Tendenze letterarie
Horror mania, un’ossessione chiamata Lovecraft
Biografie, studi, citazioni, perfino una guida turistica. È riesploso l’interesse per il padre della narrativa dell’orrore. Una passione con molti fan. Insospettabili
Nell’aprile 2020, in piena epidemia di Covid-19, usciva in Italia per l’editrice NPE la seconda edizione brossurata e illustrata di una “guida turistica” dedicata ai “luoghi di Lovecraft”. «Una compagna inseparabile del vostro prossimo viaggio. Probabilmente l’ultimo», vi si leggeva. Uno scherzo letterario, indubbiamente. Ma intanto la realtà aveva superato ogni fantasia. Per chi ancora non lo avesse mai frequentato, H.P. Lovecraft (Providence, 1890-1937) è riconosciuto «tra i maggiori scrittori di letteratura horror insieme a E.A. Poe».
Per lo scrittore francese Michel Houellebecq, che gli ha dedicato un saggio già nel 1991, e per Stephen King - che di quel saggio ha scritto la postfazione nell’edizione del 2005 - Lovecraft addirittura «riveste una grande importanza nel ventunesimo secolo». Senza di lui, si dice, serie tv come “Stranger Things”, “The Terror” e persino “True Detective” non sarebbero mai esistite.
Benjamin Labatut, autore di “Quando abbiamo smesso di capire il mondo” (Adelphi), gli ha appena dedicato uno studio. La corrente filosofica del “realismo speculativo” lo ha eletto come “mascotte” (parola di Graham Harman, docente di filosofia al Southern California Institute di Los Angeles). Nel 2017, per scriverne la biografia (in Italia per Tsunami) si è scomodata una star del rock inglese, Paul Roland. E nel nostro paese Lovecraft è appena sbarcato in casa Einaudi, che gli tributa un volume della serissima collana “Letture” (a cura di Marco Peano), dedicata “ai grandi classici del Novecento”.
Cos’è mai questa Lovecraft-mania? Per saperne di più su di lui, basterà rivolgersi direttamente all’opera (per Il Saggiatore la prima raccolta “ragionata” venne curata da Fruttero e Lucentini), ai tanti contributi del suo massimo esegeta, il critico S.T. Joshi, agli studi sulla “teoria dell’orrore” e sui sogni pubblicati da Bietti a cura di Gianfranco de Turris e Pietro Guarriello, al linguaggio del Nostro analizzato per Jouvence da Daniele Corradi, alle raccolte delle oltre centomila lettere scritte in vita selezionate da Sebastiano Fusco, alle riflessioni “antireligiose” raccolte per l’editore Nessun Dorma da Carlo Pagetti. Oppure ancora, per gli amanti del brivido, basterà inoltrarsi nella succitata “guida” curata da Michele Mingrone, Sara Vettori, Caterina Scardillo. Vi porterà nelle terre sconosciute di Innsmouth, Arkham e Salem, tra le nebbie di antiche rovine gotiche e putride paludi abitate da mostri.
Il punto è capire come uno scrittore “da edicola” (per altro specialista di un sottogenere come il tanto deprecato “horror”) abbia percorso analogo sentiero di Dashiell Hammett e Raymond Chandler nel genere “giallo”, assurgendo d’improvviso nel pantheon dei Grandi. E non basta: quel che più appare sintomatico è quanto Lovecraft sia oggi citato da filosofi, divulgatori scientifici, autori prestigiosi come «specchio dello spirito del tempo».
Ammesso che esista davvero uno “spirito del tempo”, dire che uno scrittore lo rappresenti, evadendo dunque dalla nicchia degli appassionati di un genere, per diventare rappresentativo anche di altri mondi culturali, significa completare una equazione che solo pochi altri autori, prima di Lovecraft, hanno risolto. Tolkien o la Rowling, per esempio. Negli anni Ottanta, per citare un altro caso, i nuovi studi storici sulla Grecia antica di Detienne, Vernant e Videl-Naquet contribuirono ad additare il “mondo fantastico” di Jorge Louis Borges come esempio di una più aggiornata “visione del mondo”. Ma nel caso di Lovecraft la faccenda sembra più complicata. Il suo mondo è fatto di mostri primordiali, incubi onirici, geometrie non euclidee, creature la cui stessa esistenza è dall’autore considerata “blasfema”. C’è una terribile visione dell’uomo abbandonato nell’indifferente glacialità del cosmo.
Così, per comprendere l’evoluzione di questa tendenza, occorre certamente rifarsi alla “rivoluzione culturale” che in Italia porta la data del 1965, quando sul primo numero della rivista “Linus” da lui diretta, Oreste Del Buono riunì al suo tavolo Elio Vittorini e Umberto Eco, per “sdoganare” definitivamente il fumetto (oggi graphic novel) e legittimarlo come medium narrativo di piena dignità. E va anche ricordata la grande lezione sul postmoderno dello stesso Eco che, con “Apocalittici e integrati” del 1977, sancì definitivamente la connessione tra cultura “alta” e cultura “popolare”. Tutti passi in avanti nel rimescolare sottogeneri e culture. Ma con Lovecraft c’è in ballo di più.
Non saremo alla vigilia di una “rivoluzione copernicana” nella nostra percezione del mondo? Lo scrittore Benjamin Labatut ne è convinto. Ne “La pietra della follia” (Microgrammi Adelphi) scrive: «Nell’estate del 1926 Lovecraft aprì uno squarcio su un nuovo tipo di orrore»: Si riferisce al racconto intitolato “Il richiamo di Cthulhu” e ne ricorda le parole: «Viviamo in una placida isola di ignoranza in mezzo alle acque torbide dell’infinito…ma verrà il giorno in cui il mosaico di tutti i frammenti della conoscenza ci offrirà una visione della realtà…che o impazziremo dinanzi a quella rivelazione, oppure rifuggiremo l’illuminazione rintanandoci nella pace e nella sicurezza di una nuova era oscura». Labatut mette questa “profezia” in relazione alla “teoria del caos”, «la terza grande rivoluzione scientifica del ventesimo secolo, insieme alla teoria dei quanti e della relatività», destinata a cambiare le consuete modalità del pensiero umano.
Lo stesso Labatut cita un passaggio decisivo, quale premessa alla Lovecraft-mania: il ritorno delle teorie di un altro autore di fantascienza, Philip K. Dick. Nel 2009 era arrivato un saggio dello scrittore americano Jonathan Lethem, a rilanciare l’ispiratore dell’iconico film “Blade Runner” del 1982. Poi era venuto il francese Emmanuel Carrère a riproporre, nel 2016, la sua biografia su Dick “Io sono vivo, voi siete morti”. Dick parla di “linee temporali ortogonali” e di “mondi paralleli”, riflette su Einstein e ipotizza un concetto di Tempo come “un vasto, sterminato presente”. Fantascienza, appunto. Alle soglie della quale si starebbe spingendo la scienza con, per esempio, le teorie dei sistemi fisici complessi del premio Nobel italiano Giorgio Parisi.
Un’altra tappa di avvicinamento a Lovecraft sarebbe il successo dello scrittore di culto Thomas Ligotti (in Italia per Il Saggiatore) che ha mischiato Schopenhauer, Emil Cioran e, appunto, Lovecraft, fondando un genere detto “horror filosofico”. Genere che, tra l’altro, raccoglie l’eredità distopica del cyberpunk. Ancora, in filosofia, a citare Lovecraft è un’altra influente nicchia, detta “accelerazionismo”: Nick Land (edito dalla Luiss e da GOG) ne è il teorico e il compianto autore inglese Max Fisher (Minimum Fax) il maggior divulgatore. Il testo di riferimento, in questo caso, è “Il disagio nella civiltà” di Sigmund Freud. Lovecraft non amava il padre della psicoanalisi. Eppure le sue indagini sui sogni sono oggi considerate un ponte tra la letteratura e il lettino del dottor Freud.