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"Anche nella musica è ora di prendere la distanze dalla mascolinità tossica"

La scrittrice impegnata sul linguaggio e il rapper Shade dialogano su stereotipi e libertà creativa. "Molti vedono davvero i gay come persone malate da curare e le donne come il sesso inferiore. Il problema è che molti di questi miei colleghi ignoranti vengono poi presi come idoli da ragazzini che tendono a emularli"

L’arte di usare le parole in questi anni ha dovuto confrontarsi con una richiesta di cambiamento senza precedenti. La sensibilità sulle conseguenze del linguaggio è cresciuta al punto che parole che fino a pochi anni fa erano considerate normali, oggi sarebbero inaccettabili in qualunque contesto. Non si può più insultare qualcuno dandogli del “mongoloide”. Non è più consentito nei titoli di giornale associare una nazionalità a un reato come se fossero in rapporto di consequenzialità. Dare del frocio a qualcuno come fosse un insulto è molto meno accettato di vent’anni fa. Anche nel confronto di genere è diventato più difficile usare stereotipi denigratori. Quello verso le donne è però un linguaggio che cambia con più fatica. Da un lato si ha paura che il politically correct - che poi sarebbe il linguaggio rispettoso - riduca la spontaneità della comunicazione, dall’altro c’è chi sostiene che quella sulle parole sia una battaglia superata. Ne ho parlato con Shade, freestyler e artista della scena hip pop, uomo di un’altra generazione che con le parole lavora spesso anche in improvvisazione, quando c’è meno tempo per pensare e più facilmente puoi trovarti in bocca il primo clichè.

 

Vieni dall’hip pop, dove il linguaggio sessista è costante, le eccezioni sono pochissime e spesso criticate come politically correct da un mondo che della scorrettezza ha fatto sempre la sua cifra. Per molti versi è vero anche nella letteratura, che è piena di penne che con la scorrettezza hanno scritto capolavori. Mi chiedo spesso in che rapporto stiano la libertà artistica e il rispetto. Rinunciare a discriminare limita le possibilità di espressione?

«Non credo che rinunciare a discriminare limiti l’arte, anzi, se riesci a vincere una sfida di freestyle senza ricorrere a certe cose, è proprio allora che sei bravo davvero. Oggi ho rivisto una mia vecchia “battle”, ci ho beccato una rima omofoba e mi sono vergognato. Fino a qualche anno fa era quasi normale usare appellativi come “frocio” o “ricchione” in senso dispregiativo, eppure so che moltissimi tra quelli che lo facevano non erano omofobi. Ovviamente sono sfide basate sugli insulti, quindi è normale ci siano anche parole volgari. Nel freestyle vale tutto. Se sfidassi una donna sarebbe lecito dirle le peggiori cose e sarebbe a maggior ragione corretto, dal momento che è la stessa cosa che farei con un uomo. Il problema però non sta tanto nella sfida, che come ti ho detto ha un contesto e una modalità, ma nel modo di pensare di tante persone all’interno della scena rap, dove molti vedono davvero i gay come persone malate da curare e le donne come il sesso inferiore. Il problema è che molti di questi miei colleghi ignoranti vengono poi presi come idoli da ragazzini che tendono a emularli. La situazione non migliora mai in questo modo».

 

Però qualcosa sta cambiando. Pensavo al Sanremo dell’anno scorso, a Achille Lauro e alla sua tutina, e a molte sue interviste in merito, nelle quali per la prima volta ho sentito una dicitura come “mascolinità tossica” - che è patrimonio tecnico del femminismo - entrare nel linguaggio comune e per di più in bocca a un maschio. Mi ha dato speranza, perché forse un certo modello machista si sta rivelando insostenibile per gli stessi uomini, stanchi di adeguarsi a un’idea precostituita di dominanza, muscolarità e prevaricazione. Hai mai sentito su di te il peso di questa aspettativa? Credi che per i ragazzi più giovani la consapevolezza di doversi ribellare a questo stereotipo sia maggiore? Io se fossi maschio mi sentirei addosso un’ansia da performance da incubo. Nel mondo letterario i pochi scrittori che hanno esplicitato la questione della differenza dei ruoli di genere lo hanno fatto con un certo compiacimento, come se in fondo, anche quando apparentemente critici, la rivendicassero.

«È una pressione che esiste e ancora oggi ogni tanto arriva qualcuno che mi chiede se sono gay solo perché magari sono sensibile ed empatico con le persone che mi seguono e non tendo a essere quel modello di rapper a cui sono abituati tutti. Quando condivido contenuti di natura femminista, molti rimangono scioccati e devo spiegare sempre cose ovvie, come il fatto che il femminismo non è l’equivalente del maschilismo. Dopo un po’ mi sono stufato e anche se non ho indossato un body sul palco più ambito d’Italia per manifestarlo, a modo mio ho preso le distanze da quel pregiudizio. Tante volte per questo mi dicono “non sei un vero rapper”, ma onestamente se essere un vero rapper significa essere quella così lì mi sta anche bene essere altro. La stessa cosa viene detta a Lauro e credo che anche a lui vada benissimo essere percepito come altra cosa. Spero che siano sempre di più gli artisti a fare un passo verso questa direzione. Fedez è stato criticato per lo smalto sulle unghie e anche lui ha preso una posizione a riguardo. Spero che i più piccoli capiscano che c’è una scelta di posizione all’origine di questi gesti, perché nel mondo della musica non siamo molti ad aver preso le distanze da quella che hai chiamato giustamente “mascolinità tossica”. Non c’è niente di cui aver paura a inventarsi un altro modo di essere uomini».

 

A proposito di paura, tu hai paura di me? Te lo chiedo perché di tutte le frasi sessiste che ricevo, “spaventi gli uomini” è quella che mi sembra avere dietro qualcosa di autentico: io questa paura la avverto e mi chiedo cosa ci sia di spaventoso in me in quanto femminista. A me, come a molte donne, non sembra di esprimermi in modo spaventoso, ma è come se, essendoci l’aspettativa che la donna sia docile e condiscendente, quando invece è incazzata o assertiva ci si senta traditi. Sento un pensiero tipo: “se ti morde il lupo, ok. Ma se ti morde la pecora no.” Ovviamente questo vale solo se hai l’idea che le donne siano creature miti e non conflittuali. Però è innegabile che ci siano maschi davvero spaventati e me ne rendo conto quando salta fuori qualche fatto di cronaca che coinvolge i cosiddetti incel (i celibi involontari che si radicalizzano nella misoginia), una categoria che vent’anni fa non sarei nemmeno riuscita a immaginare.

«Che brutta metafora sessista questa del lupo e della pecora! Io non ho paura di te in quanto donna forte, al contrario. Io ho paura che la modalità in cui questa società radicata nel sessismo e nel culto del patriarcato mi ha cresciuto mi possa far dire o fare qualcosa di sbagliato, qualcosa che mi è stato insegnato essere un mio diritto, mentre in realtà è l’espressione del mio privilegio. Ho paura di offendere, perché certi atteggiamenti e certi modi di pensare sono sessisti anche se provano a venderceli per normali. Mi vergogno di questo, ma non temo il confronto con te e non vedo una minaccia. Anzi vedo un’opportunità di confronto e di crescita per me. Molti maschi hanno paura delle donne perché sentono il peso di dover primeggiare in quanto uomini. La mia personal trainer alza più kg di me ed è una ragazza. Ora, io non sento il bisogno di fare meglio di lei perché è donna e quindi di riaffermarmi in quanto uomo macho e potente: io sento il bisogno di fare meglio in quanto atleta. Questo è il mio atteggiamento sempre, anche nella vita di tutti i giorni».

 

Tu hai all’attivo diverse collaborazioni con le donne. Quante artiste ci sono nel tuo ambiente professionale? Hanno le stesse possibilità dei loro colleghi?

«Le possibilità di farcela ci sono, su quello non ho visto molta discriminazione, tuttavia ho visto tarpare le ali ad alcune colleghe dal punto di vista artistico con atteggiamenti tipo: “si ok, bello ciò che hai scritto, ma meglio se lo facciamo scrivere a un altro”. È come se da parte di manager e discografici non ci fosse molta fiducia nei mezzi delle ragazze. Poi certo, è sempre esistito che in ambito artistico certi individui facessero leva su inesperienza e insicurezze di artisti molto giovani per modificare i loro percorsi a seconda del personaggio che avevano deciso di far loro interpretare, ma ho l’impressione che alle ragazze questo succeda di più. Un conto è dare un consiglio finalizzato al bene dell’artista, altra cosa è imporsi per incatenare qualcuno in una veste non sua».

 

Io detesto che mi si chieda di stare zitta quando sto facendo un contraddittorio a un uomo. Qual è la frase sessista che invece fa male a te?

«Quella che mi manda fuori più di tutte è “fai l’uomo”. Ma che cazzo vuol dire fai l’uomo? Ma basta! Cercano di farti sentire inadeguato se non corrispondi ai crismi del maschio alpha. Vorrei poter piangere e sentirmi insicuro senza sentir ripetere questa frase ogni due per tre. Mi dette fastidio specie due anni fa, quando venne a mancare mio padre e mentre ero a pezzi uno zio venne a dirmi “fai l’uomo, che ora devi occuparti di questo e di quello”. Tralascia l’indelicatezza, ma che cazzo c’entra che sono uomo? Siamo a teatro? Ci sono dei ruoli imposti?».

 

Ci sono, altrimenti perché ne staremmo parlando io e te qui?

«Sperando che parlarne ora serva a non doverne parlare più».

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