Chiesa e affari
A chi fa gola la sanità gestita dal Vaticano
Dall’ospedale romano Fatebenefratelli alla Casa del Sollievo fondata da Padre Pio, la malagestione trasforma le strutture cattoliche in terreno di scorribande
Fino a qualche decennio fa le strutture gestite dal Vaticano tramite una miriade di congregazioni e ordini religiosi erano un fiore all’occhiello di efficienza. E di fatto colmavano anche i vuoti dalla sanità pubblica italiana, che da Nord a Sud ha sofferto di carenze strutturali. Ma da qualche tempo, travolti da scandali, mala gestione e l’incapacità dei religiosi di trovare una governance adeguata, i nosocomi privati “made in Vaticano” sono diventati fonte di preoccupazione per la Santa Sede e rischiano, per salvaguardare indotto e posti di lavoro, di passare di mano, come nel caso dell’ospedale romano “Fatebenefratelli”, o di pesare sulle casse pubbliche in misura ingente come la “Casa sollievo della sofferenza” di San Giovanni Rotondo in Puglia. Due realtà distanti ma che raccontano una crisi generalizzata del sistema, due ospedali con una storia strettamente intrecciata a quella del territorio di appartenenza, dove sono diventati simboli identitari. L’ospedale Fatebenefratelli, gestito dall’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio, sorge sull’Isola Tiberina (nucleo originario di Roma) sui resti del tempio del Dio Esculapio, da sempre è l’ospedale dei romani.
Ma il “Fatebenefratelli”, nonostante le eccellenze storiche e sanitarie, ha dovuto accedere nel 2014 alla procedura di concordato preventivo dal Tribunale di Roma, per sventare il fallimento e permettere una linea di pagamento di un debito che ammontava a 270 milioni di euro. Secondo la relazione di monitoraggio depositata lo scorso 15 marzo da Fra Pascal Koame Ahodegnon, direttore generale dell’ospedale, e da Giuseppe De Lillo, direttore amministrativo, il piano di risanamento è in piena stagnazione, sotto gli standard previsti dal concordato raggiunto, con un blocco della vendita degli immobili e un credito di oltre 15 milioni di euro di cui la società non riesce a rientrare in possesso. Soldi della Beaumont Invest Services Ltd di Gianluigi Torzi, già indagato da varie procure italiane e arrestato dalla Gendarmeria vaticana per lo scandalo dell’acquisizione del palazzo di Sloane Avenue che ha portato alle dimissioni del cardinale Angelo Becciu: oltre 15 milioni di euro di cartolarizzazione di crediti sanitari, che la società di Torzi aveva acquistato negli anni precedenti. Torzi non ha rispettato l’accordo di concordato con il “Fatebenefratelli” (ha versato poco più di 200 mila euro) e il nosocomio ha avviato da tempo le procedure per recuperare i fondi. Impresa ardua se non impossibile, viste le traversie aziendali che il broker molisano sta attraversando in questi mesi. Questa progressione infausta di eventi ha reso il “Fatebenefratelli” un soggetto scalabile. Sembra che nelle ultime settimane il Gruppo San Donato, corazzata della sanità privata lombarda, che annovera come presidente l’ex ministro Angelino Alfano, abbia messo gli occhi sull’ospedale. L’ipotesi ha fatto storcere il naso dentro le Mura Vaticane, perché in termini politici significherebbe una manifesta resa della capacità gestionale della Santa Sede sul suo patrimonio sanitario. E soprattutto perché preoccupano le relazioni del vicepresidente del gruppo, Kamel Ghribi.
Tunisino con base a Lugano, uomo-ponte tra Oriente e Occidente, nelle sue frequentazioni ha incrociato spesso la traiettoria di numerosi nemici della Santa Sede. Vista l’esperienza negativa degli investimenti sanitari di fondi arabi nel nostro Paese, i vertici della Santa Sede preferirebbero evitare di affidare la guida del nosocomio a un gruppo indubbiamente forte e in espansione, ma che potrebbe un domani disimpegnare i propri asset e andare a investire altrove. Le zone d’ombra nella biografia di Ghribi non favoriscono la fiducia del Vaticano, che memore delle recenti esperienze in campo di investimenti si muove con estrema cautela. Kamel Ghribi risiede in Svizzera, dove ha la sede anche la sua società Gk Investment Holding Group, ed è stato al centro di un intricato caso diplomatico che ha visto numerosi militari libici trasferiti presso l’Ospedale San Donato e il San Raffaele di Milano, di proprietà del Gruppo San Donato. Ghribi, durante la dittatura di Gheddafi, era una cerniera tra il defunto dittatore e gli investitori occidentali. Fu lui, in diverse occasioni, ad accompagnare personalità statunitensi per tutelare gli affari di Tripoli e garantire un giro di investimenti in Europa. In particolare gestì per il Colonnello la delicata trattativa tra Usa e Libia sul reintegro del pease mediterraneo nello scacchiere energetico in cambio di un risarcimento danni alle vittime dell’attentato di Lockerbie che causò 259 morti.
Il magnate-filantropo Ghribi, sposato con Nicoletta Mettel, già campionessa di nuoto, in passato in Svizzera ha lasciato cattivi ricordi facendo fallire la squadra di basket “Ab Vacallo” (e vent’anni fa è sfumato anche il tentativo di entrare nella gloriosa Olimpia Milano), così come chiuse i battenti in fretta e furia la società petrolifera “Winnington Associates Limited”. Destino simile a quello di un’altra impresa dove Ghibri era vicepresidente e suo cognato Paolo Andrea Mettel presidente: il cotonificio Olcese, condotto alla dichiarazione dello stato di insolvenza. Una serie di insuccessi che non hanno scalfito la notorietà e i giri di affari di Ghribi, forte del sodalizio con Muhammad al-Huwayj, uomo forte di Tripoli, dal 2004 al 2009 Ministro delle finanze e in precedenza capo della Libyan Arab Foreign Investment Company (Lafico). In queste vesti iniziò la collaborazione con Ghibri che continua tuttora. Al-Huwayj è nel consiglio di amministrazione della Libyan Investment Corporation (Lic), fondata nel 2007 come holding con mandato di gestire imprese statali, come il Fondo per l’Africa e il Fondo per lo sviluppo economico e sociale. Forse anche per questi motivi, la visita lampo del finanziere in Vaticano dello scorso 18 marzo, raccontata sul suo profilo Instagram con video e fotografie in pompa magna come se Ghribi più che un imprenditore fosse un politico di rango internazionale, ha fatto storcere il naso a più di un funzionario della Santa Sede. Gli incontri con Papa Francesco e il Segretario di Stato Pietro Parolin tuttavia non hanno riguardato il “Fatebenefratelli” o altri asset sanitari, ma sarebbero stati una veloce visita di cortesia. Nel tour romano Ghribi ha visitato il Policlinico Gemelli, alimentando così le voci che anche questo possa diventare un obiettivo del Gruppo San Donato.
Ma quello del “Fatebenefratelli” non è l’unico grattacapo per il Segretario di Stato Pietro Parolin. In questi giorni tiene banco il futuro dell’ospedale “Casa sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo, fondata da San Pio da Pietralcina. L’ospedale pugliese è fortemente indebitato dopo un decennio di gestione poco professionale delle finanze. Nei conti si trovano molti elementi di criticità strutturale, anche per una la discussa conduzione di Michele Giuliani, direttore generale, che subentrò a Domenico Crupi. Incarichi attribuiti fuori da procedure trasparenti, ricorso ripetuto a primari facenti funzione senza punteggio adeguato che rimangono per anni nei reparti, assunzioni di interi gruppi familiari sono alcunei dei problemi che più volte molti membri del consiglio di amministrazione della “Casa” avrebbero evidenziato. Parolin starebbe pensando di commissariare l’ospedale e cercare una interlocuzione forte con Palazzo Chigi richiedendo un prestito ponte di 60 milioni di euro.
“Casa sollievo della sofferenza” non è un ospedale qualsiasi che si può radere al suolo o rifondare. È una realtà che, secondo quanto si legge dai bilanci, viene alimentata da molti lasciti ereditari e donazioni, soldi che nel corso del tempo sono stati sperperati per spese mai rendicontate o gonfiate. Soldi anche di incerta provenienza. Secondo quanto ricostruito da autorevoli fonti della struttura, una donna originaria di Manfredonia avrebbe convocato in modo quanto mai originale una serie di figure chiave dell’ospedale per comunicare la volontà di contribuire in modo sostanzioso alla gestione. Avrebbe poi fatto arrivare nel corso del tempo donazioni per decine di milioni di euro che, secondo quanto riferito dalla donna ai funzionari convocati, non sarebbero state investite correttamente, facendo più volte riferimento alla propria appartenenza ad una importante famiglia che ha a cuore le sorti dell’ospedale di Padre Pio. Dopo la richiesta di chiarimenti circa la natura delle donazioni da parte di alcuni emissari della Santa Sede, la donna è scomparsa nel nulla. Insomma storie diverse dove sanità non fa rima con santità e dove gli ospedali vanno a creare enormi buchi di bilancio sanati poi dallo Stato italiano. Chissà se la rivoluzione di Francesco, che della Chiesa vuole fare un ospedale da campo, riuscirà a creare un nuovo modello di sanità dove per dirla come Luigi Pintor «non si parli degli ospedali, ma si parli degli ammalati».