Un artista romano inventa una bolla di plastica che protegge dal virus. Tre diciottenni di Cecina realizzano l'app per andare al mare. Con l'emergenza nascono mille idee. E le startup italiane sono sommerse da ordini provenienti da tutto il mondo

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Una luce led, bianca, per illuminare il lungo tunnel della fase 2 dell’emergenza Covid. Anzi qualcosa di più. Un’evidenza certificata da test scientifici: una lampadina che uccide i batteri e i virus che attaccano l’organismo umano. Le sperimentazioni di Biovitae, questo il nome dell’innovazione sanitaria che viene già utilizzata in vari ospedali italiani, sono state effettuate in vitro e in vivo dal Centro di ricerche della Finlandia (VTT) insieme alle Università di Padova e di Pisa, oltre che da test indipendenti realizzati da soggetti industriali.

«L’incontro con gli inventori è avvenuto circa tre anni fa e da allora è iniziato un percorso che ci ha portati a raggiungere risultati inaspettati. Vogliamo dare un contributo per risolvere problemi anche grandi, come l’antibiotico-resistenza, senza modificare le abitudini delle persone e degli operatori sanitari», spiega Mauro Pantaleo, presidente del gruppo P&P Patents and Technologies che ha sviluppato il brevetto di Biovitae e di altri “health devices” nel settore della prevenzione e del controllo delle infezioni.

Un’idea tutta italiana nata dall’intuizione di Rosario Valles e Carmelo Cartiere, ricercatori salernitani che da anni studiano e realizzano soluzioni da applicare in campo medico. «Volevamo trovare un modo di sanificare le superfici senza rendere gli ambienti sterili, salvaguardando così la resilienza naturale del nostro sistema immunitario», spiega Valles. «È importante che la sanificazione sia costante e continua soprattutto in presenza di esseri viventi che sono nello stesso tempo i portatori di microrganismi e quelli che devono essere protetti dai loro attacchi».

Ma come funziona la luce killer di batteri e virus? «La frequenze emesse da Biovitae sono all’interno dello spettro visibile, come le normali luci Led che abbiamo in casa», risponde Cartiere. «Il picco di frequenze agisce sui virus e sul metabolismo di batteri, spore, muffe e funghi e ne provoca la morte. Li distrugge in maniera irreversibile. A differenza della luce UV, è totalmente sicura per l’uso continuo anche in presenza di uomini e animali e non agisce sul Dna».
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Gli studi per misurare il rischio di contagio all’interno degli hub di trasporto ha dimostrato l’efficacia microbicida dei dispositivi di illuminazione Biovitae in un ambiente reale. I test sono stati eseguiti con ottimi risultati nell’ospedale di primo soccorso dell’aeroporto di Roma Fiumicino seguendo i criteri stabiliti dallo studio. E così, una soluzione hi-tech frutto di un brevetto italiano potrebbe essere una delle principali armi contro il coronavirus nel mondo.

La tecnologia ha permesso di sviluppare app e dispositivi molto utili durante l’emergenza Covid-19 anche in altri ambiti sanitari. E non solo. In Liguria, grazie al lavoro dei ricercatori del Dipartimento di neuroscienze e riabilitazione dell’Università di Genova, in collaborazione con il Dipartimento di ingegneria, un’innovazione altamente tecnologica ha reso possibile, attraverso la telemedicina, le cure riabilitative post interventi restando a casa. Una specie di calza hi-tech, approvata dal Ministero della Salute e dal Comitato etico regionale, che indossata trasmette i dati allo specialista in ospedale.

Durante le fasi acute della pandemia medici e ricercatori liguri si sono ulteriormente impegnati per far fronte alle limitazioni imposte dal lockdown. Un impegno riconosciuto anche dall’International Journal of Rehabilitation Research, importante pubblicazione scientifica che ha riportato gli esiti positivi della tele-riabilitazione nel primo caso su cui è stata sperimentata, un paziente affetto da una malattia neuromuscolare ereditaria progressiva, la neuropatia di Charcot-Marie-Tooth, che aveva contratto il coronavirus.

Pur non essendo malato in modo grave, è stato adottato nei suoi confronti il metodo della telemedicina permettendogli così di continuare le cure riabilitative dopo un’operazione alla mano a cui era stato sottoposto a causa dei deficit neuromuscolari provocati dalla malattia. «Abbiamo iniziato a occuparci di tele-riabilitazione cinque anni fa, insieme alle dottoresse Valeria Prada, che è l’autrice della pubblicazione scientifica, e Mehrnaz Hamedani che ha conseguito il titolo di dottore in Ricerca di Neuroscienze proprio sul prototipo che abbiamo sviluppato. L’obiettivo era di migliorare questi sistemi, applicarli alla terapia fisica e renderli fruibili a tutti, grazie ad una significativa riduzione dei costi. Con l’emergenza Covid-19 abbiamo rafforzato gli sforzi», spiega il direttore del Dipartimento, il professore Angelo Schenone, che si divide tra l’università e il Policlinico IRCCS San Martino di Genova dove svolge l’attività clinica.

«Attraverso la calza è possibile valutare i movimenti del paziente neurologico e l’efficacia degli esercizi riabilitativi effettuati a casa. Gli specialisti li seguono da remoto controllando via telematica l’efficacia della rieducazione attraverso i dati forniti dal dispositivo. Qualora ci fossero problemi lo saprebbero in tempo reale», aggiunge Schenone che tiene a sottolineare gli sforzi scientifici suoi e del suo staff per sviluppare tecnologie a basso costo che potessero essere immediatamente trasferite alla pratica quotidiana.

«Le difficoltà sono molte: carenza fondi per questo tipo di ricerca, riuscire a far riconoscere al Servizio nazionale sanitario queste tecniche di assistenza domiciliare, l’utilizzo di piattaforme commerciali pur garantendo la privacy del pazienti, ma facciamo il possibile», conclude il professore.

Se la sanità punta sulla telemedicina per continuare a garantire assistenza a distanza grazie a soluzioni hi-tech, l’innovazione è fondamentale per elevare gli standard della protezione, soprattutto con la ripresa dei contatti sociali e l’esigenza di indossare per molte ore mascherine anti contagio.

Tra le proposte più interessanti quella ideata da una startup siracusana: iMask, senza valvola ma in grado di proteggere attraverso un filtro che utilizza un tessuto di polipropilene, al momento il materiale che offre le prestazioni migliori in termini di protezione e praticità. È lavabile e sterilizzabile per un utilizzo fino a un mese dopo averla indossata la prima volta. Il tutto a un prezzo di 15 euro, per un prodotto riutilizzabile. La iMask ha avuto un tale successo che la società siciliana è stata sommersa dagli ordini (più di 50 mila in una settimana), non è stata in grado di tenere al passo la produzione e ha dovuto sospendere le vendite on line. Il giovane ceo Salvatore Cobuzio ha mandato a tutti i clienti ancora senza maschera una mail in cui spiegava i problemi con «l’eccessivo sovraccarico di ordini».

Di ingegno ed estro italiano, con supporto tedesco, un’altra idea per proteggersi e proteggere dal Coronavirus, una “bolla” di plastica che può essere autoprodotta. Si chiama iSphere ed è un dispositivo dal design tra l’avveniristico e il fantascientifico, più una proposta artistica che una vera e propria invenzione: chiunque infatti può realizzare il proprio casco protettivo e personalizzarlo come meglio crede.

È un progetto open source ideato da un artista romano, Marco Canevacci, sviluppato con la compagna di lavoro Yena Young, fondatori della startup Plastique Fantastique, che assicurano «realizzare iSphere è facile e non costa più di 24 euro. Sul nostro sito è possibile seguire un tutorial per costruire sia quello base sia con le varianti più adatte alle proprie esigenze. E perché no, idearne altre e condividerle», aggiungono i due designer protagonisti di un video realizzato nella metropolitana di Berlino per mostrare il dispositivo.

La tecnologia prende sempre più piede anche nella grande distribuzione, che superato il lockdown punta su metodi alternativi per recapitare i prodotti acquistati dai consumatori. Numerose le aziende che hanno deciso di utilizzare i lockers, “armadietti intelligenti”, per la consegna nella fase post emergenza coronavirus di merce di ogni genere: dal cibo ai medicinali, dagli indumenti alla piccola e media oggettistica.

Per Fulvio Crisci, consulente di una serie di ipermercati e centri commerciali di Roma «gli smart lockers rappresentano una delle ultime rivoluzioni nel settore della distribuzione. Stanno prendendo piede principalmente nelle grandi città, sia grazie alle aziende di e-commerce che alle catene di supermercati. In sostanza si tratta di contenitori chiusi, in alcuni casi refrigerati, che i clienti possono sbloccare attraverso le app installate sui telefonini e un codice per il ritiro di quanto acquistato, dalla spesa ai pacchi. Il tutto nella massima sicurezza e praticità», assicura il manager romano.

E l’utenza sembra gradire. Dall’avallo (lo scorso 29 aprile) da parte dell’Autorità garante delle comunicazioni alla modalità di consegna, definita dai commissari «la più adatta ad uno scenario di distanziamento fisico prolungato nel tempo», la diffusione e l’utilizzo dei lockers è cresciuta in modo esponenziale.

Dal commercio alle attività ricreative, le app ai tempi di pandemia sembrano essere la soluzione ideale ai problemi legati ai contatti sociali di ogni genere. Sicché anche andare in spiaggia potrebbe diventare sempre più “digitale”. Tanti i servizi che permettono, già oggi, di prenotare l’ombrellone grazie a delle semplici applicazioni, sistemi fruibili attraverso gli smartphone o i tablet che aiuteranno i gestori degli stabilimenti balneari a tenere sotto controllo l’afflusso dei bagnanti, scongiurando assembramenti, e i clienti a evitare attese e inconvenienti come arrivare e non trovare il posto.

Si va dall’app Summerly, ideata da tre studenti di Cecina, i diciottenni Filippo Boni, Saul Giovanni e Boccini Urso, utilizzabile sia per l’accesso agli stabilimenti privati che alle spiagge libere, all’applicazione della startup “Beachxperience”, legata al settore balneare nel suo complesso. La prima permette di sapere se in un determinato lido, o arenile del demanio pubblico, ci siano o meno posti disponibili e prenotare ombrelloni e sdraio. La seconda, oltre a verificare in tempo reale la densità di affollamento di una spiaggia o di un locale sul mare, consente anche l’acquisto dei biglietti dei traghetti.

Chi invece ha un abbonamento stagionale a una spiaggia può avvalersi di “Your beach”, strumento adatto proprio a chi ha il posto fisso in spiaggia e voglia condividerlo quando non lo si utilizzi. Ogni volta che qualcuno lo prenota si guadagnano bonus. Insomma tecnologia e creatività per riprendere le attività quotidiane, da quelle più pratiche al tempo libero.