuale del Ministero del Lavoro rileva che l’82% dei lavoratori del settore agricolo sono italiani. Mentre l’11,4% dei lavoratori del settore è rappresentato da lavoratori regolarmente residente in Italia e provenienti in maggioranza da paesi non europei. Il restante 6,5% è costituito da lavoratori comunitari stagionali provenienti dai paesi dell’Est. Nella sua informativa urgente alle Camere del 16 aprile 2020 sulle iniziative di competenza per fronteggiare l’emergenza epidemiologica del Covid-19 la Ministra della Politiche agricole alimentari e forestali sottolineava che «le associazioni [datoriali] ci parlano di una carenza di manodopera stagionale tra le 270 e le 350mila unità» per questa raccolta stagionale. 

A questo proposito, considerato che il governo si sta premurando di fare da agenzia di collocamento per gli agricoltori al fine di assicurare approvvigionamenti alla grande distribuzione organizzata (Gdo), forse si potrebbe pensare di fare una call pubblica (come quella fatta nei mesi scorsi per il personale medico) che precisa le condizioni di reclutamento. Per scongiurare il rischio di razzializare il lavoro della terra (che richiede specifiche competenze), questa call dovrebbe essere rivolta a tutti e non usare i percettori del reddito di cittadinanza denudando il lavoro salariato di dignità. Rispetto all’utilizzo delle braccia di questi percettori, credo sia superfluo rammentare che devono essere impegnati, seconda la declinazione del Ministero del Lavoro, in attività di pubblica utilità. Altrimenti sarebbe bizzarro pagare, con i soldi del contribuente, queste braccia da impegnare in campi privati.

Un altro aspetto sconcertante circa il dibattito politico sulla regolarizzazione è quello legato al tentativo di giustificare al proprio elettorato la necessità di salvare la vita degli esseri umani invisibili. Se occorre giustificare la necessità di salvare una vita umana, temo che dovremo interrogarci sullo stato di salute della nostra umanità. 

Una delle giustificazioni offerte per la regolarizzazione delle braccia da usare in agricoltura è quella di sottrarre i braccianti al caporalato e agli insediamenti rurali. La complessa realtà dello sfruttamento nella filiera agricola (un tema che doveva essere affrontato da molto tempo e che merita di essere approfondito in separata sede) non può essere trattato con semplicismo.

Purtroppo, si rischia di creare in questo modo aspettative che saranno inattese, visto che l’opinione pubblica sensibilizzata si aspetterà la fine del caporalato e degli insediamenti rurali con l’entrata in vigore della regolarizzazione delle braccia. A questo riguardo, vale la pena ricordare che Soumaila Sacko, un bracciante con un regolare permesso di soggiorno, è stato ucciso mentre raccoglieva lamiere per costruire una baracca di fortuna negli insediamenti nella Piana di Gioia tauro (Calabria). Soumaila Sacko, come molti braccianti con un regolare permesso di soggiorno e senza possibilità di essere iscritti all’anagrafe (precludendoli ad avere accesso ai servizi sanitari), vivono negli insediamenti non per mancanza di documenti ma anche per mancanza di soldi. Quindi, se si desidera veramente combattere lo sfruttamento e il caporalato occorre avere l’audacia di rivedere lo strapotere della Gdo come segnala la direttiva Europea 633 del 2019 e l’indagine conoscitiva dell’AgcomM del 2013. Tuttavia, è sorprendente vedere che il ruolo della Gdo continua a essere completamente assente dal dibattito politico sullo sfruttamento dei braccianti. 

Un’iniziativa seria sulla regolarizzazione doveva essere pensata, ponderata, declinata e interpretata in relazione all’attuale contesto di pandemia al fine di proteggere tutti nessuno escluso (anche le vittime dei vari decreti (in) sicurezza ancora in vigore e della legge Bossi-Fini), dal Covid-19.

È complicato pensare di fare il tracciamento della pestilenza, anche attraverso applicazioni sofisticate, se si continua ad avere zone d’ombra nel nostro tessuto sociale costituite da esseri umani presenti sul territorio ma inesistenti per lo Stato. In un contesto di sfida sanitaria un provvedimento di regolarizzazione doveva essere varato per rispondere alle esigenze sanitarie ed essere un punto cardine nella strategia nazionale per tutelare la salute pubblica. Invece, questa regolarizzazione delle braccia decontestualizzata di fatto non ne tiene conto, rischiando così di essere adeguato per la salute pubblica e inappropriato per l’emergenza socio-lavorativa generata dalla pandemia.

Tuttavia, questa regolarizzazione manca di capacità di rappresentare (attraverso una visione che pone al centro dell’azione politica l’essere umano prima ancora di essere un lavoratore) i bisogni, i dolori e le sofferenze degli esseri umani, sia concretamente che moralmente. Purtroppo, tutto ciò rischia di fagocitarci in un disorientamento caratterizzato come quello descritto da José Saramago in Cecità.