L'analasi
L'empatia di Biden contro la rabbia di Trump: cosa ci dice il discorso sul nuovo presidente
Le parole al momento dell'insediamento analizzate da Vinca LaFleur, speechwriter della Casa Bianca ai tempi di Bill Clinton e coautrice del libro di Kamala Harris. Che analizza anche i registri degli ex presidenti..
«Un discorso non può trasformare un Paese. Ma può dettare l'inizio di un nuovo capitolo. Quando ha parlato alla nazione, davanti al Campidoglio, riaffermando il potere della verità e la promessa di un progresso comune, il presidente Joe Biden ha trovato il modo giusto per farlo».
Nessuno sa meglio di Vinca LaFleur – ex speechwriter della Casa Bianca - quanto le parole siano in grado di plasmare il carattere di una presidenza. LaFleur, che ha lavorato nella West Wing durante il secondo mandato di Bill Clinton, è una esperta di discorsi presidenziali.
Le è piaciuto il primo atto da presidente di Biden. «È stato chiaro: la democrazia ha prevalso; ora occorre lavorare duro, ma dobbiamo farlo insieme. Si è impegnato ad essere il presidente di tutti gli americani. Un gioco di equilibrio ben riuscito tra voli poetici e la schiettezza per cui è conosciuto».
A supervisionarlo è stato Vinay Reddy che da oggi coordinerà lo staff di autori del 46esimo inquilino della Casa Bianca.
Quello per cui ha optato Biden è un taglio stilistico completamente opposto a quello scelto quattro anni fa da Donald Trump per il suo insediamento. «Trump parlò di carneficina americana. Un'immagine molto forte. C'è sempre stata tanta rabbia, nella sua retorica. Ad esempio nelle storie che racconta durante gli eventi ufficiali o i comizi. Il più delle volte immagini forti, storie dure, perché a lui piace mostrare il lato oscuro» dice LaFleur.
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«Biden invece parla di unità. È molto più empatico, fa leva sulla compassione». Eppure Biden e Trump hanno in comune il fatto di non essere particolarmente propensi a seguire fedelmente le linee dettate dagli speechwriter. Ad entrambi piace giocare di improvvisazione. «Con risultati molto diversi», scherza l'autrice. «In verità noi scrittori non siamo dei burattinai che inseriscono semplicemente un testo nel teleprompter. Un bravo professionista è quello che rispetta il più possibile la personalità, lo stile, le passioni».
Nel successo di una presidenza c'è anche la capacità di scegliere un team di autori talentuosi ed intuitivi. Se ad esempio il presidente non è un appassionato lettore, inutile disseminare il discorso di citazioni dotte. «Pensate a Clinton e Obama, entrambi penne molto fini ed esperti comunicatori. Si tratta di due personalità creative, curiose, intellettualmente affamate – ci spiega – Si interessavano di letteratura, poesia e musica, ma anche questioni sociali. Scrivere per personaggi del genere è molto intrigante, divertente. Con Trump, invece, è evidente che il suo staff abbia preferito mantenere la struttura più semplice, senza eccessi poco credibili».
In altre parole gli autori hanno il compito di valorizzare la retorica del presidente, rispettandone la sensibilità. «George Bush invece era molto religioso, quindi il coordinatore dei suoi scrittori, Michael Gerson, puntava sul concetto di fede, di chiamata a conseguire il proposito più alto" racconta.
Bill Clinton, invece, gravitava molto – almeno dei discorsi fatti all'estero – intorno alla questione della pace, dato il periodo storico di importantissimi negoziati internazionali.
«Lavorare per lui è stato davvero stimolante». La penna di Vinca LaFleur ha steso alcune delle pagine più intense. Incluso un pezzo di storia. Nel 1995 Clinton fu il primo presidente americano a visitare l'Irlanda in visita ufficiale. Il discorso che tenne a Belfast è ancora oggi considerato uno dei più ispirati della sua presidenza. Dietro le parole di pace e speranza per il popolo irlandese, c'era anche la mano sicura di LaFleur.
«Sulla via del ritorno, saliti sull'Air Force One si complimentò con me. I giornali ne avevano scritto benissimo. Mi lasciò una dedica su una copia del Telegraph».
Con Clinton ha viaggiato in tutto il mondo. Oggi con dei colleghi ha fondato West Wing Writers, una società che provvede le parole giuste a politici, comunicatori e imprenditori.
Ma la scrittura sapiente di LaFleur è quella che ha guidato anche la stesura del libro della neo vicepresidente Kamala Harris, best-seller del New York Times, “Le nostre verità" (in uscita in Italia il 28 gennaio per La nave di Teseo). «Il titolo del libro è un po' il suo mantra: raccontare la verità e non aver paura di dirla. Harris crede che sia davvero importante come leader».
Nello stile retorico della vicepresidente, ci rivela LaFleur, traspare chiaramente il suo carattere. «La vice presidente non teme di prendere posizione per ciò che è giusto. E questo si capisce dal piglio determinato, sicuro. Al tempo stesso, però, è anche una persona estremamente calorosa, con un grande senso dell'umorismo. È una donna piena di energia, vibrante».
Certo i tempi cambiano. «Oggi ci si aspetta che il presidente comunichi tutti i giorni, prima non era assolutamente così. Almeno non quando ho lavorato alla Casa Bianca». Al tempo di post e cinguettii, gli americani si aspettano che il commander in chief stabilisca con loro una sorta di linea diretta, ad esempio attraverso l'uso dei social media.
Ed in questo Trump è stato un maestro. C'è da capire cosa riuscirà a fare Biden. Intanto l'account ufficiale @POTUS (President of the United States) è da qualche ora nelle mani del nuovo presidente. Vedremo quanto e come deciderà di comunicare. Ovviamente con l'aiuto dei suoi esperti autori.