Inchieste
maggio, 2020

La guerra di spie tra Usa e Cina all'inizio dell'epidemia di coronavirus a Wuhan

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L'infiltrato nel laboratorio dei virus, la dura reazione del regime. Il dossier segreto condiviso dagli 007 fa risalire i primi contagi a settembre-ottobre 2019: durante uno scontro sul campo senza precedenti. La Cia lancia l'allarme subito dopo Capodanno. Ma Trump continua a credere che sia solo un'influenza

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Quando il pomeriggio del 7 febbraio, ora di Washington, arriva la conferma che a Wuhan il dottor Li Wenliang è morto, a Langley, nel quartier generale della Cia, gli agenti del China-desk si riuniscono subito intorno a un tavolo. Conoscono tutti il fascicolo classificato come “Honey Badger”. Quindi hanno capito al volo in quale maledetta faccenda si è cacciato il mondo. Ma, soprattutto, l’intelligence americana.

Il nome del dossier si ispira sia a un animale impavido, il tasso del miele, sia a un’arma compatta progettata per la difesa personale e le missioni speciali. Ma l’esito è ugualmente catastrofico, perché oggi il bilancio della sconfitta negli Stati Uniti ha ormai superato ogni immaginario storico: ben oltre Pearl Harbour (2.403 morti nel 1941) e l’11 Settembre (2.996 vittime nel 2001), perfino peggio del tradimento a favore di Mosca dell’agente Aldrich Ames, che per anni fino al 1994 ha neutralizzato decine di operazioni segrete. Sono già più di 80 mila, infatti, gli americani uccisi dal virus Sars-CoV-2 ai quali, se consideriamo l’ombrello strategico che un tempo proteggeva anche i Paesi alleati, vanno aggiunti gli oltre 160 mila morti in Europa. Per il futuro della Casa Bianca tutto questo è un incubo che i diplomatici, sottovoce tra di loro, già chiamano Wuhangate, dal nome della metropoli cinese dove la pandemia è cominciata.

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Il 18 settembre 2019, quasi quattro mesi prima dell'annuncio ufficiale dell'epidemia, poliziotti e funzionari dell'aeroporto di Wuhan Tianhe vengono impegnati in un'esercitazione per affrontare «un nuovo caso di diagnosi clinica di coronavirus», in vista dei Giochi mondiali militari che si terranno in ottobre

Ce la raccontano così gli 007 che in quei giorni sui loro computer criptati stanno seguendo la diffusione del coronavirus in Cina. Da quando il Mediterraneo è attraversato dal traffico di armi che alimenta le guerre in Libia e in Siria, tra agenti americani, israeliani ed europei lo scambio di informazioni è una routine. Ma all’improvviso la minaccia più seria non è il terrorismo. Abituati a interpretare gli eventi, la brutta fine ad appena 34 anni del dottor Li è per tutti loro un punto di non ritorno. L’immagine simbolo dell’eroe di Wuhan attaccato all’ossigeno, che sfidando la censura di Pechino aveva denunciato la nuova epidemia, dimostra l’estrema pericolosità del nuovo coronavirus.

Il medico che gli scatta quella foto, nel suo letto in ospedale, vuole che il messaggio sia chiaro: è vero che perfino i sanitari si ammalano, serviranno migliaia di ventilatori polmonari, anche i giovani possono morire. E perché nessuno abbia dubbi, nemmeno tra i colleghi e gli amici più lontani, chiede a Li Wenliang di mostrare la sua carta d’identità. Nessun altro tra la folla di pazienti ricoverati in questi mesi in terapia intensiva, si è fatto immortalare con il tesserino in mano.

Venerdì 7 febbraio però nessun grosso focolaio è ancora scoppiato fuori dalla Cina e i governi hanno le idee confuse. A Langley il problema è convincere la capa, Gina Haspel, il suo predecessore Mike Pompeo, che adesso di mestiere fa il Segretario di Stato e soprattutto lui: il presidente Donald Trump. Ci provano da inizio gennaio. «Ma ai piani alti dell’Agenzia, e così alla Casa Bianca, continuano a credere alle prime informazioni raccolte dalla rete sul campo», spiegano le fonti che abbiamo contattato. Le avrebbe passate un cinese che per lavoro ha accesso al nuovo laboratorio di massimo biocontenimento dell’Istituto di virologia di Wuhan. È lo stesso centro di ricerca sui virus letali che dal 2004 in poi vari governi francesi hanno consegnato alla dittatura di Pechino, come racconta il 25 aprile un’inchiesta di Le Monde.

Il nome dell’agente cinese è ovviamente top-secret. Ufficialmente non appartiene alla Cia. Lavora per la squadra clandestina arruolata a fatica dagli americani tra gli oppositori e la comunità universitaria della città. Anzi, sarebbe meglio chiamarla ex squadra. Ne restano infatti pochi sopravvissuti: il controspionaggio di Xi Jinping, segretario generale del Partito comunista dal 2012 e presidente della Repubblica Popolare dal 2013, da oltre tre anni sta smantellando pezzo dopo pezzo la rete americana, con arresti e omicidi mirati, come racconta già nel 2017 il New York Times: «Uccidere informatori, (così) la Cina ha paralizzato le operazioni di spionaggio americane».

Nemmeno dell’informatore cinese infiltrato nel laboratorio si sa più nulla. Un collaboratore scappato in Australia ipotizza che sia stato assassinato, riferisce chi ha letto il rapporto segreto: «Ma potrebbe essersi rivenduto al regime». Ecco perché la qualità delle notizie che aveva fornito andrebbe valutata con molta attenzione: la Cia non aveva a Wuhan la struttura di cacciatori che potesse ricercare e pedinare il suo uomo per verificarne la fedeltà e l’attendibilità. Adesso però la morte del dottor Li smaschera finalmente le menzogne che l’intera amministrazione Trump ha preso per vere: no, non è il virus di un’influenza, come sostenevano il dipendente del laboratorio e altri informatori in Cina.

Finita la riunione urgente nell’ufficio del China-desk, il capo sparisce nell’ascensore che porta direttamente alla stanza di Gina Haspel. Da ex operativo, ha le idee chiare: per confinare l’epidemia in Cina bisogna adottate le misure di isolamento che nel 2002 hanno impedito di importare dall’Asia la prima epidemia di Sars (Sindrome respiratoria acuta grave), provocata da un coronavirus dei pipistrelli cinesi, di cui l’attuale è un parente stretto. I tempi però sono cambiati: allora la Cina partecipava al debito pubblico degli Stati Uniti con poco più di 50 miliardi, ma a febbraio 2020 lo stile di vita degli americani dipende da Pechino per 1.092 miliardi di dollari. E infatti il nuovo rapporto del China-desk non è stato molto convincente.

Il risultato del passaparola gerarchico dal primo direttore donna della Cia al suo ex capo Mike Pompeo, di cui Haspel era la vice fino al 2018, appare su Twitter addirittura un mese dopo, il 9 marzo alle 3.47 del pomeriggio, quando l’Italia già da diciotto giorni è sotto attacco: «L’anno scorso 30.000 americani sono morti per la comune influenza... niente va chiuso, la vita e l’economia vanno avanti. Ci sono 546 casi confermati di CoronaVirus finora con 22 morti. Think about that!», pensateci.

Gli analisti di Langley intuiscono che il tweet sia rivolto proprio a loro. Chi scrive si firma @realDonaldTrump. È proprio lui: il 9 marzo il presidente crede ancora che sia solo un’influenza. E con appena 201 caratteri Trump trascina gli Stati Uniti nella più grande sconfitta strategica della sua storia. «C’è il fatto che crede assolutamente a tutto: non importa quanto male pensato, mal informato o inaccurato, rimane completamente ancorato a quell’impressione o quel giudizio iniziale», ricorda il politologo americano Micah Zenko sulla rivista Foreign Policy, con un articolo intitolato appunto “Il coronavirus è il peggior fallimento dell’intelligence nella storia americana”.

Il 20 febbraio l’anestesista dell’ospedale di Codogno, Annalisa Malara, fa scoprire il primo focolaio in Italia. E nel giro di qualche giorno, gli americani mettono a disposizione degli alleati quanto sanno sull’origine dell’epidemia. Più che le relazioni ufficiali tra governi, valgono le amicizie personali tra gli analisti arruolati. Dal dossier riservato si scopre così che sono le fonti cinesi a mettere la Cia tra ottobre e dicembre 2019 sulla pista dell’influenza. La notizia arriva dalla rete assoldata nelle università scientifiche di Wuhan. E l’informatore più prezioso è proprio il dipendente del nuovo laboratorio. L’operazione segreta era stata autorizzata durante il secondo mandato del presidente Barak Obama: per spiare il programma di ricerca sui virus dei pipistrelli sostenuto dall’Accademia delle scienze cinese e per verificare le possibili applicazioni militari.

La ricostruzione americana, che abbiamo raccolto da uffici europei che hanno ricevuto il rapporto, fa risalire le prime notizie su una sospetta sindrome respiratoria tra fine settembre e inizio ottobre, comunque prima della festa nazionale che in Cina si celebra il 7 ottobre. In quelle stesse settimane però a Wuhan succede anche altro: il controspionaggio di Pechino attacca e smantella gran parte della locale rete della Cia. Quello che oggi è certo è che l’epidemia si diffonde nella stessa città e nello stesso momento in cui sul campo divampa la guerra tra spie. Langley è costretta ad abbandonare molti informatori al loro destino. E tra loro, ci sarebbe anche il dipendente del laboratorio. Il coinvolgimento dell’Istituto di virologia non significa che il nuovo virus sia una chimera sviluppata artificialmente: è normale che, nel caso di nuovi episodi di Sars in altre regioni della Cina, campioni da studiare venissero portati a Wuhan.

Ma cosa è successo dopo che i controllori americani hanno dovuto abbandonare i loro informatori? «Qualunque sia l’origine, è evidente che sia stato perso il controllo della situazione», osserva un analista: «A quel punto, chiunque tra gli informatori cinesi si sia trovato in pericolo, potrebbe aver agito di propria iniziativa: fino a quando la Cina non permetterà un’ispezione indipendente nei due laboratori di Wuhan, compreso quello di massimo livello di biocontenimento, ogni ipotesi è valida».

Il China-desk a Langley è così disperato che decidono di infilare qualche 007 tra gli accompagnatori degli atleti che proprio a Wuhan, da metà ottobre, partecipano ai Giochi mondiali militari. Ma al loro ritorno, possono solo confermare la sconfitta. Dall’estate la città è in una situazione politica molto delicata. Tra giugno e luglio 2019 migliaia di cinesi manifestano in strada per più giorni di fila. Il pretesto è la costruzione del più grande inceneritore di rifiuti della regione. Le autorità comuniste però vedono già in quei sit-in, che la polizia reprime con cariche e arresti, il contagio della rivolta popolare di Hong Kong o addirittura di piazza Tienanmen, la primavera cinese che nel 1989 la dittatura ha annientato con almeno diecimila morti, secondo documenti custoditi dall’Archivio nazionale britannico recuperati nel 2017 dalla Bbc. Il progetto dell’inceneritore viene sospeso e a Wuhan torna apparentemente la calma. Ma alle spie del partito resta il dubbio tipico dei sudditi di ogni dittatura: la regia esterna. E così parte la caccia a studenti e professori accusati di essere troppo amici degli americani.

Settimane dopo, il pomeriggio del 18 settembre, la polizia di frontiera dell’aeroporto di Wuhan prova il proprio addestramento nell’eventualità di un «nuovo caso di diagnosi clinica di coronavirus»: un’esercitazione per garantire la sicurezza dei giochi militari e del Paese, spiega la versione ufficiale. Il 23 ottobre la Commissione nazionale per la salute cinese nomina un gruppo di esperti per il trattamento dell’influenza. È in arrivo l’inverno. In quegli stessi giorni l’agenda di Trump porta altrove. Il presidente sta usando la Cia per dimostrare il coinvolgimento dell’amministrazione Obama nel cosiddetto Russiagate. Mike Pompeo e Gina Haspel vengono a Roma a cercare prove e l’Italia lascia scappare Sabrina De Sousa, in affidamento ai servizi sociali per il rapimento dell’imam Abu Omar, organizzato dalla Cia a Milano nel 2003. I report da Wuhan nemmeno salgono ai piani alti. Del resto parlano di un virus influenzale, soltanto un po’ più contagioso degli altri. Al China-desk di Langley fanno perfino qualche battuta di pessimo gusto: «Un po’ di cinesi a letto faranno solo bene alla nostra economia». Comunque la stessa versione viene sostenuta fino a gennaio dallo stesso Xi Jinping e dal suo più stretto alleato sanitario, il direttore generale dell’Organizzaione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus.
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Un momento dell'esercitazione su «un nuovo caso di diagnosi clinica di coronavirus» tenuta all'aeroporto di Wuhan Tianhe il 18 settembre 2019, in vista dei Giochi mondiali militari, quasi quattro mesi prima dell'annuncio ufficiale dell'epidemia

A fine dicembre, quando la direttrice del pronto soccorso dell’Ospedale centrale di Wuhan, Ai Fen, viola l’incredibile censura e lancia l’allarme sui nuovi casi di polmonite, poi ripreso via chat da un giovane oculista, il dottor Li Wenliang, c’è ancora tempo per salvare il mondo. A Langley leggono tutto quello che viene pubblicato su Weibo, il social-media cinese: bastano pochi giorni per ricontrollare il dossier e capire che le informazioni raccolte fino a quel momento sono completamente sbagliate. Ma la Casa Bianca è troppo impegnata a organizzare la visita del vicepremier cinese Liu He. Il 15 gennaio Trump annuncia la pace nella guerra dei dazi: «Oggi facciamo un passo enorme che non abbiamo mai fatto prima con la Cina».
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Il post su Weibo.cn del 18 settembre 2019, con la notizia e le foto dell'esercitazione all'aeroporto di Wuhan Tianhe per fronteggiare un nuovo caso di coronavirus, in vista dei Giochi mondiali militari

Un grande passo, sì. Ancora qualche settimana e tre miliardi e novecento milioni di persone in tutto il pianeta non potranno più uscire di casa.

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