È necessario un cambiamento che sia innanzitutto di mentalità. Solo così sarà possibile spezzare il meccanismo economico e di potere che genera ingiustizie e mette a repentaglio la democrazia
«Non abbiamo il tempo di essere noi stessi. Abbiamo solo il tempo di essere felici», scrisse Albert Camus. Oggi, la normalità di “essere noi stessi” è caratterizzata dall’amore del potere e non dal potere dell’amore, dalla cecità dell’individualismo e non dalla lungimiranza della solidarietà, dall’utilitarismo di rapporti opportunistici e non dalla generosità di relazioni altruistiche, dalla solitudine egocentrica del noi escludente e non dalla socievolezza affabile del noi relazionale, dalla stigmatizzazione dell’altro per l’esaltazione dell’io e non dall’edificazione dell’altro per la costruzione del noi.
Questa normalità, generata e nutrita dallo spirito dell’avidità, fagocita l’umanità nell’illusione del mito del presentismo per rimediare all’incertezza del futuro, nell’arroganza dell’onnipotenza per ovviare all’aleatorietà della vita e nell’affanno compulsivo dell’accumulazione per domare la paura dell’irrilevanza. In questa ottica, l’“essere noi stessi” diventa anche: 1) l’utilizzo del potere come strumento di dominazione e di sfruttamento e non come mezzo di emancipazione e di promozione; 2) l’uso delle persone per servire la bandiera e non la bandiera per servire le persone.
Questa normalità, acuita dalla radicalizzazione delle condizioni di deprivazione, ha reso moralmente e sentimentalmente l’“essere noi stessi” privo di empatia, sordo, cieco e indifferente alle sofferenze e ai dolori dei membri della nostra comunità.
L’attuale paradigma economico, radicato nello spirito dell’avidità, è un sistema che non permette di promuovere uguaglianze e libertà ma genera disuguaglianze ed omologazione. Questo dinamico sistema continua a spostare i confini delle classi sociali, sia verticalmente che orizzontalmente, creando così nuove forme di invisibilità. Questa comunità di invisibili, composta da vecchi e nuovi protagonisti, sfugge tuttavia alla lente dell’osservatore che legge questo processo in costante evoluzione con strumenti inalterati nel tempo.
Lo spirito di avidità è l’ipocentro di queste disuguaglianze materiali e immateriali che ha terremotato la crosta sociale creando così delle fratture nel tessuto della nostra comunità. Tuttavia, l’epicentro di questo sisma sociale si è spostato ai confini dove marginalità, esclusione, umiliazione e sfruttamento (a volte accompagnati da forme diverse di razzializzazione) rendono le persone invisibili e infelici. Questo esercito di invisibili infelici, spremuti ed espulsi dalle onde di questo sisma sociale, affrontano la loro condizione di deprivazione spesso in solitudine poiché il sistema disfunzionale delle disuguaglianze ha portato con sé una profonda metamorfosi del lavoro e delle relazioni sociali. Purtroppo, tutto questo è funzionale al meccanismo stesso del sistema. Per questo è necessario unire le lotte e le istanze degli invisibili infelici se si desidera porre argine alla disumanità del sistema.
Dinanzi a questo sisma sociale che mette a repentaglio la democrazia (considerato che «non c’è democrazia con la fame, né sviluppo con povertà, né giustizia nella disuguaglianza», come sostiene Papa Francesco) e la libertà (visto che «non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà», diceva Sandro Pertini), la politica del palazzo - sostenuta da disorientatori intellettuali - continua a prescrivere ricette basate sul medesimo paradigma economico che ha prodotto le disuguaglianze sociali da sanare. In questo modo, la politica (sorda, cieca e indifferente alle sofferenze, dolori, miseria e marginalità della comunità degli invisibili) trascina la società in un labirinto infinito delle disuguaglianze dove le persone sono al servizio dell’economia e non l’economia al servizio delle persone. La politica di palazzo, incapace di scendere negli abissi per fronteggiare il cuore delle disuguaglianze ovvero lo spirito dell’avidità, continua da un lato ad affidare ogni scelta politica al tranquillante del gradualismo e dall’altro al raccontare con esasperazione il sentire del popolo senza renderli protagonisti della narrazione e della rivendicazione dei propri desideri.
Considerato che la pandemia ha drammaticamente acuito il disfunzionamento sociale causato dalle disuguaglianze sistemiche dell’attuale sistema economico avido e disumanizzante, è arrivato l’imperativo momento della rivolta della nostra umanità. Una rivolta che dica un No che non sia rinunciatario ma che è in realtà un Si ad una diversa idea di società capace di creare comunità attorno a valori e principi condivisi in grado di rendere tutti visibili e felici. Oggi, dobbiamo avere l’audacia di avviare una rivoluzione spirituale capace di ricostruire la nostra anima e di rinnovare le nostri menti decolonizzandole dalla culturale impostaci dall’attuale sistema. Oggi, dobbiamo avere il coraggio di stigmatizzare l’attuale modello e di equipaggiarsi della capacità fantastica di pensare e di elaborare un nuovo paradigma e parametri alternativi capaci di dare speranza ai desideri e concretezza ai sogni di tutti gli esseri umani. Oggi dobbiamo avere la tenace lungimiranza di costruire le basi di una comunità libera, giusta e felice che vive armoniosamente e responsabilmente con la natura.
Gli Stati Popolari vogliono e devono essere quello spazio di comunione e di unione delle persone che vivono varie ed articolate forme di invisibilità ed infelicità. Questa comunità degli invisibili deve innescare un processo collettivo e propositivo capace di far germogliare l’empatia umana e l’entusiasmo politico per garantire a tutti di vivere, in ultima istanza, felici proprio come auspicato da Camus.