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Inchieste
marzo, 2021

«Contro i trafficanti di rifiuti servono strumenti antimafia»

Il generale Maurizio Ferla, comandante dei carabinieri per la Tutela ambientale: per colpire il patrimonio degli "inquinatori socialmente pericolosi" necessarie norme simili a quelle già previste per la criminalità organizzata

È un’immagine datata quella delle mafie che gestiscono in presa diretta i traffici illegali di rifiuti. Gran parte del business ormai è nelle mani di gruppi imprenditoriali che hanno sporadici e occasionali contatti con la criminalità organizzata. D’altra parte, gli stessi gruppi sono in grado di reclutare professionisti capaci di mimetizzarsi nel ciclo dell’economia legale. Il generale Maurizio Ferla, comandante dei carabinieri per la Tutela ambientale, vanta una lunga esperienza nel contrasto ai boss dell’ecomafia. Già una trentina di anni fa, in forze al nucleo operativo di Napoli, Ferla ha indagato sulla camorra che si arricchiva inquinando la Terra dei fuochi. Da allora lo scenario è molto cambiato. «Abbiamo di fronte», spiega il generale, «associazioni criminali che tirano le fila di vere e proprie aziende in grado di espellere dal mercato o di assorbire i concorrenti che operano rispettando la legge».


Comandante, è corretto affermare che il vostro lavoro è di molto aumentato da quando la Cina nel 2018 ha bloccato l’import di rifiuti sul proprio territorio?
«Lo scenario è in continua evoluzione, non solo per i provvedimenti di Pechino. Va ricordato che da quest’anno, come deciso dall’Unione europea, è in vigore il divieto all’esportazione dei rifiuti comunitari verso paesi in via di sviluppo fuori dall’area Ocse».


Quindi anche i trafficanti saranno stati costretti a cambiare rotta.
«Le nostre attività ispettive hanno appurato che i traffici illegali si dirigono in massima parte verso i Paesi africani e del sud-est asiatico, dove i costi di smaltimento sono inferiori e le attività di controllo meno puntuali. Grande rilievo hanno anche i flussi verso l’Europa dell’Est, dove la disponibilità di impianti di vecchia concezione offre elevate capacità di smaltimento a basso costo, spesso tramite la combustione, con grave danno per l’ambiente».


Nel frattempo, anche per effetto del blocco cinese, è aumentata la quantità di rifiuti che vengono smaltiti illegalmente in Italia.
«Proprio così. Come noto, le imprese criminali, per aumentare i margini di profitto ed evitare i controlli, bruciano i rifiuti che hanno acquisito a prezzi fuori mercato. Sempre più spesso, però, le stesse organizzazioni sono alla ricerca di capannoni industriali in disuso in cui stipare enormi quantitativi di materiali. Questi siti diventano delle bombe ecologiche i cui costi di smaltimento ricadono per intero sulla collettività».


E lo Stato, sul fronte investigativo, come ha reagito di fronte a questa nuova realtà?
«A partire dal 2015 l’Italia, su sollecitazione dell’Unione europea, si è progressivamente dotata di un corpus di norme che permettono di perseguire penalmente una serie di delitti di carattere ambientale. Il contrasto alle attività illecite è però complicato dal fatto che ci troviamo di fronte a una filiera criminale molto articolata. Si parte dall’azienda che raccoglie il rifiuto per poi cederlo a un’altra ditta lo prende in deposito, un’altra ancora che lo lavora e lo trasforma e infine quelle che completano lo smaltimento. Tra un passaggio e l’altro intervengono gli autotrasportatori e anche intermediari e broker che mettono in contatto i vari soggetti coinvolti».

 

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Questa frammentazione che cosa comporta?
«I vari anelli della catena non sono tutti in contatto tra loro e quindi diventa difficile contestare l’associazione per delinquere. Di conseguenza le organizzazioni criminali non possono essere colpite con i sequestri preventivi, che per i reati ambientali sono consentiti dal codice penale solo se al traffico illecito si aggiunge, appunto, anche il reato associativo. Per questo sarebbe auspicabile l’introduzione di nuove norme che ci consentano di identificare e punire quelli che possiamo definire “inquinatori socialmente pericolosi”».


A quali norme si riferisce?
«Oltre alle misure di prevenzione patrimoniale potrebbe essere estesa ai reati ambientali anche l’applicazione della responsabilità penale degli enti e delle società (legge 231), oppure il sequestro e confisca dei beni con affidamento alla polizia giudiziaria. Il precedente governo aveva messo a punto un primo importante provvedimento in questa direzione. Era il cosiddetto disegno di legge Terra mia, che però non è mai approdato in Parlamento».

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