Attualità
luglio, 2020

Il Piemonte come la Lombardia: malati di Covid nelle Rsa, troppi errori e migliaia di morti

Personale sanitario in una Rsa
Personale sanitario in una Rsa

Una delibera tenuta segreta ha trasformato le strutture per anziani in lazzaretti. Con il personale senza le dovute  protezioni. Così nella regione che a livello sanitario era già al collasso, il virus ha dato il colpo di grazia

Personale sanitario in una Rsa
Torino. Esterno giorno. Piazza Castello. Sporgendosi in avanti verso l’autunno si intravede già un possibile secondo fallimento - stessi protocolli, stesse carenze, niente piani -. eppure ancora non si sono fatti i conti col primo. Il fallimento del sistema sanitario, quello che infiamma la Lombardia di Attilio Fontana - coi suoi camici e i suoi cognati - quello che in Piemonte ha portato in piazza, all’inizio dell’estate, sotto la sede della Giunta regionale, gruppi di uomini e di donne che con la vernice fresca del loro lutto hanno scritto i nomi e i cognomi dei congiunti deceduti dentro le Residenze sanitarie per anziani durante l’emergenza Covid-19: in strada per urlare e rendere visibili le vite spezzate. Le loro parole e i fischietti sono rimbombati nel silenzio della piazza, mentre i loro racconti uguali a tanti altri ascoltati nel triste lamento dei giorni del lock-down assiepavano l’aria con ricordi di una violenta semplicità.

C’è chi ha detto addio alla madre in videochiamata, chi si è reso conto che nel corso dei giorni la vita di un genitore si stava spegnendo via Skype, un dolore strozzato dal digitale, reso virtuale dall’assenza di un funerale e cristallizzato da una scatola con le ceneri restituita molti giorni dopo assieme ai pochi oggetti personali: occhiali, scarpe, pantofole, un ultimo giornale, una vestaglia appesa all’attaccapanni vista dallo schermo, un sorriso e «una battuta per il Torino che non se la passa bene in campionato». Torino e il Piemonte si sono nascosti nei giorni del grande dolore, hanno coperto le proprie morti con l’ombra di quello che accadeva in Lombardia, nessuno ha ripreso la cospicua fila di carri funebri che si assiepavano fuori dal Cimitero Monumentale di Torino, dove il forno crematorio ha lavorato a ritmo incessante. Nessuno chiede conto dei morti, morti che si somigliano tutti come le Rsa che ad entrarci oggi, puzzano di morte e cloroformio, sanno ancora di respiri spezzati e inspiegabili mancanze.
Inchiesta
La strage disumana delle residenze per anziani
24/4/2020

Non è servito il margine di vantaggio sulla vicina Lombardia per mettere al riparo il Piemonte dalla scelta di mandare a morire all’ammasso quelle vite contaminate dal coronavirus in strutture che già prima dell’emergenza pandemica avevano carenze strutturali, obsolescenza dei macchinari, scarsità di personale e livelli di assistenza garantiti molto bassi. In Piemonte, come testimoniano rapporti e denunce, la situazione era al collasso e il Covid ha dato il colpo di grazia definitivo ad un sistema che si è retto per decenni con approssimazione e scarsi controlli.

Luigi Genesio Icardi, assessore alla Sanità della Regione Piemonte, che è anche sindaco di Santo Stefano Belbo, il paese di Cesare Pavese, eletto in quota Lega, ha percorso in modo pedissequo le orme del collega lombardo Giulio Gallera, trasformando le Rsa in lazzaretti dove destinare i malati Covid in eccedenza dagli ospedali, con una delibera, la contestata 14-1150 del 20 marzo 2020, dove viene scritto testualmente «che le Aziende Sanitarie Locali potranno utilizzare i posti letto di Rsa accreditati e contrattualizzati (allo scopo di ridurre la pressione sulle strutture pubbliche attraverso la presa in carico temporanea di pazienti con bisogni sanitari compatibili con l’assistenza in Rsa - non affetti da Covid-19».

E, ancora, «di disporre che le Aziende Sanitarie Locali potranno reperire, nell’ambito di Rsa autorizzata, posti letto dedicati a pazienti Covid positivi con bisogni sanitari compatibili con l’assistenza in Rsa».

La Regione, per specificare meglio la natura del provvedimento, deliberò che «a fronte di un ulteriore eventuale aggravamento dell’emergenza, attesa l’esigenza di ridurre la pressione sulle strutture pubbliche mediante trasferimento e presa in carico di pazienti non affetti da Covid-19, le Aziende Sanitarie Locali sono autorizzate a stipulare contratti con strutture private non accreditate, purché autorizzate nella tipologia richiesta». In poche parole il Presidente Alberto Cirio e la sua giunta deliberarono di spostare dai nosocomi alle case di riposo i pazienti positivi al Covid-19. Ma per evitare di essere travolti dalle polemiche come avvenuto in Lombardia scelsero di non pubblicare la delibera fino al 10 aprile ovvero venti giorni dopo averla votata. Tuttavia la bozza della delibera è circolata per le Asl che hanno di fatto applicato i dispositivi di spostamento generando così un ciclo continuo di morti nelle strutture, circa il 35% del totale delle vittime in tutta la Regione.

Le Rsa in questione, secondo i controlli dei Nas, sono per il 20% dei casi irregolari e in Piemonte ospitano ancora pazienti affetti da Covid mantenendo gli stessi protocolli e le stesse carenze dell’inizio della pandemia. Infatti i 1.880 assunti dalla Regione in via straordinaria, tra polemiche e ricorsi al Tar vinti dall’assessore Caucino che ha visto riconoscersi la bontà della delibera per la situazione di particolare emergenza, non sono stati ancora formati in modo ufficiale e scontano un gap di preparazione evidente come ci racconta Giorgio, un infermiere di una Rsa di Cuneo: «In piena emergenza Covid per settimane siamo rimasti senza le adeguate protezioni, in tanti si sono ammalati e i sostituti arrivati con la delibera regionale e quasi tutti erano impreparati. Questa impreparazione - conclude - è divenuta un problema non più procrastinabile infatti con la temuta seconda ondata rischiamo di soccombere per le carenze che non sono ancora risolte».

Un altro infermiere di una Rsa, Saverio, ricorda che «durante i giorni della prima ondata siamo stati sopraffatti dagli arrivi, anche altri colleghi in altre strutture erano allibiti, perché tutti sanno come funzionano le residenze sanitarie, sono posti mal gestiti, con personale sottopagato e strutture fatiscenti. Sono le discariche sociali per i vecchi e infatti lo Stato li ha mandati a morire qua dentro, neanche si è preso l’onere di curarli. In quei giorni - continua - ricordo che il mio telefono veniva usato per fare le videochiamate dell’addio».

Il fallimento nella gestione della prima fase pandemica da parte della Regione rischia di riversare i danni anche nell’eventuale seconda ondata prevista per l’autunno. Infatti la Giunta non sta programmando nessun intervento strutturale nelle Rsa, tanto che oltre il 50% è ancora chiuso per l’assenza di sanificazioni e interventi di ristrutturazione, non è stato approntato un piano per i tamponi e un piano emergenziale che consenta la dislocazione dei pazienti Covid positivi in strutture di contenimento di natura non residenziale.

Inoltre sono 14.000 gli anziani che da febbraio non possono incontrare i loro cari per la carenza iniziale di non aver creato un meccanismo di tutela sanitaria per i lavoratori e i degenti, una situazione Andrea Ciattaglia della Fondazione Promozione Sociale onlus ha denunciato più volte senza ricevere riscontri istituzionali: «Raccogliamo centinaia di segnalazioni di parenti che da cinque mesi non vedono i loro cari ricoverati. Nelle Regioni piú colpite è un paradosso: fino a due mesi fa erano luoghi aperti all’arrivo di pazienti Covid dagli ospedali; per le aree meno colpite dal virus - gran parte d’Italia - tutto il resto è tornato alla normalità, con le dovute precauzioni di sicurezza. Le Rsa e le Case di riposo sono ancora nella fase del pieno lockdown: in tantissimi casi, nemmeno i servizi - parrucchieri, podologi, animazione, assistenza spirituale - sono stati riattivati». Una vicenda non nuova, una vicenda che arriva da lontano, dai giorni dell’emergenza dove Marco Grimaldi, consigliere di LeU provò a chiedere conto in un assemblea regionale: «Quanti dei morti nelle Rsa avevano fatto il tampone? Quante Rsa sono state sanificate? Che ne è del piano hotel per collocare i dimessi dagli ospedali e le persone risultate positive? È previsto l’obbligo del tampone per entrate in Rsa o nelle strutture riabilitative?», domande che tuttora sono rimaste inevase, perché assieme alla mancata pubblicazione della delibera, in termini sistematici la Giunta Regionale ha inanellato un errore dietro l’altro.

Dalle mascherine, che riportavano l’identitaria dicitura “Made in Piemonte” salvo poi essere prodotte a Ottaviano in Provincia di Napoli e che sono arrivate tra aprile e maggio nelle buche delle lettere dei piemontesi; al più alto tasso di positivi al virus nelle carceri (107 su 287 i detenuti riscontrati positivi al Covid-19 nelle 190 carceri italiane); fino allo smarrimento delle mail dei medici di base contenenti gli elenchi dei presunti casi di coronavirus avvenuta a carico del Servizio di igiene e sanità pubblica dell’Asl di Torino, uno smarrimento che ha portato al commissariamento dell’Ente e alla morte di tantissime persone che, non essendo state censite, sono venute successivamente a contatto con altri membri del nucleo famigliare. Una falla enorme che ha reso vano il lavoro sul campo dei medici di base che in più occasioni hanno denunciato l’assenza di un piano a lunga durata per gestire l’emergenza su base regionale e una totale assenza dell’istituzione comunale: «Chiara Appendino ha scelto di essere un fantasma in questa pandemia - dichiara un medico di base del quartiere Barriera di Milano - ha totalmente lasciato soli i suoi cittadini, si è attenuta a fare il compito e a dire “andrà tutto bene”. Critico con la prima cittadina anche Enzo Lavolta, vicepresidente del Consiglio Comunale del Partito Democratico: «la sindaca è stata commissariata dal Prefetto, ha passato la “fase uno” a rilanciare i comunicati di Cirio e la “fase due” a vendere le farmacie comunali ai privati troncando ancora di più il meccanismo di prossimità che avrebbe salvato molte vite».

Ma non è solo il comparto della sanità a essere sotto osservazione nella Regione governata da Alberto Cirio, sono anche gli appalti in deroga per la ristrutturazione delle strutture sanitarie. Come evidenziato dalla relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia, le mafie stanno tentando di infiltrarsi nella gestione delle Rsa e degli appalti di ammodernamento, un rischio di concreta infiltrazione in una regione controllata nel tessuto criminale dalla ’ndrangheta che ha visto l’arresto dell’assessore Roberto Rosso di Fratelli d’Italia per voto di scambio politico-mafioso, una vicenda che portò il Presidente Cirio ad ammettere che dalla mafia «non riusciamo a difenderci, assumendo la consapevolezza che la mafia ce l’abbiamo di fianco». Una ammissione sconfortante che però racconta di anni di sottovalutazione del problema, vizio che appare una costante per la politica piemontese che dopo valanghe di errori si appresta ad entrare senza paracadute nell’inverno più difficile degli ultimi trent’anni.

L'edicola

L'effetto domino di una Nato senza Stati Uniti

Bisogna accelerare il percorso verso un'Europa federale autenticamente politica che fin qui è mancato