Esclusivo
Così l'Italia ha venduto due navi da guerra all'Egitto nel silenzio di agosto. Perdendo soldi
Altro che garanzie sul caso di Giulo Regeni: il cdm prima di ferragosto ha autorizzato l'esportazione di due fregate sottratte alla Marina italiana, tra le proteste dei militari. E ora i conti non tornano tra Fincantieri, Leonardo e gli altri fornitori per le armi chieste da Al Sisi
Su Giulio Regeni saremo inflessibili fino alla verità”, parola di Giuseppe Conte, commissione parlamentare d’inchiesta sull’atroce morte al Cairo del ricercatore friulano, seduta notturna di venerdì 18 giugno 2020. «Senza risposte vere su Regeni, l’Italia non ceda armi agli egiziani», mozione accolta in un documento ufficiale della direzione del Pd, lunedì 27 giugno. Solenni. Alla politica piace così. Poi il silenzio. Chissà, il pudore.
Venerdì 7 agosto, ore 19:05, il Consiglio dei ministri si riunisce per il decreto agosto, la proroga delle misure sanitarie contro la pandemia e in pochi minuti approva l’ultimo passaggio per la vendita all’Egitto di una coppia di navi da guerra, due fregate di classe Fremm sottratte alla Marina militare italiana. Lunedì 10 agosto l’Autorità che vigila sul mercato delle armi, in sigla Uama, dislocata al ministero degli Esteri, concede la licenza per l’esportazione verso l’Egitto al consorzio nazionale Orizzonti sistemi navali, controllato da Fincantieri col 51 per cento e partecipato da Leonardo (ex Finmeccanica). Il Cairo può organizzare la parata per la consegna della prima nave “Spartaco Schergat” entro l’anno, per la seconda, “Emilio Bianchi”, sarà necessario attendere la prossima primavera. Il governo seppellisce la notizia tra le sabbie d’agosto.
Non è propaganda. E non serve. Anzi è un bel guaio per la politica che fugge da sé stessa per non sentirsi responsabile. Il grande affare col regime di Abdel Fattah al Sisi non è un grande affare per le aziende pubbliche, per le capacità della Marina italiana, per la memoria di Regeni. Come ricostruisce L’Espresso, che ha visionato documenti riservati, consultato più fonti e ciascuna delle parti coinvolte, il negoziato con l’Egitto racconta di un’Italia arresa all’anarchia di sistema: il premier Conte che comanda da solo, ministri che inseguono, altri che rattoppano, dirigenti di Stato che vanno raminghi, ammiragli che reclamano risorse, partiti che vegetano ignorando le posizioni di governo. E ancora la più bizzarra delle beffe: il rischio di cavarci spiccioli, se non di rimetterci decine di milioni, dai miliardi di Al Sisi. Cronaca di un anno al buio.
OTTOBRE 2019, L’INIZIO
Giuseppe Bono, calabrese classe ’44, leggendario e ancor più schietto, è amministratore delegato di Fincantieri dal 2002, il principale gruppo navale europeo. Bono ha soluzioni per qualsiasi governo di qualsiasi colore e pure di qualsiasi Repubblica. Quello giallorosso ha un grosso difetto: mai l’Italia fu così irrilevante nel Mediterraneo, cacofonica e superflua persino in Libia. Il premier Conte ha una egregia relazione con Al Sisi, però l’Egitto è l’inconscio italiano che fa soffrire, è il corpo martoriato di Regeni, è l’ostinato depistaggio, è la negazione della libertà. Il regime di Al Sisi è circondato dai Fratelli Musulmani di Recep Tayyip Erdogan, i nemici turchi che sono riapparsi al castello di Tripoli al fianco del fragile governo libico di Al Serraj, che sono irrequieti padroni del corno d’Africa, che trivellano con arroganza il mare di Cipro provocando Grecia e Francia. Bono deve smerciare navi da guerra e proteggere i dipendenti di Fincantieri, tra l’altro il mercato delle crociere è saturo. Era già previsto nel libro “Una cosa divertente che non farò mai più” di David Foster Wallace.
Al Sisi deve rinnovare la flotta, subito, e gli amici italiani - schierati su opposti fronti in Libia poiché Roma sta col debole Fayez al Serraj e il Cairo col golpista Khalifa Haftar - sanno accontentare i clienti: il primo in assoluto nel 2019 fu l’Egitto, con 871 milioni di euro spesi per una partita di elicotteri. Conte ha assaporato il gusto della politica estera e militare e, soprattutto, del rapporto diretto con le aziende statali. Sì, per la legge 185 del ’90 l’Italia non può fornire armi a Paesi che non rispettano i diritti umani, che sono protagonisti di un conflitto, che aggirano embarghi internazionali.
La legge sta lì, inerme, invece l’opinione pubblica a volte rumoreggia, rosicchia il consenso e la popolarità dei sondaggi. Perciò l’unica accortezza di Bono e Conte è usare la massima discrezione anche fra i ministri e le società. Con la tutela politica di Palazzo Chigi, Fincantieri notifica all’Autorità Uama, diretta dall’ambasciatore Francesco Azzarello, una richiesta di avviare la trattativa con l’Egitto per una coppia di fregate. La cifra di partenza è fissata a 1,2 miliardi di euro. Per costruire una Fremm si impiegano circa 4 anni, le due disponibili sono già assegnate all’Italia e rientrano in un programma di dieci esemplari. Al Sisi desidera un trattamento di favore, lo avrà, ma ciò non si riflette sul prezzo che è allineato a quello per l’Italia: secondo il documento programmatico preliminare della Difesa italiana, aggiornato al triennio 2019/21, il costo di ogni Fremm è di 599 milioni di euro, per due sono 1,198 miliardi. La replica scontata di Fincantieri è che una Fremm tira l’altra e il Cairo forse ne vorrà due o quattro, e poi ci sono i caccia Eurofighter e i velivoli di addestramento di Leonardo e pare un satellite di osservazione: ipotesi, nient’altro. Il 2019 si chiude con una discussione segreta fra Egitto e Italia per le fregate ordinate dalla Marina italiana e intitolate ai palombari Schergat e Bianchi, medaglie d’oro al valore militare.
FEBBRAIO E APRILE 2020, LA TENSIONE
Fincantieri si rivolge ancora all’Autorità Uama per integrare le carte di ottobre a prezzi sostanzialmente invariati. Il Cairo ha sfogliato il catalogo delle dotazioni di bordo e degli strumenti da guerra e dunque ha indicato i suoi preferiti. Si tratta di accessori delicati, l’Egitto non fa parte della Nato, è una forza di caratura mondiale esterna all’Alleanza atlantica. Stavolta l’Autorità Uama, che nel frattempo la Farnesina ha affidato al diplomatico Alberto Cutillo, non procede se non con la copertura politica. Con quattro mesi di ritardo vengono informati il ministero della Difesa e Leonardo. Palazzo Chigi dà un rapido nullaosta attraverso un parere del Dis, il dipartimento per le informazioni e la sicurezza guidato da Gennaro Vecchione che coordina le agenzie di intelligence. Leonardo si ritrova protagonista di una vicenda di cui ignorava l’esistenza. Però al ministro Lorenzo Guerini tocca la missione più ardua: assecondare gli interessi di governo e sedare la “rivolta” fra i militari che soffrono lo scippo delle Fremm. Ne è prova una lettera indirizzata al ministero dall’ammiraglio di divisione Aurelio De Carolis, sottocapo di Stato maggiore della Marina. Il tono è garbato e il registro è burocratico, ma il messaggio è assai chiaro: Fincantieri deve risarcire la Marina.
«Preme evidenziare l’esigenza imprescindibile di vincolare l’avanzamento di ogni ulteriore attività alla formalizzazione delle obbligazioni contrattuali che la ditta Fincantieri dovrà soddisfare per prevenire l’intempestiva interruzione del programma Fremm», dice De Carolis. E poi i vincoli “indispensabili per Fincantieri”: «Completare la commessa Fremm non oltre il 2023 e il 2024. Reintegro, secondo tempi che dovranno essere concordati con Fincantieri e senza aggravio dei costi, delle parti di rispetto, munizionamento e qualsiasi altro materiale oggetto di eventuale cessione». Questa era la premessa per lamentare i «significativi impatti che sarebbero originati dalla contrazione della prima linea della flotta d’altura, di cui la classe Fremm costituisce l’asse portante, con ricadute sulla capacità dello strumento aeronavale di adempiere ai compiti istituzionali in campo nazionale e internazionale».
Per supplire all’assenza della coppia di Fremm, lo Stato maggiore pretende il mantenimento in servizio di tre fregate categoria Maestrale, più piccole (3.000 tonnellate contro 6.900) e con un equipaggio più numeroso (225 anziché 145). Il danno economico è già evidente. Attualmente restano operative quattro delle otto fregate Maestrale, di cui una, la Espero, nella condizione di “ridotta tabella di disponibilità”, cioè in riserva in attesa della radiazione. Oltre all’impoverimento della flotta, la Marina deve rimediare alle risorse già spese per la Schergat.
La nona Fremm, varata quasi due anni fa, il 9 febbraio 2019 fu trasferita ai cantieri del Muggiano per l’allestimento al centro militare Marinalles: era il momento delle verifiche tecniche, della formazione dei reparti. Per la Marina lo scherzo di Fincantieri è costato almeno 15 milioni di euro. Il ministro Guerini assicura la scadenza al 2024 per le due nuove Fremm e procrastina il pensionamento di due fregate Maestrale. Per la terza si vedrà. Fincantieri gioisce perché riesce a piazzare altre due Fremm, fra espropriate e restituite all’Italia.
GIUGNO E AGOSTO 2020, L’EPILOGO
Per la metà di giugno la Schergat dovrebbe solcare i mari sotto le insegne della Marina italiana. L’accordo con Fincantieri non è siglato, il generale Al Sisi è preoccupato. Il 7 giugno, una domenica, Palazzo Chigi rende nota una telefonata fra il premier Conte e il collega egiziano. I temi citati sono “Regeni” e “Libia”, utili a dimostrare che Palazzo Chigi cerca giustizia per Giulio e non fa lo spettatore delle bombe su Tripoli. Il cdm di giovedì 11 giugno all’unanimità autorizza Fincantieri a firmare il contratto con l’Egitto per le Fremm. Il giorno dopo si solleva la posticcia indignazione politica, pure degli stessi della sera prima: nulla è deciso, non ne sapevo niente, forse mi sono distratto, avremo garanzie su Regeni. Il classico. Con alcune variazioni. Teorema più gettonato: più armiamo Al Sisi e più collabora su Giulio. È la politica che ha mescolato le due faccende e poi si stupisce. La fine di giugno diluisce le polemiche, i dem riflettono nelle stanze di partito, il premier Conte viene audito in commissione parlamentare. Poi ci si dimentica. Finché il 7 agosto il ministro Di Maio interviene in cdm per comunicare che l’Autorità Uama ha rilasciato le licenze per spedire le navi da guerra in Egitto. Quel 7 agosto sarà rievocato, sviscerato e contestato dalla politica per il decreto interministeriale che ha aumentato lo stipendio a Pasquale Tridico, il presidente Inps, e non per un discorso di trasparenza e onestà intellettuale sul fantasma egiziano.
SETTEMBRE 2020, BALLANO MILIONI
La Schergat è ancora sottoposta al lungo lavoro di conversione, precede di qualche mese la Bianchi: rimosso il materiale Nato, va montata l’apparecchiatura bellica scelta dal generale Al Sisi che ha un valore, si è scoperto adesso, di 140 milioni di euro. Siccome soltanto Fincantieri ha interloquito con il Cairo è la stessa Fincantieri che ne ha valutato il costo. I 140 milioni di euro riguardano Leonardo per 55 milioni e gli altri diversi fornitori del consorzio Orizzonti sistemi navali. La vendita delle Fremm sarà completata per 1,2 miliardi di euro con la garanzia per l’Italia di occuparsi della logistica e della manutenzione, altra voce di profitto per il futuro, ma i margini attuali di guadagno (plusvalenza), come ammette Fincantieri, sono “leggeri” e dunque i 140 milioni potrebbero addirittura provocare una perdita. Leonardo non ha alcuna intenzione di caricarsi spese non previste per 55 milioni e rendere negativa questa esperienza con il Cairo: «L’operazione è positiva a livello industriale e avrà importanti ricadute sulla filiera e l’indotto. Dal punto di vista commerciale - fa sapere l’azienda dell’ad Alessandro Profumo e del presidente Luciano Carta - siamo impegnati col prime contractor (Fincantieri, ndr) e confidenti che si riesca a trovare la migliore cornice per creare valore per tutti da questo accordo. Questo nell’ovvia considerazione anche del fatto che una società presente in Borsa, come Leonardo, non può chiudere alcuna operazione in perdita».
Gli egiziani tacciono su Regeni. La politica fischietta spensierata. La Marina vuole più di 15 milioni di euro da Fincantieri e non si ritiene più competitiva. Leonardo & C. non possono sorbirsi 140 milioni di euro calcolati in fretta per puntellare il successo di Fincantieri. Giuseppe Bono deve riparare di qua e di là prima di esultare. Per fortuna era un’occasione irripetibile. Sembrava fosse la campagna d’Egitto, invece era una scampagnata.