Opere prestigiose all'asta sul web vengono vendute non a collezionisti ma a finanzieri senza scrupoli. Che le usano come garanzia per ottenere crediti milionari. E l giro d'affari cresce di anno in anno

Quadri deturpati dalle cifre di vendita all'asta su art-derivatives.com di Paolo Cirio
È riapparso in Kuwait. Il 9 giugno il Wall Street Journal ha raccontato che, fuggiasco, sarebbe riuscito a entrare nel piccolo stato del Golfo nonostante un mandato d’arresto internazionale e processi in corso negli Stati Uniti e in Malesia. Dalla nuova casa a Kuwait City sarebbe già pronto a stringere contratti con la Cina. Niente sembra riuscire a fermare Jho Low, l’uomo d’affari coinvolto in uno dei più imponenti scandali finanziari degli ultimi anni: la frode al fondo di stato sovrano malese per lo sviluppo. Il 1MDB fund era un pacchetto di aiuti pensati per rafforzare la crescita economica e culturale del Paese.

Secondo le autorità americane, Jho Low ed altri gestori sono riusciti a sottrarre in poco tempo oltre quattro miliardi e mezzo di euro, dispersi in un intricato sistema di acquisti dove compaiono classici come diamanti, ville, yacht, perfino un jet. Ma anche investimenti nella produzione di film come “Il lupo di Wall Street” (con una certa ironia). E opere d’arte. Low nega ogni illecito; nel frattempo lo spregiudicato schema, ricostruito dai giornalisti Tom Wright e Bradley Hope nel libro “Billion Dollar Whale”, ha visto implicati top manager di Goldman Sachs e l’ex primo ministro malese Najib Razak.

La crisi causata dal Covid sta scuotendo le economie di tutto il mondo. In Europa si stimano almeno 12 milioni di disoccupati. Negli Stati Uniti oltre 40 milioni di lavoratori hanno chiesto un sussidio di disoccupazione. Se la realtà produttiva e i redditi tremano, le borse corrono al rialzo. Con le banche centrali pronte a spendere per sostenere gli Stati, i grandi operatori finanziari «hanno a disposizione una quantità praticamente illimitata di denaro da investire», come ha scritto Vittorio Malagutti sull’Espresso del 4 giugno: «L’economia globale sembra destinata a convivere con una gigantesca bolla finanziaria». «Non si muovono i prezzi delle merci, ma quelli delle azioni», sintetizzava l’economista Marco Onado.

Ci sono altri record che non accennano a fermarsi: quelli delle opere d’arte. All’inizio di maggio Sotheby’s ha tenuto una vendita online che ha superato ogni traguardo del passato, oltrepassando i 100 milioni di dollari di transazioni via web dall’inizio dell’anno. La grande casa d’aste ha festeggiato con un virtual party d’eccezione il 29 giugno, mentre veniva aggiudicato, online, per 84,5 milioni di dollari un trittico di Francis Bacon “Ispirato all’Orestea di Eschilo”, che partiva da 60 milioni di dollari. Sono certi di tenere a bada le Erinni, si vede, continuando la serie di successi degli ultimi anni. «Sono più entusiasta di Sotheby’s adesso che mai», ha detto Patrick Drahi, il miliardario che ha comprato da poco la società, togliendola dal listino. La casa d’aste francese Druot ha appena aggiudicato per 210mila euro una lettera di Van Gogh a Gauguin, in cui parla delle loro giornate insieme ad Arles, comprese le visite al bordello.
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Le transazioni in sculture, dipinti e video-installazioni sono cresciute di 21 volte dal 2001 al 2008, arrivando oggi a contare più di 65 miliardi di dollari l’anno. «In teoria il mercato dell’arte in quanto tale è molto più importante di quello degli hedge funds», rifletteva dalla sua sede in Lussemburgo il consulente Alain Mestat nel documentario “Follow the paintings”, un’indagine sul riciclaggio di denaro sporco nell’arte. Ma dicevamo della passione per l’arte di Jho Low: il finanziere malese non era solo un collezionista, che aveva comprato tele di Picasso e Basquiat per regalarle all’amico Leonardo Di Caprio (l’attore le ha consegnate ai magistrati per la vendita dei beni sequestrati). Come mostra un’inchiesta di Bloomberg, nel 2014 Low inizia ad utilizzare i quadri che ha acquistato dalle grandi maison come Christie’s e Sotheyb’s - e che tiene nel silenzioso Freeport di Ginevra, l’immenso bunker svizzero che custodisce tonnellate di segreti e di opere d’arte - come garanzia per ottenere prestiti.

Con un tesoro in pittura stimato in 330 milioni di dollari, spiega Low in una mail a un consulente, potrebbe ottenere almeno la metà di soldi in liquidità. Ad offrirgli quell’opportunità è la stessa Sotheby’s. Il reparto servizi finanziari della grande casa d’aste apre per lui un dossier chiamato “progetto Ghepardo”, per la velocità con cui il businessman pretende di avviare la pratica. Il nome di Low, scrivono i manager della società, non deve mai apparire, nemmeno nelle mail. L’accordo viene sottoscritto il 10 aprile per un prestito da 107 milioni di dollari depositati su un conto bancario alle isole Cayman.

Con quei soldi, Low finanzia altri acquisti in arte. Rispondendo a Bloomberg, Sotheby’s ha ricordato di non essere accusata di alcun illecito relativamente all’indagine e ha spiegato di avere un rigoroso programma di controlli sul background dei clienti. All’apertura delle prime inchieste, fra Svizzera e Singapore, e dal 2016 negli Stati Uniti, la stella di Low si è appannata; lui è caduto in disgrazia. Ma la sua storia resta un efficace viatico per addentrarsi nell’opacità del mercato dell’arte contemporaneo, fra società offshore, garanzie sui prezzi, e segretezza.
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Un artista e hacker italiano che vive a New York, Paolo Cirio, ha deciso ora di sfidare proprio questa opacità. Esponendola. Lavorando per mesi su ogni materiale disponibile online, Cirio è riuscito a costruire un database con i registri di oltre 100,000 lotti venduti da Sotheby’s negli ultimi 10 anni. Le foto che vedete in quest pagina sono le opere che ha pubblicato su art-derivatives.com: si tratta di immagini dei lotti venduti, coperti dalla cifra per la quale sono stati aggiudicati. Le nuove opere così create sono disponibili sul sito dell’artista a una frazione del valore commerciale, diventando, come per le azioni, titoli derivati.

Il risultato è insomma una contraddizione, un’azione di disturbo che svela, sfruttandolo, il nucleo triste della bolla speculativa sull’arte: la trasformazione delle opere d’arte in denaro per fare altro denaro. «È ovviamente un problema che mi riguarda da vicino, essendo un artista, che deve vivere del proprio lavoro d’artista», racconta Cirio. «La mancanza di trasparenza sulle dinamiche che definiscono i valori delle opere rischia di rovinare la vita, la carriera, e la possibilità stessa di esprimersi, a un artista», perché quanto velocemente può salire il suo prezzo, tanto velocemente può crollare.

In un sistema chiuso come quello dell’arte, esporsi in modo tanto netto può essere rischioso. Pochi ne hanno il coraggio. Art-derivatives si iscrive in questa sparuta flotta di critiche e riflessioni, dall’interno, sui meccanismi opachi del settore, attraverso un’azione che è sia artistica che politica - l’operazione è infatti anche il lancio di una campagna per una regolamentazione più equa del mercato dell’arte. Nel manifesto che accompagna l’operazione Cirio solleva diversi punti. Il primo è il ruolo delle cosiddette garanzie di terze parti, «una delle pratiche più controverse delle case d’asta perché aumenta la finanziarizzazione e la segretezza» delle attività. Si tratta di contratti attraverso i quali individui o società possono accordarsi con i banditori, comprando le opere prima dell’asta, a un prezzo fissato. Si stima che oltre il 70 per cento dei lotti siano oggi “garantiti”, ricorda Cirio.

È un vantaggio evidente rispetto agli altri partecipanti. E considerando che l’identità dei garanti e i contratti relativi sono coperti dal più stretto anonimato, la possibilità di manipolare i prezzi prima e durante la vendita aumenta. Il secondo punto è quello dei servizi bancari ombra, ovvero la trasformazione dei quadri in pegni per avere in cambio finanziamenti dalle stesse case d’asta, come nella vicenda di Jho Low. È un business che continua a crescere: nel 2017 negli Stati Uniti il valore dei prestiti sulla base di depositi in arte ha raggiunto i 20 miliardi di dollari.

Su art-derivatives.com sono elencati altri aspetti che favoriscono un ambiente malsano: la mancanza di rigore sul problema del riciclaggio di denaro; l’impossibilità di tracciare le transazioni sulle singole opere, perché i quadri non hanno una carta d’identità univoca, una sorta di Id che li segua dalla creazione, e possa quindi restituire una storia delle eventuali speculazioni; l’insider trading; le complesse politiche di determinazione dei prezzi; e infine il rischio che le case d’aste diventino monarchi assoluti del mercato, in monopolio, soprattutto ora che la crisi e le chiusure per Covid stanno indebolendo il mondo delle gallerie.

«Per spiegare com’è diventato il mercato dell’arte mi piace usare quest’immagine: è come andare a giocare a un Casinò dove le macchinette sono truccate», spiega Cirio. «C’è chi vince sempre, e gonfia i prezzi, e poi c’è chi arriva, non è interno ai meccanismi che creano quei prezzi fittizi per manipolare il sistema, e viene spolpato». Sul sito del progetto c’è un Cretto bianco di Alberto Burri in vendita a 6 euro e 80, un centesimo della cifra a cui è stato battuto all’asta lo scorso novembre, per 683mila e 244 euro. L’immagine è però bloccata da quel numero. «Ero in conflitto: sovrapponendo la cifra all’opera, nelle immagini che creo, sto di fatto vandalizzando, le immagini originali. Ma in realtà a vandalizzare queste opere, ho pensato, sono le aste, non sono io. I numeri che le coprono non nascondono niente, anzi: rivelano. Rendono evidente a chiunque come l’arte sia stata schiacciata per diventare uno strumento finanziario. Mostrano a tutti, anche alle persone che non hanno percezione dei i meccanismi che stanno dietro oggi all’attribuzione di valore, quale sia il vero aspetto di quelle opere per chi ci specula».

A febbraio di quest’anno è tornato all’asta uno dei dipinti più riprodotti di David Hockney, “The Splash”, il tuffo in una piscina rigida d’azzurro che è stato venduto per 23 milioni di sterline. L’aveva comprato all’asta nel 2006, per 2,9 milioni di sterline, un finanziere cinese, Joseph Lau, azionista di controllo della “Chinese Estates Holdings”, condannato per corruzione e riciclaggio di denaro a Macao nel 2014. Il problema dei vortici di denaro nero dietro alle vendie di quadri è talmente macroscopico che molti Stati hanno introdotto dei regolamenti per provare a fermarlo. L’Unione Europea ha introdotto normative, adottate da gennaio anche in Italia, che estendono alle gallerie gli obblighi antiriclaggio.

Pure in Gran Bretagna da quest’anno per le transazioni sopra i 10mila euro i venditori dovranno identificare con precisione l’”ultimate beneficial owner” di ogni opera. Il futuro proprietario dovrà avere un nome e una carta d’identità. Non potranno più bastare, in teoria, fumosi indirizzi di società offshore. È un buon inizio. Nel frattempo, online, gli affari continuano alla grande. Un paio di scarpe di Michael Jordan, indossate e firmate da lui nel 1985, sono state appena vendute all’asta per 560mila dollari, superando qualsiasi record per un paio di sneaker d’autore. Una nuova bolla?