Nuovi studi ne accreditano l’efficacia e negli Usa già c’è chi li propone come prodotto medico. Un giro di affari che nel 2027 potrebbero arrivare a 7 miliardi di dollari e su cui startup e big pharma puntano

Nel 2024 un medico italiano potrebbe prescrivere una terapia con Mdma, meglio nota come Ecstasy, a pazienti con disturbo post traumatico da stress.

I capitali occidentali nell’ultimo anno e mezzo hanno iniziato a correre sempre più velocemente incontro alle porte della percezione per finanziare il trattamento di problemi di salute mentale, come depressione e traumi, con l’uso di sostanze psichedeliche. Secondo i dati di una società di ricerche di mercato, la Data bridge market research, nei soli Stati Uniti il valore del settore triplicherà, passando dai 2 miliardi di dollari stimati nel 2019 a quasi 7 miliardi nel 2027.

La scena psichedelica di Wall Street, e non solo, è popolata soprattutto da start-up quotate in Borsa e da venture capitalist,  alcuni noti, come Peter Thiel, il co-fondatore di Paypal, pronti a scommettere un gettone sul futuro di molecole rese illegali negli anni Settanta. Il sito americano di informazione Business insider ha calcolato che le 14 principali start-up del settore nel 2020 hanno raccolto complessivamente 222 milioni di dollari e che gli 11 venture capitalist più attivi hanno investito in tutto 139,8 milioni di dollari. La cultura popolare delle serie tv, come spesso succede, aveva già intercettato questa tendenza: durante un episodio della quinta stagione di Billions, il personaggio interpretato da Damian Lewis, un machiavellico manager di hedge fund, si interessa al business degli psichedelici.

 

Nella vita reale, l’attrazione del mondo della finanza verso la cura di problemi di salute mentale con Mdma, ketamina e altre sostanze è emersa da una somma di fattori. La società inizia a stigmatizzare di meno queste sostanze, su giornali e libri si parla di «rinascimento psichedelico», università blasonate del Regno Unito e degli Stati Uniti hanno aperto centri di ricerca, in California e altrove si parla di legalizzazione. Ma è l’avanzamento scientifico che fa ben sperare gli investitori.

 

L’attenzione è concentrata su alcune molecole: la psilocibina, che in natura si trova nei funghi allucinogeni, l’Mdma, l’Lsd, e altri composti dai nomi meno noti, come l’ibogaina. L’obiettivo di chi fa ricerca è raggiungere l’approvazione degli enti regolatori, in testa l’americana Fda (Food and drug administration) e l’Ema, l’Agenzia europea del farmaco.

 

Può forse sorprendere, la più vicina al traguardo è una società non profit, Maps (Multidisciplinary association for psychedelic studies), che opera negli Stati Uniti da 35 anni grazie a donazioni filantropiche. È suo lo studio arrivato fino alla fase tre: secondo i risultati pubblicati, dopo solo tre sedute di terapia a base di Mdma il 67 per cento del campione di pazienti non risulterebbe avere nemmeno più i requisiti per una diagnosi di disturbo post traumatico da stress. La Fda potrebbe approvare questo trattamento nel 2023 e un anno dopo potrebbe arrivare anche l’ok dell’Ema.

 

Sul fronte della psilocibina per il trattamento della depressione, l’approvazione dalla Fda potrebbe arrivare intorno al 2024 o 2025. Sono infatti arrivati a un punto avanzato (la fase 2b) gli studi sia di un’altra non profit, la Usona, sia di una società quotata sul listino Nasdaq, la Compass Pathways, con sede a Londra. Questa tempistica è stata confermata anche da Marco Mohwinckel, capo dell’Ufficio commerciale di Compass Pathways, il quale ha voluto rimarcare che la loro «è una azienda che si occupa di cura della salute mentale, non è un’azienda di psichedelici». Ma siccome anche a suo dire «gli psichedelici sono l’innovazione più promettente» in questo campo, hanno sviluppato una loro formulazione sintetica della psilocibina, battezzata Comp360 destinata alla cura di depressioni resistenti agli altri farmaci, e hanno raccolto finora circa 429 milioni di dollari.

 

Alle prime approvazioni potrebbero seguire quelle per nuovi utilizzi di queste stesse sostanze, per esempio la cura dell’alcolismo attraverso la psilocibina, secondo uno studio della New York University. E a cascata potrebbero poi essere autorizzate altre molecole.

 

Discorso a parte, invece quello che riguarda un altro allucinogeno, la ketamina. Ovunque ammessa come anestetico, si usa anche in modo alternativo, in gergo “off label”, come farmaco per la cura della depressione. A dimostrazione del fatto che questo settore sta attirando investimenti su tutta la filiera, dallo sviluppo di nuovi composti alla somministrazione, sono sorte in Nord America numerose cliniche per il trattamento con la ketamina off label.

 

L’immagine sul sito della Field trip health, nata nel 2019 e quotata in Borsa l’anno seguente, sembra appartenere a un boutique hotel o a una casa di lusso messa su Airbnb: cuscini sui tappeti, tende in velluto, colori pastosi e perfetti per Instagram. Qui le persone che non sono riuscite a migliorare la propria condizione con i tradizionali antidepressivi possono provare con una terapia che prevede una esplorazione con la ketamina, accompagnata prima durante e dopo dalla presenza di uno specialista. «È stato confermato dalle evidenze scientifiche che il luogo dove si vive una esperienza psichedelica ha un impatto effettivo sui risultati e sui benefici che ne puoi trarre. Se la fai in un ospedale con i muri bianchi, le luci fluorescenti e molte tensioni, probabilmente ne trarrai un’esperienza meno positiva rispetto a viverla in un ambiente più accogliente», racconta a L’Espresso Ronan Levy, cofondatore e presidente esecutivo di Field trip health. La prima seduta costa 750 dollari. Levy sembra molto fiducioso sul futuro del settore e della sua compagnia. Si aspettano di raddoppiare il numero di cliniche e stanno studiando un loro composto psichedelico l’Ft104. Il suo ottimismo si riverbera anche sul problema dell’accesso alle cure per le persone meno abbienti. «Prevediamo che ci sarà una copertura assicurativa, che si tratti di una assicurazione privata, come negli Stati Uniti, o di un costo coperto dal sistema sanitario nazionale, come nella maggior parte degli altri Paesi, ritengo che la questione dei costi sarà comunque risolta».

 

Però è proprio la ketamina che ci offre una chiave per capire se la corsa all’oro psichedelico porterà ineguaglianze nella cura della depressione, delle dipendenze, dei traumi e quale ruolo potrebbe giocare una squadra rimasta finora sullo sfondo: le aziende farmaceutiche della cosiddetta Big pharma. L’unico farmaco per la depressione a base di un allucinogeno finora approvato e commercializzato è lo spray Spravato, della Janssen, a base di esketamina. «La ketamina non si poteva proteggere tramite dei brevetti, per cui Janssen ha creato questa versione della ketamina che è quasi la stessa cosa ma non proprio, così che ha potuto avere un brevetto e poi chiaramente far pagare penso 600 volte di più quello che la dose di ketamina generalmente costa», spiega il direttore strategico di Maps, Federico Menapace, ricordando invece che le non profit portano avanti una strategia opposta, anti-brevetti, per far arrivare i benefici della ricerca a più persone possibile, anche in quei Paesi in via di sviluppo con problemi endemici di salute mentale. Menapace ha 38 anni, viene dal Trentino e dal 2011 vive nella zona di San Francisco. Dopo un master in business administration alla Stanford university e una carriera in un altro settore, ha iniziato a lavorare per Maps, motivato dal portare un miglioramento nella vita di quante più persone possibile che soffrono a causa di traumi e altri problemi mentali.

 

Se finora abbiamo parlato solo di non profit e di start-up, non è perché le aziende di Big pharma dormono al passare del treno. Forse si muovono in modo cauto per una questione di reputazione, risentendo ancora degli effetti dello scandalo degli oppioidi. Forse stanno aspettando che ci siano risultati più concreti per poi fare shopping di piccole aziende.

 

«Generalmente uno dei modi in cui portano i nuovi medicinali è anche quello di acquisire i diritti di ricerca delle startup», sottolinea Menapace, aggiungendo che è poi «possibile che Big pharma stia sviluppando le proprie ricerche interne, magari in silenzio».

 

Maps, intanto, con la terapia a base di Mdma in dirittura d’arrivo, è già al lavoro sui passi successivi. «Stiamo formando migliaia di terapeuti negli Stati Uniti e non vediamo l’ora di poter venire a farlo anche in Italia in futuro», afferma il direttore strategico. Che infine ammette:«Personalmente parlando, questo lavoro lo faccio anche perché voglio portarne i risultati nel nostro Paese».