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La "Quarta mafia" del foggiano: ultima arrivata e sempre più letale
La nascita per volontà di Cutolo. L’espansione tra estorsione, rapine e droga. E le strategie per sconfiggerla. Un magistrato racconta la criminalità organizzata intorno al Gargano.Dal nuovo blog de L’Espresso su mafia, antimafia e dintorni
Antonio Laronga, "Quarta mafia. La criminalità organizzata foggiana nel racconto di un magistrato", PaperFIRST editore, pp. 280, euro 14.
“Quarta Mafia” di Antonio Laronga è il passaggio definitivo che, come e più di molte commissioni parlamentari antimafia, era necessario per sdoganare, finalmente, le organizzazioni criminali di stampo mafioso della provincia di Foggia. Tre mafie di cui per decenni non ha parlato nessuno e che invece nel libro di Laronga emergono per quello che sono, cioè pericolosissime associazioni criminali mafiose che vanno fermate al più presto. L’autore, procuratore aggiunto della Repubblica di Foggia, conosce perfettamente l’argomento perché lo combatte da anni dal suo ufficio della procura dauna, ma anche perché, oltre che essere un magistrato, è un intellettuale che è nato e vive dove lavora, quindi ogni giorno respira l’aria di quella violenza che poi combatte.
La storia che ci racconta "Quarta mafia" è quella di una provincia in cui dagli anni settanta sono stati commessi centinaia di omicidi e lupare bianche, oltre che decine di attentati con bombe e atti incendiari. È una storia che fino a non molto tempo fa pochi italiani conoscevano e che ancora sfugge a molti. Mentre in importanti format televisivi vanno in onda special su Matteo Messina Denaro, ci dimentichiamo che negli anni ‘90 la mafia foggiana ha ucciso Nicola Ciuffreda, Giovanni Panunzio e Francesco Marcone, uomini retti colpevoli solo di aver denunciato i propri estorsori o di aver fatto il proprio dovere.
Laronga esamina tutto, della criminalità foggiana. Dopo la prefazione di don Luigi Ciotti, l’autore ci porta nel cuore di questa forma di malavita, la esamina con fare chirurgico e ne individua gli snodi fondamentali. Il testo inizia trattando della Società foggiana, cioè l’associazione criminale della città capoluogo, il cui stampo mafioso è stato riconosciuto da pronunce giudiziarie. Della Società Laronga ci dice tutto. Da come è nata grazie a Raffaele Cutolo, che voleva espandere in Puglia la sua Nuova Camorra Organizzata, a come i foggiani si sono poi sbarazzati immediatamente sia di Cutolo sia della Sacra Corona Unita leccese, che aveva cercato di entrare nell’importante territorio dauno, le cui coste garganiche rappresentavano un ghiotto terreno di conquista per il contrabbando con l’altra sponda dell’Adriatico.
Il libro ci svela i boss che ne sono stati e sono i capi attuali, le guerre, le centinaia di omicidi, le operazioni di polizia e i processi che hanno giudicato e condannato questa neomafia. Laronga analizza l’anima della Società foggiana, ancora dedita alle estorsioni (non c’è negoziante che a Foggia e San Severo non paghi il pizzo), ma non ancora al traffico di stupefacenti. L’autore però sembra dirci “attenzione, tempo al tempo: se non la si ferma, alla droga ci arriverà e allora saranno guai per tutti”. Ma ci avverte anche che la Società sta entrando nella politica e nelle istituzioni, seguendo la scia di Cosa nostra e, soprattutto, della ‘Ndrangheta, organizzazioni che in questo campo sono maestre.
Laronga passa a esaminare la mafia garganica, ce ne racconta la storia, una vicenda che si srotola nei decenni, dalle faide fra pastori alle estorsioni fino al traffico di stupefacenti. Ci narra della guerra fra i montanari Li Bergolis e i manfredoniani Romito, che ha lasciato sul selciato molte vittime, al sopravvento del boss viestano Angelo Notarangelo, ucciso poi in un agguato a colpi di Ak47 in una strada interna del Gargano nel gennaio del 2015. Ci rivela come il suo posto sia stato preso dal boss emergente Marco Raduano, giovane ma crudele capobastone che ha scatenato una vera guerra alla famiglia residua del boss assassinato, con omicidi e sparizioni di ragazzi mai più tornati a casa.
E non è finita, perché Laronga non solo paventa una pericolosissima unione militare di foggiani e garganici, la cui mafiosità è sancita da specifiche sentenze, ma ci porta anche nel cuore della terza organizzazione mafiosa della Capitanata, cioè la cosiddetta mafia cerignolana, il cui core business è da sempre il traffico di stupefacenti. È una mafia i cui capi sono a Milano, ma che rifornisce di droga tutto il basso Tavoliere. L’autore esamina con profonde valutazioni come le eclatanti rapine, per cui la malavita cerignolana è famosa, siano altro rispetto alla mafia locale. I mafiosi del basso tavoliere non sono interessati alle rapine, sono attratti solo dagli enormi ricavi che consentono i traffici di droga.
D’altronde, nella provincia di Foggia sono stati recentemente sciolti per infiltrazioni mafiose i comuni più importanti, quali Manfredonia, Cerignola, Mattinata e Monte Sant’Angelo, e in ultimo (ma l’autore ancora non ne era al corrente quando il libro è stato pubblicato), il comune capoluogo, Foggia, in cui sono stati arrestati anche il sindaco e altri politici interni al Comune. Questa è la dimostrazione evidente di quanto grave sia la situazione di quella provincia, dove in pratica sopravvivono non sciolti per mafia solo i comuni di San Severo e Vieste. È un quadro desolante che l’autore disegna con una precisione notarile e circa quaranta pagine di note, perché, da buon magistrato, sa che l’accuratezza e la documentazione sono le premesse essenziali per respingere al mittente ogni possibile attacco alle pagine che ha scritto.
Però non solo l’autore ci mostra lo sfascio di un grande e bellissimo territorio del Paese, perché ci dà anche gli input giusti per sapere cosa e come fare per superare il gap di una malavita che tiene in scacco la seconda provincia italiana per estensione, laddove il solo Gargano ha quasi la stessa ampiezza dell’intero Salento.
La narrazione di Laronga è diretta, semplice, affascinante e avvincente come la scrittura di un ottimo autore di fiction, con la differenza che la Quarta mafia non è fiction, ma una devastante realtà. Ha una gran penna, questo coraggioso e cortese magistrato che, al netto degli scempi del caso Palamara, potrebbe essere il modello di come si esercita la funzione giudiziaria con cautela, onestà, semplicità. Eleganza.
Accingendomi a chiudere queste righe sul bel testo di Laronga, mi piace finire con una chicca. Per uno di quegli strani casi della vita, nel febbraio del 2020 Antonio Laronga, Donatella Curtotti, preside della Facoltà di Giurisprudenza di Foggia, e il sottoscritto fummo invitati a tenere una conferenza sulla criminalità mafiosa della provincia. Il convegno si teneva a Torremaggiore, all’estremo nord della provincia. C’eravamo messi d’accordo, nel senso che Laronga avrebbe parlato della mafia del capoluogo, io di quella garganica e Curtotti avrebbe fatto il punto della situazione.
Andò che io e Donatella parlammo a braccio, come di solito si fa nei convegni, e quando toccò a Laronga, lui estrasse dalla borsa un documento che iniziò a leggere. Di solito quando un conferenziere legge, l’uditorio si stanca e si annoia, ma in quell’occasione avvenne un miracolo. Laronga lesse con pacatezza, con intonazione, con emozione, eliminando del tutto la parte fredda di quando si comunica leggendo e facendovi invece penetrare la parte emotiva e commotiva. Fu un successo, e quando uscimmo gli dissi: «Antonio, sei stato eccezionale. Posso darti un suggerimento? Amplia questo scritto e fanne un libro, vedrai che sarà pubblicato».
Da quell’uomo modesto che è, Laronga si schermì e disse che non aveva tempo, che sarebbe stato un lavoraccio e via dicendo, insomma disse le solite cose che si dicono quando si è umili. Ma dopo aver ascoltato le mie parole, anche Donatella Curtotti si unì al coro e gli suggerì di ampliare il testo e provare a pubblicarlo. Lui disse che ci avrebbe pensato e ci salutammo. Un anno dopo PaperFIRST dava alle stampe “Quarta mafia”. E questo è quanto.
Piernicola Silvis (1954), foggiano, laureato in Giurisprudenza, è stato dirigente della Polizia di Stato dal 1981 al 2017, quando – dopo numerosi incarichi investigativi ricoperti in varie città del Paese - è andato in quiescenza con l’incarico di Questore della provincia di Foggia. Ha ricevuto un Encomio Solenne per la cattura, nel settembre del 1992, del latitante di Cosa nostra Giuseppe “Piddu” Madonia, oltre che sei encomi e dieci lodi per altre operazioni di servizio. Ha scritto otto romanzi pubblicati da Fazi, Cairo, Mondadori e SEM, e fra i riconoscimenti letterari ricevuti c’è il premio Selezione Bancarella vinto con “Gli illegali” (2019). Nominato Cavaliere della Repubblica (2021), è docente di “Criminalità organizzata” al Master in Criminologia della Facoltà di Giurisprudenza dell’’Università di Teramo.