Eroina, Fentanyl, antidolorifici. Crescono le morti dovute al consumo di oppiacei. La crisi dura da dieci anni ma la pandemia ha peggiorato le cose. E le vittime sono soprattutto bianchi impoveriti dal lockdown

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Viaggiando sulle strade d’America, capita di vedere chiese sulla cui facciata è appiccato uno striscione sui cui campeggia la scritta: «Qui abbiamo il Naxolone». Il Naxolone è un medicinale per inalazione che si usa per fermare le overdose, per salvare vite. C’è un ambito dove l’epidemia di coronavirus ha colpito gli Stati Uniti in silenzio: le tossicodipendenze.

I dati raccolti dal Washington Post da ambulanze e distretti di polizia parlano di un +29 per cento ad aprile e +42 per cento a maggio. In Indiana l’uso del Naxolone, è aumentato del 35 per cento negli ultimi due mesi. Le case di accoglienza e i centri di assistenza erano chiusi, mentre l’isolamento, il disagio, le paure che il virus ha scatenato, hanno determinato un aumento del consumo.

Sul vialetto che porta all’ingresso di Helping Hands, una centro di accoglienza di Manchester, in New Hampshire, due maschi bianchi sulla cinquantina si salutano. Uno dei due spegne la sigaretta e tira fuori una felpa rossa da un bustone di plastica di quelli dove nelle lavanderie a gettoni infilano i tuoi panni lavati, sorride mostrando i pochi denti rimasti e chiede: «Per caso vi interessa una bella felpa con il cappuccio? Ne ho diverse, cerco di svoltare così, tra qualche giorno dovrò lasciare il mio posto qui e devo mettere da parte un po’ di soldi. Non voglio tornare negli asili per homeless».

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Helping Hands è un ex scuola per soli ragazzi, un edificio in mattoni rossi. Al pianterreno si sentono le voci degli ospiti che si preparano a uscire, durante il giorno chi dorme qui deve partecipare a un programma: «Il nostro è un passaggio, prendiamo gente che esce dal carcere, homeless che vengono da un dormitorio qui dietro l’angolo e non sanno dove andare. Prima di arrivare qui c’è la disintossicazione, poi noi organizziamo un percorso di assistenza di tre ore al giorno per nove settimane», racconta nel suo piccolo ufficio Guy Torgensen, che un tempo lavorava nel distretto hi-tech attorno a Boston e dopo aver cambiato vita dirige il posto: «Avrebbero bisogno di programmi a lungo termine, ma le assicurazioni sanitarie non sono disposte a mantenerli più a lungo, comparano la tossicodipendenza a malattie croniche, come il diabete, dove se cambiano le condizioni si cambiano dosaggi. Con in più il pregiudizio sui “drogati” che sarebbe sbagliato in assoluto ma è insensato oggi perché il 70-80 per cento delle persone passate qui ha cominciato con gli anti dolorifici contenenti oppiacei prescritti dai medici dopo un incidente, un’operazione, uno strappo giocando a tennis».

La assurda “Opioid crisis” che tormenta l’America da un decennio è infatti una crisi indotta dall’industria farmaceutica che ha promosso l’uso allegro di potenti antidolorifici di quelli che in Europa si danno in ospedale a malati terminali. E poi c’è il Fentanyl oppiaceo sintetico con il quale vengono tagliate eroina e cocaina, che è 50-100 volte più potente della morfina e mortale dieci volte di più dell’eroina. A Seattle lo scorso mese si è toccato il record di overdose causate da queste pillole, 10 dollari l’una, e nella contea di Franklin, in Ohio, a marzo ci sono stati 62 casi di overdose mortale. Il medico legale della contea, la dottoressa Anahi Ortiz, spiega sulla sua pagina Facebook: «Non fate mai uso di droghe da soli, abbiate sempre il Naxolone con voi e usate il test per il Fentanyl». Ovvero abbiate con voi un rimedio blocca overdose e cercate di sapere quel che vi iniettate o sniffate. La contea distribuisce gratuitamente Naxolone e test.

Nel 2018 negli Stati Uniti sono morte 67mila persone di overdose e solo il 30 per cento tra questi si era iniettato eroina nelle vene. I dati del censimento raccolti nel 2019 parlano di una popolazione bianca che invecchia, i cui numeri assoluti calano per la prima volta nella storia. La ragione, spiegano gli statistici, è da imputarsi a quelle “Death of despair” (Morti di disperazione) come recita il titolo del saggio di due economisti di Princeton, Anne Case e Angus Deaton, sulla crisi della working class bianca.
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La crisi ha reso necessario indagare sul lavoro fatto da Big Pharma per piazzare i suoi prodotti. A gennaio 2020 l’amministratore delegato della Insys Therapeutics, John Kapoor, è stato condannato a cinque anni per aver corrotto medici in maniera che prescrivessero oppiacei anche a chi non ne aveva bisogno. Più di 30 Stati stanno negoziando con giganti farmaceutici per una compensazione: Big Pharma offre 19 miliardi, alcuni Stati sono d’accordo, altri ritengono sia poco. Sul banco deli imputati anche le catene di farmacie, che distribuivano pillole come caramelle.

La West Virginia, lo Stato più colpito dalla crisi, ha fatto causa ai due marchi più grandi, Rite-Aid e Walgreens, che hanno ordinato 127,5 milioni di pillole in dieci anni: circa 119 pillole per ciascun abitante dello Stato minerario, bambini compresi. Il risultato di questa distribuzione capillare sono i 400mila morti tra 2000 e 2018. Nel 2019 i numeri erano scesi, poi è arrivato il coronavirus - e non sappiamo se e quanto l’impennata di morti per overdose sarà un altro degli effetti nefasti di lungo periodo della pandemia. Certo è che in Colorado hanno dirottato i fondi per la prevenzione e il recupero, 26 milioni, verso le terapie intensive intasate da casi di Covid-19.

«Fino a quando sono morti i neri, i marroni, i poveri, la società si è girata dall’altra parte. Serviva che a morire fossero bianchi della middle class. Oggi le istituzioni prendono atto che c’è una crisi, che la gente muore, che bisogna intervenire solo perché muoiono bianchi di famiglie normali. È orrendo, disgustoso, ma è così». Così Howard Woodbridge, ex poliziotto del Michigan che ha fondato Citizens Opposing Prohibition (la sigla è “Cop”, poliziotto) e si presenta a tutti gli appuntamenti appuntamenti politici per fare campagna. Baffoni, cappello da cowboy e una t-shirt dove campeggia la scritta: «Cop says legalize heroin», Woodbridge racconta: «Sono un detective in pensione, ho visto morti di overdose, ragazzini ammazzati perché spacciavano, morti durante rapine per procacciarsi denaro. Troppo per non provare a fare qualcosa. Nessuno muore vendendo o bevendo birra e la legalizzazione della marijuana in molti Stati sta mostrando quanto l’idea di proibizionismo che ci ha guidati per 30 anni fosse sbagliata».

«L’eroina della mia generazione era migliore. Oggi tra Fentanyl prodotto in Cina e altra roba sintetica prodotta in Messico si muore prima. E la dipendenza è peggiore di quella dell’eroina, in dieci, venti giorni ci si finisce sotto», racconta ancora Torgensen che spiega quanto sia difficile il suo lavoro di trovare casa e lavoro per chi ne esce con programmi di riabilitazione troppo brevi e di come la sfida sia appunto il dopo. «Alla figlia di un amico che ha avuto un incidente d’auto hanno dato del Percocet per un mese. Quando è finita la “cura” era dipendente dagli oppiacei. È stata homeless per un periodo, nel suo caso è intervenuta la famiglia, ma non sempre succede».

Storia simile a quella di Amy, poliziotta 30enne di Jersey City. Joanne abita di fronte alla casa in cui viveva quella che una volta era un’agente modello. Case bifamiliari a schiera, un quartiere tranquillo: «Una mattina qualsiasi svegliandomi vedo che la strada era completamente bloccata da Suv della polizia locale. Nessuno dei poliziotti parlava ma qui sulla strada abbiamo capito tutti. Overdose, tutto per colpa di un incidente d’auto e di un medico che le ha prescritto antidolorifici. Dopo mesi i dirigenti si sono accorti che stava male e hanno sospeso Amy dal servizio. Non è servito a nulla. Il risultato però è stato che la madre ha perso la seconda figlia per colpa dell’eroina. Stavolta però non c’entravano la strada, le frequentazioni, le scelte sbagliate».

La dipendenza indotta funziona così, dopo che hai provato a passare da un paio di medici diversi, magari fuori dallo Stato e non riesci più a ottenere ricette, scopri che l’eroina si trova e costa meno. In Massachusetts, a Lawrence, c’è un centro di smistamento e quindi è facile farla arrivare in tutti gli Stati del New England dove il prezzo è più alto. Lo stesso succede in altri Stati che confinano con grandi città - ad esempio dal Bronx o dal South Side di Chicago verso l’Indiana. Ancora Torgensen: «Un ragazzo che ho conosciuto, fa lo stand-up comedian, prendeva la roba a New York e la vendeva a Cape Cod, in Massachusetts, dove il prezzo era cinque volte quello a cui l’avrebbe piazzata nel suo quartiere. Lo usavano anche come trasportatore in tutti gli Stati perché aveva un auto in buono stato e nessun legame con la criminalità».

Droghe, tossicodipendenti e polizia, un altro capitolo difficile da affrontare. «Troppo spesso i miei ex colleghi non capiscono quale sia il problema che hanno davanti, hanno l’idea cresciuta negli anni della guerra alla droga che si tratti di delinquenti. Non lo erano allora e non lo sono adesso. E forse il fatto che si tratti di persone bianche ha aperto gli occhi a qualche dipartimento di polizia. Ce ne sono che stanno sperimentando formule interessanti».

Tra i primi in America c’è quello di Gloucester, sobborgo di Boston, che invita a presentarsi al distretto per chiedere aiuto: «Se avete con voi della droga, ce ne libereremo per voi. Non verrete arrestati. Non verrete accusati di alcun crimine. Non finirete dentro», si legge sul sito del Dipartimento. Qui e la spuntano anche tribunali specializzati, conferma Torgensen: «Quando si accorgono che una persona gli compare davanti molte volte, gli prescrivono Suboxone, metadone o Vivitrol e li inseriscono in un programma. La tendenza a sbattere tutti in cella sembra essere diminuita. Sono invece aumentate le pene per i medici che prescrivono gli oppiacei. Qualcuno è stato condannato per omicidio preterintenzionale, la pena a 30 anni è un deterrente».

Coronavirus, razzismo della guerra alla droga e persino sanità: la crisi da oppiacei tocca molti aspetti cruciali per la politica americana. «È grazie ai fondi pubblici in più stanziati da Obama per Medicare e Medicaid, le assicurazioni sanitarie pubbliche, che organizzazioni come la nostra possono avviare programmi di reinserimento e non lasciare i loro ospiti tornare in strada dopo un breve periodo di disintossicazione», spiega Torgensen. Chissà che la discussione nazionale sull’inutilità della militarizzazione della polizia, cominciata proprio con la guerra alla droga, porti allo stanziamento di fondi per combattere l’epidemia che le case farmaceutiche hanno regalato all’America bianca e di mezza età.