Nel caos creativo della sanità italiana può capitare che due call center siciliani al lavoro per un’azienda privata trentina si trovino a rischio di disoccupazione perché il committente pubblico lombardo deve rinnovare un appalto dal quale dipendono millecento lavoratori con rispettive famiglie.
Il committente è Aria, la famigerata azienda regionale per l’innovazione e gli acquisti responsabile di gravi ritardi nella campagna vaccinazioni prima che il suo consiglio di amministrazione fosse sciolto il 24 marzo su disposizione del presidente della giunta Attilio Fontana e della sua vice con delega al Welfare, Letizia Brichetto Moratti. Al contrario di quanto accade nelle squadre di calcio, da Aria sono stati mandati tutti via tranne il manager, Lorenzo Gubian, nominato direttore generale a metà febbraio e rimasto al suo posto con l’incarico provvisorio, ma rafforzato, di amministratore unico.
Sempre in via provvisoria, dato che una proroga senza gara non si nega a nessuno in tempi pandemici, anche l’appalto per i call center catanesi di Aria, affidato alla trentina Gpi e in scadenza il 31 luglio, dovrebbe essere rinnovato di un anno.
Nella vicenda dei telefonisti di Biancavilla e Paternò non c’è bisogno di tirare in ballo l’effetto farfalla e nemmeno l’eterogenesi dei fini per un’iniziativa clientelare nata quindici anni fa sotto l’occhio benevolente di un politico di destra e diventata oggi una battaglia occupazionale bipartisan.
I call center Aria-Gpi in Sicilia sono soltanto un pasticcio all’italiana ambientato in una zona economicamente depressa dove una volta si era ricchi con i feudi, come gli Uzeda dei Vicerè di Federico De Roberto. Lungo i lembi delle sciare etnee al posto degli agrumi adesso si possono piantare una dozzina di bandierine a indicare i palazzi dove convergono le telefonate non solo dei lombardi in attesa di vaccino o di visita specialistica ma anche di clienti di Tim, di Sky, dell’Enel o di pensionati dell’Inps e dell’Inail. Cuffiette e microfoni hanno sostituito le macchine agricole come mezzo di produzione non solo a Paternò e Biancavilla, ma anche a Misterbianco, Adrano, Belpasso, Santa Maria di Licodia, Motta Sant’Anastasia.
«I lavoratori di Paternò e Biancavilla sono giovani e qualificati», dice Concetta La Rosa di Filcams-Cgil. «Il sistema sanitario lombardo è complesso, bisogna avere conoscenza di una rete molto ampia. In vista di rinnovo della gara, che sia quest’anno o l’anno prossimo, chiederemo il mantenimento delle condizioni salariali e il vincolo territoriale per mantenere gli occupati attuali da parte di chiunque dovesse aggiudicarsi l’appalto dalla Regione, come consentono le linee guida dell’Anac. Internalizzare il servizio non sarebbe un risparmio per i lombardi».
Il rischio di riportare i call center nel perimetro pubblico e di tagliare fuori dalla sanità lombarda Paternò e Biancavilla non sembra più dietro l’angolo ma di recente i rapporti fra le componenti della giunta lombarda sono stati messi a dura prova più volte, con la sanità sempre in mano ai berlusconiani, la Lega spaccata fra giorgettiani e salviniani e Fratelli d’Italia, partito cofondato dal paternese Ignazio La Russa, che si trova al governo a palazzo Lombardia e all’opposizione a Roma. A marzo del 2018 il vicerè di Paternò e vicepresidente del Senato è stato rieletto nel quarto collegio di Milano, dove esercita la professione di avvocato, e ha lasciato il suo posto nelle liste siciliane all’ex sindaco di Catania Raffaele Stancanelli, che ha perso ma si è rifatto l’anno dopo con il seggio a Strasburgo.
PATERNESI D’ASSALTO
L’avventura della sanità lombarda in Sicilia inizia nel 2005 quando la giunta allora guidata con polso fermo e ampio consenso dal Celeste Roberto Formigoni spinge sull’acceleratore delle privatizzazioni e dei decentramenti a scopo di efficienza. A luglio 2005 si apre il call center di Paternò destinato alle prenotazioni telefoniche dei cittadini lombardi. Il tutto avviene sotto l’ombrello di Lombardia call, partecipata da Lombardia informatica e guidata da Giovanni Catanzaro, numero uno degli stipendi pubblici lombardi con 270 mila euro annui.
Il manager nato a Paternò fa parte di un gruppo di compaesani molto influenti, come gli imprenditori Antonino Ligresti (cliniche) e suo fratello maggiore Salvatore (finanza ed edilizia), ex datore di lavoro di Catanzaro alla Sai assicurazioni.
Altri due fratelli paternesi sono impegnati in politica nelle file di Alleanza nazionale: Ignazio e Romano La Russa il cui padre Antonino è molto amico dei Ligresti. Cinque anni dopo, con Silvio Berlusconi per la quarta volta a palazzo Chigi, Ignazio La Russa diventa ministro della Difesa e il minore, Romano, assessore all’industria al Pirellone. Anche il call center di Paternò vede nascere un fratello pochi chilometri a nord, a Biancavilla.
La Lega accoglie male la delocalizzazione del servizio tra gli amati meridionali. Il premio di consolazione è un terzo call center regionale da cento dipendenti e 3,5 milioni di spesa insediato stavolta a Milano. Ma ai leghisti non basta e a marzo del 2014 Roberto Maroni, eletto un anno prima presidente dai lombardi dopo diciassette anni di formigonismo, si scatena sulle onde di Radio Padania dicendo che bisogna riportare i call center regionali dov’è giusto che stiano cioè 1.300 chilometri più a nord.
Il “prima i lumbard” del segretario leghista rimane senza effetto anche con l’avvento alla segreteria di Matteo Salvini. Per stroncare le polemiche, a giugno del 2015 si fa un passo verso un’ulteriore privatizzazione. I call center regionali vengono ceduti al gruppo trentino Gpi per 12,5 milioni di euro con un’operazione “a leva” quasi interamente finanziata da Unicredit. In cambio il compratore ottiene l’appalto dei call center regionali per 6 anni a 25 milioni di euro l’anno.
Non sembra un cattivo affare, tanto più che i lavoratori di Paternò e Biancavilla nel 2018 si vedono cambiare il contratto da commercio a multiservizi, quello che inquadra i dipendenti delle ditte di pulizie. «Su base oraria è 1,60 euro l’ora in meno», dice Antonio Santonocito, segretario regionale del sindacato autonomo Snalv-Confsal che dichiara molti iscritti nei due call center siciliani. «Anche se la differenza è stata compensata come ad personam, si parla di oltre 200 euro per gli addetti che ne guadagnano in media 800 al mese e che sono in larga parte in smart working dall’inizio della pandemia. Proprio per questo mi chiedo che senso e che vantaggi può avere trasferire il servizio a Como oppure a Brescia».
Le trasformazioni societarie, per un rinnovamento di facciata che l’emergenza sanitaria ha bocciato, continuano fino al 2019 quando le controllate regionali Lombardia informatica, Arca e Infrastrutture si fondono nella nuova Aria, affidata al presidente imprenditore Francesco Ferri, talent scout di nuovi politici per conto del cavaliere Berlusconi.
BOOM IN BORSA
Sullo sfondo ma con un ruolo da protagonista nella vicenda dei call center siciliani c’è la società che nel 2015 ha vinto l’appalto con la Regione Lombardia. La Gpi ha tutt’altra solidità rispetto a realtà come la Qe del bresciano Patrizio Argenterio, che gestiva a Paternò un call center fallito nel 2017 con cento lavoratori licenziati, un buco da 14 milioni di euro e conseguente processo penale.
La Gpi fa capo alla famiglia di Fausto Manzana, presidente degli industriali di Trento. Suo figlio maggiore Sergio, 37 anni, si occupa specificamente del settore “Care” e ha lavorato sul servizio tamponi “drive through” nel Lazio. La holding trentina è quotata in borsa sul segmento Mta dove è cresciuta di oltre il 50 per cento negli ultimi dodici mesi e di oltre il 30 per cento soltanto dall’inizio del 2021. I dati economici dell’anno 2020 sono in crescita da 240 a 271 milioni di ricavi e un profitto netto vicino ai 10 milioni di euro. Nonostante gli ottimi risultati, l’azienda ha scelto di non anticipare la cigs quando lo scorso aprile i call center hanno lavorato a ranghi ridotti per il Covid-19.
Gpi svolge servizio di Cup (centro unico prenotazioni) in Trentino e in altre nove regioni d’Italia. Soltanto nel giro degli ultimi sei mesi si è assicurata gare d’appalto per 33 milioni di euro dalla Basilicata, dalla Liguria, dalla Campania, dalla Puglia e dall’Emilia Romagna.
Secondo quanto dichiarato da Gpi, il servizio dedicato all’emergenza sanitaria non ha riguardato le vaccinazioni della Lombardia, anche se i rappresentanti sindacali dei call center siciliani affermano il contrario. Di sicuro, la holding che è fra gli sponsor del Trentino volley, arrivata alle semifinali dei playoff, sta continuando a puntare sul mercato del lavoro in Sicilia, dopo avere assorbito 73 lavoratori per una piccola gara scaduta con un altro committente.
Il tema di fondo è se Aria continuerà a puntare, e per quanto tempo, su uno schema così complicato. Il conto economico della società regionale viaggia intorno ai 200 milioni di euro e nella contabilità 2021 bisognerà inserire, oltre ai 25 milioni dati a Gpi e alle migliorie degli stabili in affitto in Sicilia, anche l’avventura del portale per le vaccinazioni dove le spese di call center pesavano per 11 milioni sui 18,5 complessivi. Ragioni contabili potrebbero suggerire un taglio delle commesse e sarebbe una sconfitta per tutti.