Per il broker molisano l’accusa di false fatturazioni per operazioni inesistenti e autoriciclaggio. Si tratta di un punto di svolta nell’inchiesta sugli affari della Segreteria di Stato al tempo di Angelo Becciu

Questa mattina la Procura di Roma ha spiccato un mandato di arresto nei confronti del broker Gianluigi Torzi, nell’ambito dell’inchiesta della Guardia di Finanza “Broking Bad”. Torzi al momento si trova a Londra e non risulta reperibile. Assieme alla misura cautelare per il protagonista della trattativa finale dell’acquisizione del palazzo di Sloane Avenue a Londra voluta e sostenuta dall’ex sostituto agli Affari Generali della Segreteria di Stato, Angelo Becciu, in seguito dimissionato per da Papa Francesco per peculato, la magistratura ha emesso misure interdettive nei confronti di Giacomo Capizzi, Alfredo Camalò e Matteo Del Sette, che risultano essere indagati a vario titolo assieme al broker molisano per emissione e annotazione di fatture per operazioni inesistenti, nonché, soltanto il primo, per autoriciclaggio.

 

L’operazione è nata dalla richiesta di collaborazione giudiziaria formulata di promotori di Giustizia vaticana in seguito allo scandalo finanziario intorno all’acquisizione dell’immobile londinese che ha causato una voragine di 400 milioni di euro nelle casse della Santa Sede e che si sta avviando alle battute finali. La gendarmeria vaticana aveva arrestato Torzi il 5 giugno dello scorso anno e successivamente lo aveva rimesso in libertà. Nelle quattordici pagine dell’ordinanza di arresto il giudice ricostruisce in base alle indagini del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Roma delle Fiamme Gialle, il meccanismo che ha portato un profitto illecito ai danni della Santa Sede di 15 milioni di euro, soldi avuti dal broker per prestazioni mai realizzate, che successivamente sono state rinvestite col tramite di due società inglesi per l’acquisizione di azioni di società quotate in borsa (Mediaset Spa, Marzocchi Pompe Spa e B.F. Spa) e per ripianare i debiti di altre due società italiane del broker la Set e la Ladhi srl.

 

Un meccanismo di scatole cinesi, false fatturazioni che ha creato una dinamica estorsiva nei confronti delle casse vaticane che avrebbe trasformato l’affare del palazzo di Sloane Avenue in una sorta di bancomat per tutti i soggetti protagonisti della trattativa.

 

Una modalità operativa in cui i soldi dell’Obolo di San Pietro avrebbero foraggiato le più disparate operazioni imprenditoriali senza procurare nessun benefit monetario al Vaticano ma causando perdite progressive. Inoltre, vale la pena sottolineare, che la stessa operazione di acquisto e ricompera delle quote societarie dell’immobile londinese, è avvenuta in violazione delle norme dello Stato della Città del Vaticano che delegano in via di totale esclusiva all’Amministrazione del Patrimonio Apostolico della Sede Apostolica le operazioni immobiliari e quelle finanziarie allo IOR, modalità totalmente ignorate in prima istanza dall’ex Sostituto Becciu e successivamente, per via del ricatto descritto dagli inquirenti, continuate da Mons. Pena Parra che ha sostituito il presule sardo, che fino all’allontanamento di tutti i membri dell’ufficio del suo predecessore ha attuato le strategie consigliate da Monsignor Alberto Perlasca e Fabrizio Tirabassi per limitare le perdite intorno al palazzo londinese. Strategie che facevano parte, come abbiamo più volte ricostruito su queste pagine, di un piano descritto dagli inquirenti di Oltretevere come una strategia volta alla al saccheggio delle casse della Segreteria di Stato.

 

I militari della Guardia di Finanza hanno anche accertato un giro di false fatturazioni, non collegate all’operazione immobiliare londinese, realizzato da Torzi assieme a Capizzi e al gruppo di commercialisti di riferimento del gruppo di imprese italiane ed estere riconducibili al broker, Camalò e Del Sette che secondo i finanzieri “non avevano nessuna giustificazione commerciale se non quella di frodare il Fisco”.

 

La richiesta di arresto di Gianluigi Torzi segna un punto di svolta nell’inchiesta vaticana sugli affari della Segreteria di Stato al tempo di Angelo Becciu, dove si attendono le conclusioni dell’inchiesta. In caso di rinvio a giudizio si tratterebbe, più che di un processo, di un passaggio fondamentale nel percorso di riforme economiche volute da Papa Francesco.