
Sono gli irriducibili dell’evasione internazionale: hanno nascosto montagne di soldi all’estero e vogliono continuare a fregare il fisco. A spese di tutti gli italiani onesti, costretti da sempre a pagare anche per loro. In queste settimane, nelle segrete stanze di banche internazionali, uffici legali, agenzie tributarie e studi di consulenza, si sta giocando una partita miliardaria: per la prima volta, anche gli irriducibili hanno paura di essere denunciati. E stanno arruolando avvocati e professionisti per valutare i rischi. Limitare o azzerare i danni. E magari continuare ad evadere.
L’Espresso ha partecipato a una serie di incontri e teleconferenze tra esperti italiani e stranieri, che svelano i retroscena delle manovre in corso nei paradisi fiscali. Sono seminari di studio per addetti ai lavori, simili a corsi di formazione per avvocati e consulenti chiamati ad assistere i milionari con i soldi all’estero. Dietro ai tecnicismi, domande e risposte fotografano casi concreti: il mio cliente con il conto in Svizzera rischia davvero di finire nei guai? Se viene inquisito, può chiedere un condono? E se ha spostato i soldi a Dubai o nel Delaware, l’agenzia delle entrate può scoprirlo? In generale, le risposte dei tecnici disegnano un quadro che viene confermato dai magistrati milanesi più impegnati nella lotta all’evasione: la partita fiscale è internazionale, si gioca con regole diverse in ogni paradiso estero, ma il risultato finale, per l’Italia, dipende soprattutto dalla Svizzera.
Dove gli esperti, riuniti nei seminari organizzati ad esempio da Kreston, un colosso della consulenza fiscale, forniscono anche una stima del numero di italiani irriducibili: «più di 100 mila, probabilmente 120 mila». Per provare a misurare quanti soldi nascondono all’estero, si possono usare le cifre accertate da una maxi-indagine della Guardia di Finanza di Milano sulla clientela del Credit Suisse: 13 mila italiani con 14 miliardi oltre confine. Ipotizzando che i tesori dei 100-120 mila irriducibili abbiano lo stesso valore pro capite di circa un milione, si arriva a 100-120 miliardi. Con la stessa pressione fiscale media sopportata dai redditi degli italiani onesti (oltre il 40 per cento), le tasse dovute da questi evasori basterebbero a coprire tutte le spese dell’emergenza coronavirus.
Il problema è che gli irriducibili non vogliono pagare niente. Per anni hanno portato soldi a palate nelle banche estere. E non hanno mai cercato di mettersi in regola. Non hanno approfittato degli scudi approvati dal 2002 al 2010 dai governi di Berlusconi e Tremonti, che offrivano vantaggi favolosi: condono di ogni accusa, anche penale, con la garanzia dell’anonimato, in cambio di un versamento del 5 per cento. E a maggior ragione non hanno aderito alle “voluntary disclosure” varate dal centro-sinistra per far emergere i capitali portati oltre confine fino al 2016: sanatorie più gravose, conformi alle regole internazionali dell’Ocse, con obbligo di autodenunciarsi e pagare le tasse dovute, ma con forti sconti sulle sanzioni.
Proprio i risultati dei condoni passati documentano che la Svizzera, nonostante la concorrenza di decine di esotici centri offshore, è sempre il paradiso fiscale più amato dagli italiani. Le solide ed efficienti banche elvetiche, infatti, hanno custodito circa due terzi di tutti i tesori esteri dei nostri evasori pentiti: più di 70 dei 105 miliardi ripuliti con l’ultimo scudo; e più di 44 dei 66 miliardi emersi con le disclosure.
Da qualche anno, però, in Svizzera è cambiato tutto. Come documentano una serie di lettere spedite dalle più importanti banche, negli ultimi mesi, a migliaia di correntisti italiani. «Gentile cliente, l’agenzia delle entrate ha inoltrato alla competente autorità elvetica una formale richiesta di assistenza fiscale», scrive ad esempio la Banca della Svizzera Italiana (Bsi), nel dicembre scorso, a un sospetto evasore lombardo: «In tale contesto, l’amministrazione federale ha richiesto al nostro istituto una serie di dati sulla sua relazione bancaria». Traduzione degli esperti: caro evasore, il fisco ti ha scoperto e le nuove leggi ci obbligano a collaborare.
La Bsi è la prima banca del Canton Ticino ed è una storica tesoreria per migliaia di evasori italiani. Coinvolta in un maxi-scandalo di corruzione in Malesia, ha subito l’onta della chiusura per violazione delle norme anti-riciclaggio e nel 2016 è stata assorbita nel gruppo Efg. Lettere dello stesso tipo sono state inviate anche da altre banche svizzere, compresi colossi come Ubs. E tra gli evasori italiani è partita un’ondata di ansia. Che spiega i seminari tra legali. Dove capita di sentire un avvocato di Lugano specializzato in fisco e banche, Davide Corti, spiegare che il segreto bancario, per i clienti italiani, non esiste più: «La Svizzera ha firmato una serie di accordi internazionali e si è impegnata a collaborare con le autorità fiscali. E le banche si sono organizzate per rispondere alle richieste, anche per evitare accuse di riciclaggio: non conosco nessun istituto che rifiuti i dati». L’avvocato Corti precisa che «è entrata in vigore una serie organica di riforme: dal 2016 il reato di riciclaggio è stato esteso anche ai proventi dell’evasione; e dal 2017 è diventato operativo lo scambio automatico di informazioni tra agenzie fiscali, per cui l’Italia riceve ogni anno tutti i dati sui conti bancari e altre ricchezze detenute in Svizzera».
Dalle domande e risposte degli esperti, salta fuori anche la contromossa degli evasori: nascondere i tesori prima dell’entrata in vigore delle nuove norme. Manovre eseguite soprattutto in un periodo cruciale: tra il 23 febbraio 2015, data dell’accordo fiscale tra Italia e Svizzera, e il 31 dicembre 2016, ultimo giorno di inviolabilità del segreto bancario. E cosa hanno fatto in quei mesi gli irriducibili? «Hanno scelto quattro vie di fuga», risponde l’avvocato Andrea Mifsud dello studio Mds di Milano, che ha gestito migliaia di voluntary disclosure: «Trasferire i soldi in paradisi fiscali non europei, che non collaborano con l’Italia. Prelevarli in contanti e spostarli materialmente. Intestare il conto a un fiduciario non italiano. Acquisire una residenza fiscale svizzera o comunque estera. Ma nessuna soluzione è immune da rischi». La banca elvetica, infatti, registra i prelievi in contanti e i bonifici verso paesi offshore. E se l’evasore fa sparire i soldi, l’istituto perde ogni remora a segnalare l’operazione: perché rischiare fino a 10 anni di galera per un cliente perduto? Anche la figura del fiduciario ha i suoi limiti: se è uno svizzero, o un professionista straniero già noto, la banca sa che è solo un gestore di soldi altrui. E nel conto resta traccia dei bonifici al prestanome.
Per continuare a godere del segreto bancario, quindi, molti evasori hanno spostato la residenza in Svizzera, Montecarlo o altri paradisi legali. Gli espatriati però devono registrarsi all’anagrafe degli italiani all’estero (Aire). E provare che la nuova residenza è “effettiva”. Per gli italiani onesti, non è difficile: basta mostrare il contratto di lavoro o l’iscrizione a un’università straniera. Valgono anche le bollette del gas e dell’elettricità. Che spiegano un’altra trovata degli evasori: comprare o affittare una casa in Svizzera e pagare un custode perché vada ogni giorno ad aprire i rubinetti e accendere le luci. In un appartamento vuoto.
In queste fiammeggianti disfide fiscali, le lettere delle banche sono come un cerino acceso nel pagliaio. La Svizzera infatti rifiuta le domande di indagini definite «indiscriminate», cioè di pescare tutti i possibili evasori stranieri. Però risponde alle «richieste di gruppo», come spiegano gli esperti, «anche su migliaia di soggetti, purché identificati». E per l’Italia lo spartiacque è proprio la lettera. Il 6 dicembre 2018 l’agenzia delle entrate ha chiesto i dati di tutti gli italiani con due caratteristiche: non hanno risposto alle richieste delle banche svizzere di «dimostrare la regolarità fiscale» delle loro ricchezze; e proprio per questo hanno poi ricevuto la lettera-ultimatum che preannuncia l’invio dei conti al fisco italiano. Gli evasori possono ancora ritardare l’indagine con ricorsi e appelli, ma «senza molte speranze» di bloccarla, come spiegano gli avvocati: «La giustizia elvetica si è già pronunciata a favore delle richieste di gruppo presentate da altri Stati europei». A questo punto cosa faranno gli irriducibili? «Ai nostri clienti consigliamo il ravvedimento operoso», risponde l’avvocato fiscalista milanese Asa Peronace: «Si pagano le imposte dovute, con sanzioni ridotte fino a un sesto del minimo, e si regolarizza il capitale. La riforma del 2019 garantisce l’immunità penale per chi si ravvede prima delle indagini. E forti riduzioni di pena anche per i soggetti già indagati».
In alternativa a questo condono fiscale varato dal governo Lega-Cinquestelle, gli irriducibili possono tentare l’ennesimo colpaccio: trovare un fiduciario-prestanome in un centro offshore impenetrabile. I più gettonati, secondo gli esperti, sono Dubai, l’intramontabile Panama e il Delaware, il paradiso fiscale americano amato anche da Trump. Per non allarmare le banche svizzere, però, conviene far girare i soldi attraverso Malta, Cipro o Montecarlo, paesi europei che collaborano con l’Italia solo a parole. E non sono gli unici, come documenta l’ultimo rapporto della commissione ministeriale per il contrasto all’evasione. Alle richieste di indagini trasmesse dal fisco italiano nel 2018, la Germania ha già risposto in 15 casi su 15, la Svizzera in 25 su 38, gli Stati Uniti solo in 2 su 15. Per Cina, Russia, Turchia, Montecarlo, Emirati Arabi, Isole Vergini Britanniche, Seychelles e Panama, la risposta è zero.
In questa situazione il procuratore capo di Milano, Francesco Greco, coordinatore di indagini fiscali che hanno fatto incassare allo Stato italiano 5,6 miliardi in tre anni, è molto interessato alle lettere-ultimatum delle banche elvetiche. «Gli accordi fiscali con la Svizzera e altri Stati sono importanti e rappresentano il frutto delle pressioni internazionali conseguenti alla crisi finanziaria del 2008: ora l’emergenza coronavirus dovrebbe favorire misure ancora più forti». In Italia, l’esperto magistrato lancia l’idea di una disclosure potenziata: «Con il disastro di questa epidemia mondiale, continuare a nascondere soldi all’estero mi sembra veramente grave. Le precedenti voluntary erano complicate, perché imponevano di calcolare le percentuali dovute dal singolo. Ora anche in Italia abbiamo il reato di auto-riciclaggio. E lo Stato ha un disperato bisogno di risorse. Quindi si potrebbe prevedere un termine breve, tre mesi o poco più, per rimettersi in regola e pagare le tasse. E sanzioni economiche pesanti per chi si ostina a fare l’evasore: la confisca dell’intero patrimonio nascosto all’estero».