Spagna e Germania contano di usare almeno il dieci per cento dei fondi per le nuove generazioni: l’Italia solo l’uno per cento. E anche la riforma della PA rischia di escludere tanti meritevoli dai concorsi

Aprile è agli sgoccioli ed entro la fine di questo mese il governo Draghi dovrà presentare all’Unione Europea il piano per ottenere i 196 miliardi del Next Generation Eu. Si tratta di un investimento storico e strategico, per costruire un futuro sostenibile con al centro i giovani di oggi e di domani. Un piano necessario ovunque in Europa - da cui il nome Next Generation Eu - ma specialmente in Italia che, avendo per decenni disinvestito sulle nuove generazioni, si ritrova con una disoccupazione giovanile alta (più di un terzo rispetto agli altri paesi), oltre al record europeo nel numero dei Neet (cioè i giovani che non studiano e non lavorano) e un saldo migratorio preoccupante.

 

E proprio i giovani, in Italia e all’estero, si sono fatti sentire per portare avanti le loro istanze e preoccupazioni sul piano che prevedeva nella prima bozza solo un uno per cento dedicato direttamente ai giovani. A sostenerlo è una stima di Uno Non Basta, una campagna creata da alcuni under 35enni che hanno raccolto 100mila firme per chiedere al governo di destinare almeno il dieci per cento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ai giovani. Il dieci per cento sarebbe una somma utile a riequilibrare la bilancia inter-generazionale, a creare quei lavori e quella stabilità che in troppi non hanno avuto finora. Una somma in linea con altri paesi europei (il 12 per cento della Spagna o il 10 per cento della Germania) che partono però da una posizione migliore della nostra.

 

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23/3/2021

Una campagna partita prima dell’insediamento del nuovo governo, ma che aveva poi risposto in modo entusiasta vista la centralità dei giovani nelle parole di Draghi. «Pensavamo fosse il momento buono, pensavamo le nostre richieste sarebbero state accolte, che ci sarebbe stata una vera prioritizzazione dei giovani in Italia e una vera inclusione di gruppi come noi nel processo», dice Diletta Di Marco della Campagna Uno Non Basta, che continua: «Invece, a due mesi di distanza, e a pochi giorni dalla consegna del piano all’Ue siamo allo stesso punto: da quello che sappiamo noi, ai giovani non è stato dato niente di più dell’uno per cento che c’era nel primo draft, nessuna delle nostre proposte, idee, richieste è stata accolta. Rimaniamo ancora una volta esclusi, inascoltati. La cosa più deprimente è che a questo punto non sappiamo più cosa fare per essere ascoltati: un Paese che non sa relazionarsi al suo futuro è un Paese che non avrà un futuro».

 

Mario Calderini, professore di Economia e Innovazione al Politecnico di Milano, spiega che «un piano strategico economico e industriale, di cambiamento strutturale e visionario come quello del Pnrr, sarebbe servito al paese a prescindere dalla pandemia e dai soldi europei. Un progetto siffatto manca all’Italia da oltre 50 anni e speriamo non sia non un’accozzaglia di progetti riciclati, ma un'occasione per creare lavoro e opportunità per i giovani». Venendo al Pnrr, aggiunge: «Non si sa ancora bene cosa stia diventando il Pnrr, ma dal processo delle ultime settimane e da quello che trapela si può immaginare che l’impostazione sia in linea con quella del piano presentato da Conte. Certo, più ordinato e pulito, e sicuramente migliore rispetto al primo draft. L’ultima versione del governo Conte aveva rimediato ad un errore iniziale catastrofico, quello di farlo nascere come una raccolta di quello che c’era nei cassetti dei Ministeri - progetti vecchi, fatti da vecchi burocrati per i vecchi. Mi aspetto di essere positivamente sorpreso, viste le scelte di Colao, Cingolani e Giovannini nei ministeri chiave, ma il mio timore è che non ci si possa aspettare una svolta vera su un difetto cruciale del precedente piano, la totale assenza di empatia e partecipazione. Quello di Conte era un piano senza empatia e, osservando la mancanza di partecipazione e confronto con il mondo esterno che c’è stata anche nelle ultime settimane - a partire dai giovani che hanno chiesto un confronto ma sono stati inascoltati - temo che rimarrà un piano imposto dall’alto, che non crea empowerment dei cittadini e delle organizzazioni sociali, che non spiega ex ante il nesso logico e l’impatto che avrà sulla generazione che di fatto lo sta finanziando e che speriamo ne goda i frutti. Se fossi un giovane oggi mi sentirei un po’ truffato, ingannato da questa assenza di attenzione alla misurazione e alla rendicontazione dell’impatto». Oggi ancora di più perché i giovani sono stati i più colpiti dalla pandemia, soprattutto precari, stagisti, studenti e disoccupati. Categorie escluse o ignorate dalla maggior parte degli aiuti sostanziali emanati nell’ultimo anno.

 

Questa delusione viene espressa anche da voci politiche che da anni lavorano sul tema dei giovani. «Dalla parte del governo siamo fiduciosi sulle intenzioni di Draghi - dice Massimo Ungaro, deputato di Italia Viva - purtroppo non ci sarà un pilastro dedicato ai giovani, come richiesto da noi al governo Conte ma anche dalle linee guida europee. Ci aspettiamo però un miglioramento in termini di interventi e nuove risorse per i giovani nella versione finale». L’Intergruppo Parlamentare Next Generation Italia ha appena fatto approvare alla Camera una mozione unitaria su questo argomento, per sottolineare come questa sia davvero una priorità per tutti i partiti. «Purtroppo davanti a lobbying e pressioni varie, i giovani vengono de-prioritizzati alla fine dei conti. Proteggere le pensioni è prioritario perché i pensionati sono numericamente tanti, votano, si organizzano, hanno un peso. Finchè non ci saranno movimenti di giovani estremamente influenti, finché i giovani non diventeranno una fascia elettorale con un peso, dietro le quinte la politica continuerà a proteggere altri interessi. Questa è la realtà, che genera a sua volta la frustrazione dei giovani con la politica e la loro implicazione bassa - insomma un circolo vizioso da cui non riusciamo ad uscire», dice Ungaro.

 

Non va diversamente sul fronte delle riforme più attese e sostanziali di questo governo, come quella dei concorsi della Pubblica Amministrazione per l’assunzione nei prossimi anni di mezzo milione di persone. Il decreto legge depositato dal ministro Brunetta il primo aprile a parole apre la strada ai giovani ma di fatto, come fatto notare dal Comitato No Riforma Concorsi Pa, esclude (tramite la selezione a valle usando i “titoli ulteriori”) tanti giovani che, pur avendo il titolo per partecipare, non avranno nessuna chance di arrivare alla prova scritta.

 

Il deputato Alessandro Fusacchia di FacciamoECO si sta attivando proprio su questo fronte: «Il concorso per assumere 2800 tecnici al sud è stato dettato anche da molta urgenza e non è uscito benissimo: presenta più criticità, penso alla selezione fatta con automatismi algoritmici senza mai un passaggio valutativo umano, o alle esperienze professionali valutate a peso, “tanto ad anno”, senza andare a vedere la qualità delle esperienze stesse. A questo si aggiunge che la riforma più complessiva prevista con il decreto-legge n. 44 del 1 aprile sta venendo interpretata e tradotta con limiti simili anche in più di un bando a livello locale. Quello per i 2800 posti al Sud non deve diventare per nessuna ragione di esempio, per questo serve anche che il ministero della Pubblica Amministrazione al più presto rassicuri e chiarisca come intende aggiustare il tiro e promuovere una nuova generazione di concorsi pubblici che rispondano alle aspettative di tantissimi giovani che chiedono solo di essere valutati e di potersela giocare per contribuire a rinnovare la Pa”, dice Fusacchia, che continua: «C’è poi un altro punto cruciale, su cui nessuno si sofferma. Non è abbastanza portare nella Pa centinaia di migliaia di giovani perché cambino le cose. Prima di scegliere di fare politica ho lavorato per anni in più ministeri e sono convinto che fino a quando la Pa continuerà a formattare tutti coloro che entrano, magari portando metodi diversi e innovazione, per farne burocrati col solito stampino, avremo ben poco da sperare in una burocrazia diversa. Serve smontare un sistema che normalizza e appiattisce chiunque entri, serve una riforma coraggiosa che promuova una nuova cultura del lavoro nel pubblico impiego, con al centro il cittadino e i servizi, non la burocrazia difensiva che si sveglia la mattina avendo come preoccupazione massima, e talvolta unica, quella di gestire un ricorso al Tar”.

 

Tra il PNRR e la riforma della PA l’entusiasmo e la speranza per una vera svolta dei giovani sembra svanire nei fatti. Queste decisioni regressive rispetto ai giovani vengono prese in un contesto di decenni di ingiustizie intergenerazionali, rischiando di incendiare una situazione già esplosiva. Specialmente se si considera che molti altri paesi europei stanno rimanendo fedeli agli obiettivi del Next Generation EU e investendo veramente sui giovani, aumentando quindi il distacco fra i ragazzi italiani e quelli europei, rendendo l’Italia sempre meno attrattiva e l’Europa sempre di più.

 

«Lo ripetiamo un’ultima volta. Questa è l’ultima chance: se la classe politica non darà il peso giusto ai giovani, non saprà ascoltarci ed includerci nelle scelte politiche, non saprà darci le opportunità che ci servono per rimanere in Italia, allora non ci sarà più ritorno. Chi è all’estero e vorrebbe tornare se ne farà una ragione, e si costruirà una vita lontano dall’Italia senza rimorsi. Chi è in Italia e cerca di non partire per costruire qualcosa qua avrà ancora meno incentivi di farlo, e non ci penserà due volte prima di fare le valige. Chi non ha il privilegio di partire vivrà in Italia frustrato, abbandonato dal sistema, da chi dovrebbe proteggere le nuove generazioni, senza voglia di contribuire al futuro di un Paese che non gli ha dato le opportunità che si meritava. Se questa è l’Italia che vogliamo, andate pure avanti - ma noi diciamo adesso basta, e se non c’è una risposta vera e concreta del Governo prima del 31 Aprile, allora le conseguenze saranno inevitabili», dicono i ragazzi di Uno Non Basta.