Troppe spese. Nonostante la Commissione Europea abbia approvato la manovra finanziaria italiana, che è in discussione in questi giorni al Parlamento per essere varata entro fine anno, Bruxelles sostiene che il tallone d’Achille della legge di bilancio sia l’eccesso di spesa pubblica corrente, quella destinata a stipendi, pensioni e sussidi. Lo ha detto anche Kristalina Georgieva, direttore del Fondo Monetario Internazionale, complimentandosi con l’Italia per i tassi di crescita raggiunti, ma aggiungendo che «il bilancio 2022 prevede una riduzione delle imposte sul reddito e un aumento della spesa sociale complessiva, che è una cosa buona, ma forse non sostenibile nel medio termine».
Infatti il prossimo anno nelle casse pubbliche entreranno dieci miliardi in meno del previsto: questo perché si ridurranno le imposte sui redditi, grazie al taglio dell’Irpef e dell’Irap, e perché lo Stato applicherà uno sconto da due miliardi sulle bollette energetiche, mentre saranno spesi diciotto miliardi in più per famiglie e pensionati, aumentando il reddito di cittadinanza, introducendo l’assegno unico per i figli (che sostituirà le detrazioni per figli) e indicizzando le pensioni all’inflazione.
Ecco spiegato perché aumenta la spesa pubblica corrente. Al contrario il governo lascia al palo gli investimenti per servizi e welfare, che intende sostenere con i 50 miliardi europei del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. «Ma il Pnrr investe soprattutto nelle dotazioni fisiche, mentre servirebbero più risorse per migliorare la qualità e la quantità dei servizi, per sanità, scuola e trasporti. Secondo il governo, gli investimenti del Pnrr garantiranno dei risparmi tali da coprire le maggiori risorse necessarie per il welfare e i servizi, ma non c’è alcuno studio o documento a supporto di tale affermazione», spiega l’economista Elena Granaglia, docente di Scienza delle Finanze all’Università di Roma Tre, che continua: «Chiediamoci se una famiglia, che deve occuparsi di un malato di Alzheimer, non preferirebbe un servizio di cura efficace, anziché i due o trecento euro in più della riduzione Irpef in busta paga. Perché il taglio delle tasse mette a repentaglio proprio il sistema di cura. Ricordo che, a fronte degli otto miliardi di riduzione delle imposte sui redditi, la legge di bilancio destina solo 100 milioni alla non autosufficienza».
La verità è che il governo Draghi, per mantenere compatta la maggioranza, ha dovuto accontentare tutte le forze politiche al suo interno, ripercorrendo il sentiero già seguito in passato di un generico aumento della spesa pubblica in denaro, anziché sostenere i costi di welfare e servizi. Dalle elaborazioni di Massimo Baldini, professore di Politica Economica all’Università di Modena e Reggio Emilia, sui conti della protezione sociale dell’Istat si scopre che (a valori reali al 2020), nel 2000 la pubblica amministrazione aveva versato nelle tasche degli italiani 262 miliardi di euro, schizzati a 361 nel 2019 e quasi 400 nel 2020: significa che in vent’anni la spesa sociale in denaro versata ai cittadini è cresciuta in termini reali del 52 per cento. La parte del leone la giocano le pensioni, cresciute da 226 a 291 miliardi, anche se ad essersi impennato è soprattutto l’esborso per fronteggiare l’impoverimento delle famiglie, cioè disoccupazione, assistenza, famiglia ed esclusione sociale. «È esplosa la spesa per la disoccupazione e la cassa integrazione, passata da 6,5 miliardi del 2000 a 19,5 nel 2019, per poi crescere di altri 13 miliardi nell’anno eccezionale della pandemia. Mentre la spesa in denaro per esclusione sociale è salita da poche centinaia di milioni nel 2000 a 21 miliardi nel 2020», spiega Baldini. La spesa sociale in denaro è salita di 8,4 punti di pil tra 2000 e 2020 (da 15,8 a 24,1 per cento), mentre quella in servizi di due punti (da 5,5 a 7,5 per cento).
Nel settore sanitario, stando ai dati del Cergas Bocconi, lo Stato spende mediamente 950 euro per cittadino, ma solo 360 servono a finanziare il servizio sociosanitario, gli altri 590 euro finiscono direttamente nelle tasche degli italiani che decidono, in totale autonomia, come usare quel denaro. «Gli italiani si lamentano spesso della bassa qualità ed efficienza del servizio sanitario nazionale, ma dovrebbero prendersela con se stessi che, sostenendo (con il proprio voto) misure quali Quota 100 e il taglio delle imposte sulla casa, hanno tolto risorse a un migliore equipaggiamento dei nostri ospedali», sintetizza Francesco Longo, docente di Economia alla Bocconi di Milano. E se anche si volesse sostenere che i trasferimenti in denaro alla popolazione sono un contributo alle fasce più povere, i dati Ocse lo smentiscono. Al contrario, nonostante l’introduzione del reddito di cittadinanza, i più ricchi ricevono il 38 per cento di tutti i trasferimenti ai cittadini, mentre i più poveri solo il 13 per cento.
L’aumento della spesa in denaro ha una duplice motivazione. «Da un lato c’è il tentativo della politica di ottenere maggior consenso elettorale, offrendo agli elettori sconti fiscali o maggiori ritorni economici per il bilancio famigliare, che sono molto visibili e graditi. Dall’altro c’è una popolazione impoverita dalla crisi economica del periodo 2008-13, ulteriormente indebolita dalla crisi provocata dal Covid e che, non avendo redditi adeguati, chiede maggiore assistenza diretta da parte della pubblica amministrazione», spiega il professor Baldini.
Precursore delle mance a scopo elettorale fu Silvio Berlusconi: nel 2008 vinse le elezioni puntando sull’esenzione della tassa sulla prima casa, che fa dell’Italia un unicum, perché (insieme a Malta) è l’unico paese europeo dove non si paga questa imposta. Il tributo sull’abitazione è poi stato abolito dal governo Letta nel 2014, provocando un ammanco di quattro miliardi l’anno alle casse pubbliche, ovvero 36 miliardi di mancato gettito in otto anni. Un’altra buonamano elettorale è stata l’introduzione degli 80 euro del Bonus Renzi avvenuta a ridosso delle elezioni europee, contribuendo all’exploit del Pd al 40 per cento e costata allo Stato 112 miliardi. Il modello è stato replicato da Lega e Cinque Stelle che a fine aprile 2019, poco prima della nuova tornata elettorale, hanno dato il via all’erogazione dei primi assegni del reddito di cittadinanza e della prima finestra di quota 100. L’accollo per lo Stato è finora di sei miliardi per l’anticipo pensionistico e 20 miliardi per il Reddito di Cittadinanza.
Nella Finanziaria 2022 di prossima approvazione viene mantenuta tutta questa costellazione di sgravi e contributi, da Quota 102 per alleviare il peso della Legge Fornero, al miliardo in più per il Reddito di Cittadinanza, fino a una miriade di agevolazioni, regimi speciali, esenzioni, bonus edilizi, sgravi Irpef, ovvero le misure agevolative fiscali, che da sole sono costate 55,4 miliardi di euro nel 2021. Nel 2019, ultimo dato disponibile, sei miliardi se ne sono andati per le detrazioni fiscali al 19 per cento, come le spese sanitarie, le assicurazioni sulla vita, le spese per i mezzi pubblici, quelle per il veterinario o per l’attività sportiva dei figli, altri 7,4 per il recupero del patrimonio e 1,8 per il risparmio energetico.
«Escluse le detrazioni per lavoro e quelle per la famiglia, che nel 2021 complessivamente valgono 48 miliardi, tutte le altre voci di esenzione e riduzione dell’imponibile offrono uno sconto fiscale che si traduce in un equivalente minor gettito per la pubblica amministrazione e una maggior spesa per le casse pubbliche», commenta Simone Pellegrino, professore di Scienza delle Finanze all’Università di Torino, che aggiunge: «La Finanziaria in discussione al Parlamento conferma questo impianto, dal momento che non ci sono stati tagli o interventi sulle spese fiscali o sulle detrazioni».
La manovra economica è espansiva e prevede di immettere nell’economia italiana 23 miliardi di euro di maggiore spesa corrente e, come ha detto il ministro dell’Economia Daniele Franco, continuerà a sostenere l’economia almeno fino al 2024, cioè finché il Pil e l’occupazione non avranno recuperato sia la caduta del 2020, sia la mancata crescita del periodo pre-Covid. L’aumento della spesa è reso possibile dal rimbalzo del Pil - più 6,2 per cento nel 2021 - che ha garantito 8 miliardi di maggiori entrate, un tesoretto che servirà a sostenere le misure previste dalla manovra finanziaria: «Una politica espansiva ha sicuramente un effetto positivo nel breve periodo, ma non è detto che queste maggiori spese abbiano un esito duraturo sulle possibilità di crescita di lungo termine e che portino maggiori entrate e più ricchezza», commenta Baldini. Sul punto è intervenuta anche la Banca d’Italia, sostenendo che «sarebbe opportuno che eventuali margini di manovra derivanti da un andamento dei conti pubblici migliore delle attese venissero utilizzati per accelerare il processo di riduzione del debito», ha detto il capo del servizio economico, Fabrizio Balassone.
Al contrario il governo ha creato un fondo da otto miliardi destinati alla rimodulazione delle aliquote Irpef, alle modifiche delle detrazioni fiscali, ma anche alla riduzione dell’Irap per i lavoratori autonomi. Le aliquote si ridurranno da cinque a quattro e il vantaggio fiscale andrà soprattutto a chi guadagna fra i 40 e i 60 mila euro lordi - quindi non proprio ai più poveri - facendo loro risparmiare fra i 600 e i 920 euro anni. Mentre il sessanta per cento dei sette miliardi di riduzione del gettito Irpef sarà destinato ai redditi fino a 28 mila euro, fascia dove si concentra l’80 per cento dei contribuenti, con un risparmio massimo di 336 euro. Da qui lo scontento dei sindacati, Cgil e Uil in testa che hanno dichiarato lo sciopero generale.
E mentre la tensione si è surriscaldata per qualche centinaio di euro in più in busta paga, nessuno ha preso le difese del welfare e dei servizi, che continuano ad essere Cenerentola del paese. Dice la Fondazione Gimbe che fra tagli e minori entrate, il Servizio Sanitario Nazionale ha perso negli ultimi dieci anni 37 miliardi di euro rispetto alle ottimistiche previsioni di spesa ripetutamente formulate dal governo, non riuscendo neppure a stare al passo con l’inflazione. Stesso discorso per i trasporti pubblici: stando ai dati di Legambiente le risorse statali per il servizio di trasporto ferroviario regionale tra il 2009 ed il 2019 sono diminuiti del 21,5 per cento. Infine l’istruzione pubblica dove, secondo i dati Eurostat, l’Italia nel 2010 aveva speso il 4,3 per cento del Pil, sceso al 3,9 nel 2019. La Finanziaria, dunque, taglia l’Irpef, mettendo i politici d’accordo, e lascia a scuola, sanità e trasporti solo gli spiccioli.