Nel caso di Greta Beccaglia si ripete il solito copione. Minimizzazione, colpevolizzazione della vittima, comprensione per l’aggressore

L’episodio accaduto a Greta Beccaglia, molestata in diretta televisiva fuori da uno stadio, è solo uno delle migliaia di casi che tutti i giorni segnano la vita delle donne, in modo particolare nei luoghi di lavoro, dove reagire a un abuso fisico è più difficile e spesso può avere conseguenze peggiori della molestia stessa. L’evenienza che l’episodio sia diventato di dominio pubblico ne ha però fatto un ottimo esempio per capire cosa sia la cultura dello stupro in questo paese.

 

Per cultura dello stupro - secondo la definizione che ne danno Buchwald, Fletcher e Roth nel 1975 nel documentario intitolato proprio “Rape culture” - si intende il complesso di credenze che incoraggiano l’aggressività sessuale maschile e supportano la violenza contro le donne. «Dentro a questo quadro di convinzioni», spiegano le autrici, «la violenza è vista come sexy e la sessualità come violenta. Le donne che vivono in questa cultura percepiscono un continuum di violenza minacciata che spazia dai commenti sessuali alle molestie fisiche, fino ad arrivare allo stupro stesso. Una cultura dello stupro condona come normale il terrorismo fisico ed emotivo contro le donne e costringe tutti - maschi e femmine - ad assumere la convinzione che la violenza sessuale sia un fatto della vita, inevitabile come la morte e le tasse». La donna che vive dentro questo scenario impara prestissimo che in ogni circostanza può accaderle una cosa come quella che è avvenuta a Greta Beccaglia. Sul tram, in discoteca, in ufficio, in un gruppo di conoscenti o persino in un luogo pubblico tra perfetti estranei, sa che il suo corpo può essere ritenuto territorio accessibile a prescindere dal suo consenso.

 

Questa eventualità è talmente normalizzata che, se si verifica sotto gli occhi di tuttǝ, il racconto che se ne fa segue un tracciato sempre identico. Il primo passo è l’invito a minimizzare, a “essere superiore”, un evidente ossimoro in una situazione in cui qualcuno ti sta molestando proprio perché pensa che tu per dignità gli sia inferiore. Se insisti a protestare, allora comincia la parte più difficile da sopportare: la vittimizzazione del carnefice e la tua colpevolizzazione. In questo processo lui diventa un povero cristo che ha esagerato, tu invece una che ci sta marciando per chissà quali secondi fini. Lui verrà descritto come un padre di famiglia e gran lavoratore, stimato da tuttǝ, che ha avuto un momento di goliardia; tu invece sarai una spietata irragionevole che vuole rovinargli la vita per uno sbaglio di pochi secondi. Persino la compagna del tuo molestatore, se ne ha una, sarà messa nelle condizioni di poter dire in qualche intervista che lui è un burlone, un gigante buono un po’ estroverso, e così sarà un’altra donna a far sembrare te come una stronza esagerata in cerca di visibilità. Fior di editorialistǝ diranno che stai sollevando un polverone per nulla, che i veri problemi sono altri e che sarà mai una pacca sul sedere a fronte delle decine di morti sul lavoro.

 

Tutto questo, accaduto a Greta Beccaglia la scorsa settimana, accade ogni giorno nella vita delle donne che cercano di dire, ciascuna con la propria voce, che no, non è normale che qualcuno possa disporre del tuo corpo come se tu non esistessi. In questo quadro ci sono però due segni positivi. Il primo è che Beccaglia ha affermato che andrà fino in fondo con la denuncia. Speriamo tutte che non cambi idea, perché darà la forza di denunciare a decine di donne che altrimenti penserebbero che contro quell’abuso non c’è battaglia possibile. Il secondo è che la soglia di sensibilità collettiva si è alzata.

 

Nel 2016 il rapper Salmo durante la sua esibizione al concerto del 1° maggio, fece la stessa cosa a Mariolina Simone, che presentava insieme a Luca Barbarossa. I due conduttori si scambiarono uno sguardo sconcertato, ma non poterono protestare, perché il pubblico adrenalinico e la repentinità del gesto divorarono ogni margine di reazione. Oggi, e lo dobbiamo anche al movimento MeToo, la protesta pubblica c’è e i tentativi di disinnescarla riportando l’abuso a ragazzata appaiono sempre più per quel che sono: atti di ingiustificabile complicità.