Proteste
Quando le Olimpiadi diventano un campo di battaglia politico: storie di boicottaggi e di esclusioni
La decisione degli Stati Uniti (e non solo) di non mandare il personale diplomatico a Pechino 2022 è un atto tutt’altro che isolato. Da Melbourne a Seul quante volte lo sport è stato terreno di scontri di potere
Le Olimpiadi invernali di Pechino 2022 sono diventate un vero e proprio campo di battaglia politico. I primi sono stati gli Stati Uniti, decisi a boicottare diplomaticamente i Giochi e lanciare così un messaggio diretto alla Cina per denunciare le pressioni su Taiwan, la repressione degli oppositori a Hong Kong e la violazione dei diritti umani nei confronti della minoranza musulmana uigura nella territorio dello Xinjiang. Una mossa apprezzata dagli attivisti che lottano per i diritti degli uiguri, in quanto «in questo modo sono stati messi al centro del dibattito mondiale». Alla presa di posizione dell’amministrazione Biden si sono poi aggiunti Australia e Regno Unito, membri della nuova alleanza strategica, militare e di sicurezza Aukus, nata con l’obiettivo di contenere, appunto, la Cina. Ad allungare la lista dei Paesi schierati contro Pechino anche Kosovo, Lituania, Nuova Zelanda e Canada, che non manderanno nessun rappresentante ufficiale del governo ai Giochi.
Accuse rispedite immediatamente al mittente dal governo di Xi Jinping. «Le Olimpiadi non saranno il palcoscenico di manipolazioni politiche», «gli americani parlano di boicottaggio senza nemmeno essere invitati» e «a nessuno importa del boicottaggio annunciato dell’Australia», le dichiarazioni fatte filtrare dal ministero degli Esteri cinese. «La mossa dimostra a tutti che il governo australiano sta seguendo ciecamente le orme di un certo Paese», ha fatto sapere il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin, annunciando inoltre che «questi Stati pagheranno per i propri errori». È possibile, seppur non scontato, che anche l’Unione Europea possa prendere posizione sull’argomento, ma trovare una linea unitaria appare difficile. Francia e Germania hanno già fatto sapere che non boicotteranno le Olimpiadi, anche a causa del timore di eventuali ripercussioni commerciali. Tutto ciò accade inoltre in un periodo in cui la Cina è sotto accusa per la vicenda della tennista cinese Peng Shuai, sparita per diverse settimane dopo aver denunciato sul social Weibo le molestie subite da parte dell’ex vicepremier Zhang Gaoli.
Limitiamoci però al boicottaggio dei Giochi olimpici. La protesta, capitanata dagli USA, ha una forma piuttosto “soft” rispetto al passato, in quanto gli sportivi di tutti i Paesi coinvolti potranno prendere parte alle competizioni previste dal quattro al venti febbraio 2022. Saranno solamente i rappresentati del governo i grandi assenti a Pechino, un po’ come accaduto nel 2014 alle Olimpiadi invernali di Sochi, quando sia il presidente Barack Obama che sua moglie Michelle e l’allora vicepresidente Joe Biden rinunciarono al viaggio in Russia per protestare contro la linea del Cremlino nei confronti dei diritti degli omosessuali.
Sarebbe infatti ingiusto impedire agli atleti di partecipare all’appuntamento più importante del quadriennio olimpico dopo anni di allenamenti e duro lavoro. Ma non dimentichiamoci nemmeno dell’aspetto meno romantico ovvero delle cifre di denaro e degli accordi commerciali che garantiscono ad atleti e federazioni numerosi introiti, senza tralasciare i contratti legati ai diritti tv e alle sponsorizzazioni di vario genere. «Ciò che sta facendo Biden, piuttosto che esporsi alle critiche per il fatto di infliggere ai propri atleti una punizione più pesante rispetto a quella inflitta al governo cinese, è inviare un messaggio diplomatico di disapprovazione», ha spiegato al Washington Post John Soares, esperto di politica alle Olimpiadi e docente all’Università di Notre Dame. Anche per questo motivo nel 2022 assisteremo a un boicottaggio olimpico diverso e decisamente meno pesante rispetto al passato, quando sono stati gli stessi atleti ovvero i principali protagonisti delle Olimpiadi a (dover) disertare i Giochi.
A Mosca 1980 solamente 80 Paesi
I boicottaggi più eclatanti nella storia risalgono agli anni Ottanta, quando la “partita” non si giocava sull’asse Washington-Pechino, bensì tra la capitale degli USA e Mosca. Le Olimpiadi moderne furono segnate in maniera indelebile dalla decisione degli USA del presidente Jimmy Carter di boicottare, totalmente, le Olimpiadi di Mosca del 1980. La motivazione? Mandare un segnale forte e chiaro in seguito all’invasione sovietica dell’Afghanistan avvenuta l’anno precedente. Netta in quell’occasione la presa di posizione degli alleati USA, con 65 Paesi, tra cui Canada, Israele, Giappone, Germania Ovest ma anche Cina - a testimonianza di come cambino i rapporti nell’arco di 40 anni - che non mandarono i propri atleti a Mosca. Da segnalare invece come gli sportivi dell’Afghanistan invaso parteciparono ai Giochi, mentre alcuni Paesi alleati, tra cui l’Italia (indimenticabili gli ori nell’atletica leggera di Pietro Mennea, Sara Simeoni e Maurizio Damilano), permisero ai propri atleti di gareggiare sotto la bandiera olimpica. Possibilità non concessa però agli sportivi USA: chi avrebbe partecipato avrebbe perso il proprio passaporto americano. Da segnalare come il boicottaggio olimpico non portò a grandi risultati diplomatici, visto che la guerra in Afghanistan durò fino al 1989. Fallimenti simili vennero registrati anche negli altri casi di boicottaggio olimpico. A perderci fu quindi soprattutto lo sport, con solamente 80 Paesi partecipanti, record negativo dopo l’edizione del 1956. Ne conseguì inoltre un dominio dell’URSS, prima nel medagliere con 195 medaglie conquistate, record in grado di resistere fino ai giorni nostri.
A Los Angeles la risposta dell’URSS
Dopo la scorpacciata di medaglie del 1980 la risposta dell’URSS non si fece attendere, visto che nel 1984 fu Mosca a “controboicottare” i Giochi di Los Angeles, più per ripicca che per delle vere e proprie motivazioni valide. Un atto di protesta meno rilevante rispetto a quello di quattro anni prima, visto che furono solamente 14 i Paesi, tra cui la Germania Est, a sposare il progetto sovietico di boicottaggio. Furono invece ben 140 gli Stati rappresentati nella Città degli Angeli, orfana dunque solamente della maggior parte del blocco sovietico, il che rappresentò un nuovo record di presenze, con gli USA a padroneggiare nel medagliere con 83 medaglie all’attivo. Da segnalare i 32 podi (come quelli dell’Italia) ottenuti dalla Cina, presente a un’edizione dei Giochi estivi per la prima volta dal 1952. Le Olimpiadi di Los Angeles furono un successo anche dal punto di vista economico. I Giochi furono infatti l’evento più visto fino a quel momento in televisione, ma il seguito fu enorme anche dal vivo, in quanto gli organizzatori vendettero quasi il doppio dei biglietti rispetto all’edizione precedente e anch’essa nordamericana di Montreal 1976.
Il bagno di sangue di Melbourne
Vi furono però anche casi di boicottaggi sportivi meno famosi, in quanto messi in atto da Paesi meno influenti rispetto agli Stati Uniti. Se nel 1936 nessuno decise di dare forfait ai Giochi organizzati a Berlino dalla Germania nazista, il primo boicottaggio ufficiale avvenne nel 1956, quando a Melbourne, in Australia, non si presentarono Cina, Egitto, Iraq, Libano, Cambogia, Paesi Bassi, Spagna e Svizzera. I motivi all’origine della protesta furono differenti. Paesi Bassi, Spagna e Svizzera non mandarono i propri atleti in seguito all’invasione dell’Ungheria da parte dell’Armata Rossa, intervenuta per fermare la rivoluzione ungherese contro il regime comunista. Da segnalare come la stessa Ungheria prese parte ai Giochi, andando a conquistare la medaglia d’oro nella pallanuoto maschile dopo una vittoria proprio contro i sovietici in un match ad altissima tensione, terminato in anticipo (sul 4:0 dell’Ungheria sull’URSS) a causa di una feroce rissa e soprannominato poi “Bagno di sangue di Melbourne”. La Cina decise di non partecipare a causa del permesso di prendere parte ai Giochi accordato separatamente a Taiwan, tema di grande attualità anche ai giorni nostri. Il boicottaggio di Egitto, Cambogia, Iraq e Libano fu invece dovuto alla Crisi di Suez, scaturita in seguito all’invasione militare dell’omonimo canale da parte di Francia, Regno Unito e Israele.
L’apartheid e i GANEFO
Nel 1964 furono Cina, Indonesia e Corea del Nord a non partecipare ai Giochi di Tokyo - i primi organizzati in Asia - dopo l’annuncio del Comitato olimpico internazionale (CIO) di voler squalificare tutti gli atleti che nel 1963 presero parte ai Giochi delle Nuove Forze Emergenti (GANEFO) di Giacarta. Anche in questo caso si trattò di una decisione politica e commerciale, in quanto i GANEFO nacquero come una specie di contro-Olimpiade ovvero un evento sportivo competitivo multinazionale alternativo ai Giochi e furono visti come una sfida al dominio assoluto del Comitato olimpico internazionale negli sport globali. I giochi di Tokyo 1964 furono inoltre anche i primi in cui venne escluso il Sudafrica a causa dell’apartheid. I sudafricani per tornare ai Giochi olimpici dovettero attendere il 1992, ovvero l’anno successivo all’abolizione della politica di segregazione razziale.
Il boicottaggio africano
L’apartheid fu decisivo anche nel boicottaggio da parte di una trentina di Paesi africani dei Giochi olimpici canadesi di Montreal 1976. La decisione, presa dal gran parte del continente, fu dovuta a dei motivi sportivi, benché extra-olimpici. Gli Stati africani reagirono infatti a causa del comportamento della Nuova Zelanda, rea di aver disputato con la propria nazionale di rugby delle partite in Sudafrica contro diverse formazioni locali nonostante una specie di embargo caldeggiato dall’ONU in seguito all’introduzione dell’apartheid. Su proposta della Tanzania il Consiglio Superiore dello Sport Africano chiese agli organizzatori di revocare l’invito di partecipazione alla Nuova Zelanda e annunciò, in caso di richiesta respinta, il boicottaggio dei Giochi. Il CIO sostenne di non poter intervenire, giustificandosi con il fatto che il rugby non fosse una disciplina olimpica. La maggior parte degli atleti africani - con l’importante eccezione degli sportivi provenienti da Costa d’Avorio e Senegal - lasciò così le Olimpiadi. A boicottarle anche Taiwan, alla quale, in seguito all’esclusione della Cina, venne negata la possibilità di presentarsi in Canada con il nome di “Repubblica di Cina”.
Gli ultimi Giochi della Guerra fredda
Si tennero invece nel 1988 a Seul, in Corea del Sud, gli ultimi Giochi olimpici nel periodo della Guerra fredda e dunque anche le ultime Olimpiadi con delle defezioni volontarie. Il boicottaggio in questo caso fu capitanato dalla Corea del Nord, offesa per non aver potuto organizzare i Giochi assieme ai propri vicini/rivali. Un atto di protesta che fu un semi flop, con l’Unione sovietica e la Cina che presero parte alle Olimpiadi, mentre la Corea del Nord venne supportata solamente da cinque Paesi del blocco orientale, tra cui Cuba con Fidel Castro che fu uno dei critici maggiormente esposti dei Giochi sudcoreani.
Un contrasto, quello tra le due Coree, appianato almeno sul piano sportivo dalla squadra composta da atlete nordcoreane e sudcoreane che gareggiò con il nome di “Corea” nel torneo di hockey su ghiaccio femminile alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang 2018. Team congiunti che Seul sperava di replicare nel 2021 a Tokyo, ma in quest’occasione ad allontanare il riallaccio dei rapporti diplomatici dei due Paesi si mise di mezzo il virus, in quanto la Corea del Nord rinunciò alla partecipazione ai Giochi olimpici per evitare il contagio.
Nemmeno le Olimpiadi nipponiche furono tuttavia esenti da scandali, in quanto a Tokyo furono gli atleti russi a dover partecipare sotto la bandiera olimpica. Le accuse di doping sistematico, in cui fu coinvolta la federazione russa, costringeranno infatti Mosca a rinunciare a bandiere e simboli nazionali anche a Pechino 2022. Le Olimpiadi non saranno mai un semplice evento sportivo.