Far west calcio, seconda puntata. Dopo che l’Espresso ha rivelato i nomi dei club che si sono serviti dei crediti fiscali, a volte inesistenti, per pagare stipendi e pendenze con l’Erario, lo showdown arriva all’appuntamento con le iscrizioni per i tornei professionistici della stagione 2025-2026. Il calendario delle scadenze prevede che entro venerdì 6 giugno alle 15 le squadre dimostrino di avere pagato due mesi di stipendi e i relativi contributi. Poi il 24 giugno bisognerà presentare la fideiussione per l’iscrizione al campionato. Sono 800mila euro per la B e 700mila per la serie C, salvo avere un indice di liquidità dello 0,8 per cento, in quel caso la cifra si dimezza. A quanto risulta a L’Espresso, dopo il fallimento della Lucchese, particolare attenzione sarà posta agli incartamenti di Triestina, Foggia, Rimini, Ascoli, mentre la Spal e il Brescia neanche sono ormai fuori. Ed è proprio il caso del Brescia, la società di Massimo Cellino, che ha fatto detonare l’ennesimo scandalo dell’ennesima estate nel pallone e che corre verso un doppio obiettivo: rovesciare la sentenza della Federcalcio che l’ha penalizzata di 4 punti per i crediti fiscali, retrocedendo il club lombardo in terza serie a beneficio della Sampdoria, e trovare 6,5 milioni per coprire il debito con l’Agenzia delle Entrate.
Qualche tifoso delle Rondinelle non ha gradito la gestione Cellino e ha sfondato la vetrina del Brescia Store allo stadio Rigamonti di Mompiano nella notte del 31 maggio. L’imprenditore cagliaritano osserva gli eventi a distanza di sicurezza, da Londra, e se la prende con la piazza che ha creato un clima teso: «Per colpa dei tifosi non siamo riusciti ancora a cedere». In realtà il contratto è saltato perché il notaio di Cellino è rimasto ad attendere invano i compratori: «Hanno fissato un appuntamento e non si sono presentati. Spariti. Gli acquirenti sono rappresentati da Francesco Marroccu, ex direttore sportivo del Verona, e da un certo dottor Missiroli». I due sono emissari di un fondo di investimento americano, il solito fondo talmente profondo che non si capisce chi c’è sotto.
L’Espresso è in grado di ricostruire nuovi particolari della truffa sui crediti fiscali che ha permesso al Gruppo Alfieri di mettere in circolazione carta finta e milioni veri. Dallo scorso ottobre, nella ragnatela allestita dal venticinquenne irpino Gianluca Alfieri sono incappati il Brescia e Valerio Antonini, imprenditore del settore granario come Cellino, azionista del Trapani calcio e del Trapani basket. Proprio la denuncia con allegati di Antonini permette di tirare il filo che conduce al di là di Alfieri, un diplomato con la terza media, ombra che non mostra mai il suo volto né fa ascoltare la sua voce.
Mentre il Brescia dichiara di aver pagato circa 1,5 milioni di euro al Gruppo Alfieri in cambio di 2 milioni di crediti fiscali per saldare le tasse e aspetta la restituzione del malloppo dopo una sosta presso lo studio della notaia italo-polacca Kinga Caruso, il Trapani ha subìto la penalizzazione sportiva e ha buttato “soltanto” 267mila euro. La società di Antonini, infatti, aveva istruito più contratti di crediti fiscali con uno sconto del 25 per cento (il Brescia si era fermato al 23), ma già al primo bonifico ci sono state delle grosse difficoltà perché il conto Finom del Gruppo Alfieri non accettava l’accredito dei siciliani. A sollecitare il pagamento al Trapani dopo i tentativi falliti, il 18 marzo 2025, per la prima volta si è palesato Gianluca Alfieri con una email di velate minacce: «Se entro e non oltre la data odierna riceveremo prova di pagamento (…) provvederemo a inoltrare la pratica di recupero credito al nostro legale e presentare esposto alla Figc e alla Consob». Due annotazioni. Alfieri aveva capito che il conto Finom era bloccato e ha fornito un iban di un ufficio postale di Napoli. La seconda annotazione: che c’entrava la Consob? Più del lapsus, poté l’ignoranza. Ma com’è possibile che non un commercialista né un consulente si sia mai accorto della truffa di Alfieri e, soprattutto, chi doveva vigilare sull’operazione? Il sapore della truffa era ovunque. L’Espresso ha visionato il finto documento Bankitalia che attestava la registrazione del Gruppo Alfieri nell’elenco delle società autorizzate a cartolarizzare i debiti. Le giustificazioni posticce dei bambini delle elementari sono più sofisticate. Però nessuno vuole prendersi la responsabilità di condividere le colpe con Alfieri. Secondo il patron Antonini, il Trapani è stato indirizzato verso il faccendiere irpino dal commercialista Francesco Vulpetti che, però, nega ogni addebito e si professa innocente e diffamato. Un ruolo pratico, sempre per Antonini, l’ha svolto un mediatore di Acerra, tale Angelo Pugliese, che si è rifiutato di parlare con L’Espresso. Pugliese era un contatto della Compagnia del Risparmio di Gianluigi Russo, altro protagonista di questa intricata vicenda. Russo precisa di aver svolto esclusivamente un lavoro su commissione e di non aver mai avuto rapporti con Alfieri: «Il dottor Scalia ci ha segnalato che il Trapani era interessato a compensare e ha fornito al cliente il nostro mandato. Il Trapani ci ha inviato via pec il nostro mandato, che recita “presentato da Tax Consulting Firm”. Noi abbiamo controfirmato e avvisato Alfieri». Un nuovo nome: Antonio Scalia. È lui il titolare di Tax Consulting Firm. Si definisce un formatore di migliaia di commercialisti. «Ho segnalato», dice Scalia, «l’opportunità del Gruppo Alfieri, a sua volta segnalatomi dalla mia comunità». Esattamente da chi non si sa. La sintesi la fa l’avvocato Francesco Spina che telefona a L’Espresso in nome di Vulpetti, Scalia e Russo: «Loro sono estranei. Nel mio esposto in Procura ho accluso una email del Gruppo Alfieri che indica come referente unico Angelo Pugliese». Non è finita. Perché il Gruppo Alfieri, per depositare gli F24 quietanzati nel cassetto fiscale del Trapani, aveva chiesto l’accesso per un codice fiscale che porta a un commercialista di origini pugliesi operativo in Basilicata. Riassumendo. Vulpetti, Pugliese, Russo, Scalia, la notaia polacca, il commercialista lucano, il patron Antonini, lo studio Gamba che ha assistito il Brescia, il quasi settantenne Cellino che è passato dalla proprietà del Cagliari a quella del Leeds in Inghilterra e altre società non sportive cadute nella rete. Possibile che Gianluca Alfieri abbia fatto tutto da solo fregando tutti?
La posizione della Figc, espressa senza troppi giri di parola dal presidente Gabriele Gravina, è alquanto scettica su questo punto. Del resto, il codice civile impone agli amministratori la cautela negli affari del bonus pater familias del diritto romano. Se basta il primo Alfieri di passaggio per terremotare il sistema, qualche complicità deve esserci stata. Né si può pensare che un dirigente di serie B o di Lega Pro sia più sprovveduto di un collega di serie A, dove al momento non si sono verificati casi di ricorso ai crediti fiscali. È soltanto che nelle categorie minori girano meno soldi e gli asterischi che segnalano la penalizzazione in classifica per mancanze agli obblighi finanziari sono più frequenti.
L’aspetto sconcertante è che questo mondo di affaristi e presunte vispe Terese non scoraggia gli investitori dei fondi internazionali. Americani, per lo più. Spesso italoamericani. Il meno noto arrivato sul proscenio del pallone nazionale è Matt Rizzetta, nonni paisà e voglia di abbinare grandi nomi a progetti imprenditoriali non proprio di primissimo piano. Rizzetta ha debuttato con l’acquisto del 31 per cento dell’Ascoli, una delle società coinvolte nell’uso dei crediti fiscali. L’Espresso ha rivelato che, durante la stagione 2024/25, nove società professionistiche hanno utilizzato questo strumento per rispettare le scadenze federali. Di queste nove società, tre non hanno superato il vaglio Covisoc: Brescia, Trapani e il già escluso Taranto.
A oggi i crediti fiscali utilizzati dall’Ascoli – 1,147 milioni di euro in compensazione di 1,638 milioni di imposte sino a febbraio – non risultano certificati dalla Covisoc, l’organismo di controllo della Figc, perché la stessa Covisoc non ha ottenuto una risposta dall’Agenzia delle Entrate. È possibile che la provenienza dei crediti dell’Ascoli sia correlata a inchieste della magistratura ordinaria e perciò meritevole di approfondimento. L’Espresso ha scoperto che sia il Pescara (104mila euro), che sabato 7 giugno si gioca la promozione in serie B, sia il Latina (200mila euro) hanno fatto ricorso ai crediti fiscali senza subire alcuna contestazione. In ogni caso Rizzetta non ha nulla da temere perché ha venduto la sua quota nell’Ascoli l’anno scorso. L’imprenditore del North Sixth group, multiproprietario di società di calcio, ha dovuto lasciare le Marche per mantenere la proprietà del Campobasso quando il club molisano è salito dai dilettanti alla terza serie, dove gioca anche l’Ascoli. La norma federale vieta le partecipazioni in due club che disputano lo stesso torneo come si è visto nel caso della Lazio di Lotito quando la Salernitana del cognato Marco Mezzaroma, oggi presidente della società pubblica Sport e Salute, fu promossa in A nel 2021.
Pochi giorni fa Rizzetta ha annunciato l’acquisto del Napoli basket, terzultimo nello scorso campionato di serie A1, e ci ha aggiunto il carico dell’ex centro Nba Shaquille O’ Neal, passato dal dominio dell’area pitturata a una florida carriera da businessman e commentatore televisivo. Quale possa essere il ruolo di Shaq non è ancora chiaro. Probabilmente sarà un semplice endorsement a pagamento sulla falsariga di quello che, nell’ottobre del 2022, portò Dwayne “The Rock” Johnson a una fugace apparizione nel Meazza in versione milanista per lanciare il suo ultimo film e compiacere Gerry Cardinale, sbarcato da poco con il suo fondo Redbird.
Sul North Sixth group di Rizzetta le notizie sono piuttosto vaghe. Ha un sito che è una semplice homepage senza altri sviluppi e stime di fatturato che oscillano fra le centinaia di milioni di dollari e un più realistico pugno di milioni. Il North Sixth group è un “family office”, ossia una struttura di investimenti a disposizione di alcune famiglie apparentemente dedite a investire in club di presente incerto e futuro improbabile. Fra questi, c’è il Locarno. Fallito nel 2018, il club ticinese gioca nella quinta serie elvetica. Negli Stati Uniti Rizzetta ha ottenuto il permesso di iscrivere il Brooklyn Fc al prossimo campionato di Usl1, la terza serie del soccer Usa che si sta riorganizzando verso il modello europeo con promozioni e retrocessioni, una novità assoluta per lo sport professionistico locale.
Sul fronte della Procura Federale, invece, non ci sono novità. Per il capo della magistratura calcistica, Giuseppe Chiné, è un’altra estate di passione. Nonostante le proteste delle tifoserie colpite, la posizione del procuratore è caratterizzata dalla discrezionalità zero. Una volta che l’organo di controllo Covisoc ha segnalato Trapani e Brescia, il deferimento era automatico. Idem la condanna, stimata in due punti di penalizzazione per ogni pagamento mancato o irregolare. La differenza, che a oggi condanna il Brescia alla serie C, sta nell’obbligo di afflittività della sanzione. Il Trapani sconterà il -8 nella stagione 2025-2026 della Lega Pro perché una penalizzazione sul 2024-2025 non avrebbe prodotto danno. Nel momento in cui L’Espresso va in edicola, la Covisoc non ha segnalato altri casi a Chiné. Per Brescia e Trapani il deferimento ha avuto tempi brevi, cinque giorni. Ma la stagione sportiva si chiude il 30 giugno e non c’è spazio per eventuali nuovi processi con conseguenze immediate. Naturalmente anche negli ambienti della Procura Federale c’è scetticismo sul fatto che l’epicentro del nuovo scandalo sia davvero Gianluca Alfieri che si presentava con una sede sociale fasulla, capitale non versato, titoli di studio insufficienti. Eppure Alfieri aveva legami internazionali. La notaia Caruso di Tarnów, interpellata da L’Espresso per sapere come mai il venticinquenne irpino si sia rivolto a uno studio polacco e se le somme messe dal Brescia calcio a garanzia di pagamenti all'erario siano state restituite al Brescia, non ha ritenuto di commentare. I soldi di Cellino sembrano sfumati attraverso il bonifico su un iban intestato alla Finom, istituto di moneta elettronica con base ad Amsterdam e Limassol fondato da quattro cittadini russi: Oleg Laguta, ex manager del primo istituto pubblico federale Sberbank, Andrej Petrov, Konstantin Stiskin e Jakov Novikov. L’ipotesi più accreditata è che un’organizzazione di commercialisti proponesse i mirabolanti sconti dei crediti fiscali ai presidenti delle società calcistiche. L’inchiesta de L’Espresso va in quella direzione. Nella stessa direzione vanno anche le verifiche della Guardia di Finanza che mercoledì 11 firmerà, alla presenza del governo, un protocollo di intesa con la Federcalcio per rafforzare i controlli alquanto precari sui flussi di denaro che inquinano il pallone italiano. E la Procura di Napoli ha annunciato in aprile un’indagine per 2 miliardi di euro di crediti falsi. Per adesso non ci sono collegamenti conclamati con il mondo del calcio. Ma il passaggio dalla giustizia sportiva a quella penale è nei fatti.