Attualità
25 maggio, 2020

Il virus nei bilanci delle città: buco di 5 miliardi per i Comuni

Decaro-Appendino-Sala-Orlando-1-jpg
Decaro-Appendino-Sala-Orlando-1-jpg

Turisti azzerati, trasporti pubblici deserti, imposte rinviate. Il covid fa crollare le entrate delle amministrazioni locali. Proprio mentre aumentano le spese per sostenere i cittadini in difficoltà. E gli aiuti promessi dal governo non bastano. Parlano i sindaci

Decaro-Appendino-Sala-Orlando-1-jpg
È l’incubo peggiore per centinaia di sindaci di tutta Italia. Servizi sociali in tilt, negozi, bar e ristoranti a un passo dal crack, asili e scuole al collasso. E per le strade migliaia di cittadini a manifestare disagio, rabbia e paura per un futuro quanto mai incerto. Dopo i mesi della pandemia, con la vita sospesa per arginare il contagio, adesso è a rischio la tenuta sociale del Paese e in prima linea ad affrontare povertà e proteste saranno gli amministratori locali, costretti da settimane a trovare ogni spiraglio per far quadrare i conti. Per i Comuni l’emergenza sanitaria si è ben presto trasformata in una crisi finanziaria senza precedenti. Dai bilanci delle città sono scomparsi introiti per miliardi di euro. Con le imposte sospese, i turisti azzerati e i trasporti pubblici quasi deserti, le entrate sono precipitate proprio mentre aumentavano le richieste di aiuto per le famiglie in difficoltà. E non è ancora finita, perché la nuova normalità di questi giorni, con il mondo che gira con il motore al minimo, rischia di peggiorare la situazione.

Nessuno si azzarda a pensare che nell’arco di poche settimane tutto possa tornare come prima e di conseguenza, anche per i sindaci, la luce in fondo al tunnel sembra ancora molto lontana. In base ai dati elaborati dall’Anci, l’Associazione dei Comuni italiani, la pandemia finirà per costare a città e paesi almeno 3,7 miliardi, quasi il 10 per cento delle entrate complessive. È un’ipotesi ottimistica, perché se la ripresa dovesse tardare, i tecnici disegnano altri due scenari: nel primo le perdite arriverebbero a 5,6 miliardi e nell’ultimo, quello più nero, il virus si porterà via 8,1 miliardi di incassi. Se questi sono i numeri, è facile spiegare l’insistenza con cui nelle settimane scorse i sindaci abbiano bussato alla porta del governo in cerca di fondi. Con il decreto rilancio varato mercoledì 13 maggio le loro richieste sono state soddisfatte solo in parte. Ai Comuni andranno aiuti per un valore di 3 miliardi, a cui vanno aggiunte risorse per circa 500 milioni previste da provvedimenti ad hoc, come per esempio i 158 milioni che dovrebbero servire a compensare in parte i mancati introiti alla voce Imu e i 100 milioni stanziati per far fronte al calo di gettito dell’imposta di soggiorno. Basteranno questi soldi? Difficile, ma la speranza è che in sede di conversione parlamentare l’esecutivo allarghi ancora un po’ le maglie dei sussidi.


«Nelle settimane dell’emergenza abbiamo garantito la tenuta sociale delle città», rivendica Antonio Decaro, primo cittadino di Bari e presidente di Anci. «E adesso», prosegue, «ci aspetta un compito ancora più complesso perché dovremo fornire ai cittadini una rete di sicurezza che li protegga durante questa difficile ripartenza». Non sarà facile, anche perché per alcuni Comuni la crisi di questo terribile 2020 porta nuove incognite a una situazione finanziaria già critica.

«Non ci sono più entrate», va ripetendo Luigi De Magistris, sindaco di Napoli, un municipio che già prima dell’emergenza si trovava in una situazione definita di predissesto dalle norme contabili. Per evitare il crack e di conseguenza il commissariamento, l’amministrazione partenopea deve quindi rispettare un rigido piano di contenimento della spesa. Una mission impossible, di questi tempi. «I tre miliardi promessi dal governo sono del tutto insufficienti», attacca De Magistris. Peggio ancora: il sindaco di Napoli prevede che ci vorranno settimane prima che gli annunci si trasformino in un aiuto concreto. «Solo il 30 per cento arriverà in tempi brevi», dice De Magistris. «Per noi», sostiene, «significa non più di 10-15 milioni, mentre dovremo far fronte a un crollo delle entrate di oltre 250 milioni. Per darci un po’ di sollievo basterebbe allentare le regole contabili sui Comuni in predissesto oppure concedere ai municipi la facoltà di indebitarsi con la garanzia del proprio patrimonio immobiliare». Niente da fare. Il governo ha scelto la strada dei sussidi diretti che però, secondo De Magistris, non bastano.

Anche Torino da tre anni sta cercando di dare un taglio al debito come previsto dal piano finanziario varato dall’amministrazione sotto stretta sorveglianza della Corte dei conti. Adesso però tutto diventa più complicato, perché secondo quanto reso noto dal sindaco Chiara Appendino il capoluogo piemontese perderà almeno 250 milioni di euro, cioè quasi il 10 per cento delle entrate. A Roma il virus potrebbe portarsi via ben più della metà degli introiti della tassa di soggiorno, che da sola, per la città più visitata d’Italia, vale oltre 130 milioni. Se a questa voce si sommano il crollo degli altri proventi tributari, cioè Imu, addizionale Irpef, tassa sui rifiuti e sull’occupazione degli spazi pubblici, il buco nel bilancio del Comune affidato a Virginia Raggi potrebbe superare i 400 milioni.

«I conti del Comune di Palermo possono reggere», garantisce il sindaco Leoluca Orlando. A una condizione, però: «Il governo deve concedere maggiore autonomia nella spesa. Alle amministrazioni locali, dice Orlando, «andrebbe riconosciuta la stessa flessibilità ottenuta da Roma nei confronti dell’Europa». Il capoluogo siciliano, così come altri Comuni, vorrebbe attingere al fondo crediti di dubbia esigibilità, denaro accantonato per far fronte alle multe e ai tributi non incassati. A Palermo questa voce del bilancio vale 100 milioni di euro, su un miliardo di entrate. Intanto, un primo aiuto concreto è arrivato dalla Bei, la Banca europea degli investimenti. «Ci hanno sospeso le rate degli interessi ancora prima che lo facesse Cassa depositi e prestiti», racconta Orlando.

Ricontrattare i prestiti può servire a dare un po’ di ossigeno ai conti, ma i margini di manovra restano a dir poco ristretti se di colpo s’inaridisce il flusso delle entrate. Lo sanno bene a Venezia, città che viveva di turismo e ora è costretta a farne a meno. «Tra imposta di soggiorno, oneri vari, parcheggi, Casinò, contiamo di incassare 115 milioni di euro in meno quest’anno, considerando solo il bilancio comunale», spiega l’assessore al Bilancio, Michele Zuin. Poi c’è il buco dei trasporti pubblici, quello che preoccupa di più. «Stimiamo un calo di 100 milioni di euro di proventi», dice Zuin. È un problema enorme per la città lagunare: per i 75 mila residenti veneziani, di cui 25 mila abitano su isole, i vaporetti sono l’unico mezzo di trasporto possibile. Prima dell’epidemia l’85 per cento delle entrate era garantito dai turisti che pagavano tariffe maggiorate. «Con il lockdown», racconta l’assessore veneziano, «abbiamo messo il 50 per cento dei tremila dipendenti della società di trasporto in cassa integrazione, ma adesso dovremo rimettere le barche in acqua. E questo comporterà altri costi, di benzina e manutenzione». Anche perché con le nuove norme sanitarie un battello che trasportava cento passeggeri ora ne potrà far salire solo trenta.

Il ritorno in massa dei turisti per ora è soltanto una speranza proiettata molto in là nel tempo. Questione di mesi, nella migliore delle ipotesi. Intanto Venezia rischia davvero di affondare in un mare di perdite. Ecco perché, insiste l’assessore insieme al suo sindaco Luigi Brugnaro, serve subito un intervento del governo. Altrimenti c’è il rischio concreto che le città si fermino. «Ma noi non possiamo certo permetterci di tagliare i servizi ai cittadini proprio adesso, quando ce n’è più bisogno», attacca Giuseppe Sala, alla guida di una metropoli, Milano, che prima dell’epidemia era l’invidiata vetrina di un’Italia moderna e dinamica e ora si trova costretta a una faticosa ripartenza, al centro della regione più duramente colpita dal virus. Il capoluogo lombardo, secondo le stime più prudenti, quest’anno arriverà a perdere non meno di 500 milioni, il 15 per cento circa delle sue entrate. Il solo trasporto pubblico vale 240 milioni di incassi in meno. Azzerati anche gli 80 milioni di dividendi attesi da Sea, la società di gestione degli aeroporti di Linate e Malpensa.

«Dobbiamo prepararci a un autunno molto difficile», dice Sala, che chiede al governo maggiore libertà d’azione per i Comuni. Milano ha un bilancio solido, forte di ricche partecipazioni come quella nella società energetica A2A, ma in base alle regole sulla finanza locale non può fare debiti per far fronte alla spesa corrente. E allora per il momento non c’è alternativa ai sussidi dello Stato, i 3 miliardi promessi nel decreto rilancio che dovranno essere divisi, secondo regole ancora tutte da studiare, tra gli 8 mila Comuni italiani. Quei fondi serviranno a traghettare i Comuni oltre l’emergenza. Poi però si dovrà pensare all’Italia del dopo virus.

Virginio Merola, primo cittadino di Bologna, non vuole aggiungersi a quello che definisce il «coro dei lamenti». E spiega che «noi sindaci dobbiamo rilanciare, dobbiamo dare un’idea di gestione e sviluppo dell’Italia». Il capoluogo emiliano punta sul Green Deal, che non è solo uno slogan, ma in concreto significa fondi europei che, sostiene Merola, «potranno avere un impatto sulla vita dei cittadini, se ben gestiti». Fondi che aiuteranno a disegnare un futuro nuovo per le città, costrette a cambiare per dimenticare il virus.

L'edicola

25 aprile ora e sempre - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 18 aprile, è disponibile in edicola e in app