La ripubblicazione de “La repubblica dei partiti” di Pietro Scoppola costringe a una riflessione sulla politica dei giorni nostri. Per ricordarci che in democrazia ogni conquista è provvisoria e per questo non bisogna smettere di cercare

Torna in libreria, a trent’anni dalla prima edizione, “La repubblica dei partiti” di Pietro Scoppola. Un volume che ha segnato una fase del dibattito storiografico sull’itinerario della Repubblica, sul peso delle memorie, sui legami che uniscono generazioni di italiani. Un percorso che attraversa i decenni del lungo dopoguerra fino alla frana, quando il contesto di riferimento viene a mancare, cambiano i punti cardinali, si apre una frattura dagli esiti imprevedibili.

 

In quel frangente, nello scorcio conclusivo del Novecento, diverse sintesi si affiancano confrontandosi sul destino di una comunità nazionale e sulle cesure che rendono incerto il cammino comune. Proposte di ricostruzione storica, interpretazioni che hanno almeno due elementi in comune: la convinzione che la fine della guerra fredda e il crollo della cosiddetta prima repubblica delimiti un perimetro sufficientemente controllabile e chiuso; la scommessa sulla disponibilità di documentazione d’archivio soprattutto dall’estero come chiave per approfondire alcuni passaggi del passato più o meno recente.


Un dibattito intenso (bastino i richiami ai lavori di Paul Ginsborg, Silvio Lanaro, Piero Craveri) che si snoda lungo una fase della storia nazionale cercando faticosamente di tenere aperti i canali di comunicazione tra il presente e il passato in una ricerca che non si esaurisce a ridosso degli eventi.

 

Molte cose sono ormai un lontano ricordo, persino le convinzioni di allora sul fatto che si stesse chiudendo una fase per aprire pagine nuove hanno mostrato debolezze e inadeguatezze. Più che inscriversi nel tramonto del secolo breve quella riflessione consegna i tratti di continuità al periodo successivo: non una parabola che si conclude ma la proiezione di problemi irrisolti e di nuove contraddizioni nello spazio di un tempo nuovo.

 

Pagine in apparenza lontane che riflettono, come uno specchio, il tormento di una riflessione incompiuta, preoccupata della direzione di marcia, segnata dalle opportunità possibili e dai limiti condizionanti. La scelta dell’editore il Mulino di rimettere un testo introvabile in circolazione oltre a rappresentare un omaggio a un grande storico (studioso di storia come preferiva definirsi) è anche un segnale di attenzione per la storia e il suo ruolo nel presente, un contributo possibile agli interrogativi sulle modalità di trasmissione del passato soprattutto tra le generazioni più giovani, i tanti italiani e italiane che sono nati dopo l’Ottantanove.

 

Del resto l’autore della “Repubblica dei partiti” aveva messo mano alle sue chiavi interpretative con due edizioni (la prima nel 1991 e la seconda nel 1997); era cambiato il sottotitolo da “Profilo storico della democrazia in Italia” al problematico “Evoluzione e crisi di un sistema politico” e l’arco cronologico di riferimento si era spinto più avanti, dal 1991 al 1996, a ridosso degli eventi di quel tornante complesso della storia repubblicana. Qualcosa si era mosso in pochi anni, come disse ai suoi studenti di allora: «La storia si è messa in cammino nel 1989 non possiamo immaginare cosa ci aspetta».

 

Ma il suo pensiero tra la prima e la seconda edizione, in poco più di un lustro era diventato più preoccupato sulle sorti della democrazia italiana, sulle capacità di poter uscire in modo convincente dalla fine di un mondo di certezze e condizionamenti sperimentati. Lo storico con i piedi ben piantati nel presente segue da vicino l’evoluzione e la crisi di un sistema politico, partecipa come militante alle campagne referendarie che spingono in modo contraddittorio e incerto verso una forma maggioritaria di alternanza politica e di coalizioni, sente che le scelte condivise possono influenzare un lungo tratto di strada della Repubblica. In poco tempo i dubbi prevalgono sull’ottimismo iniziale, la parabola di una transizione da completare non regge alla prova dei fatti: il tratto di cammino da percorrere si allunga in modo inesorabile, le resistenze al cambiamento si organizzano, la direzione di marcia diventa un itinerario senza costrutto.

 

La chimera di una repubblica dei cittadini da costruire e radicare nel tessuto vivo della società italiana rimane sullo sfondo, condizionata e travolta dal ritorno delle logiche di corto respiro riconducibili all’acquisizione di vantaggi immediati o al protagonismo incontrollabile dei singoli, tanti aspiranti leader abbagliati dal proprio tornaconto individuale. E così quella svolta possibile si allontana, il tempo conferma quanto sia ampio il divario tra gli entusiasmi di allora e i responsi della storia dei trent’anni che abbiamo alle spalle.

 

Non una transizione verso obiettivi definiti ma una lunga fase della storia repubblicana (ben più ampia del fascismo o del tempo che separa la fine della seconda guerra mondiale dal varo dei primi governi di centro sinistra) che andrebbe studiata, indagata e conosciuta con gli strumenti del metodo storico. Primi segnali di una frattura tra presente e passato difficile da comporre e da ricostruire, contro corrente rispetto a un senso comune diffuso popolato tanto dai cantori di un irreversibile declino annunciato quanto dalle sirene sull’inutilità del passato zavorra ingombrante dalla quale liberaci il prima possibile. Un’interpretazione che si spinge persino al di là delle intenzioni dell’autore e della fortunata espressione contenuta nel titolo (ne scrive Francesco Traniello introducendo la nuova edizione).


“La repubblica dei partiti” è diventato qualcos’altro, non solo il titolo della sintesi che Pietro Scoppola dedica al lungo dopoguerra italiano: nel corso degli anni l’espressione più utilizzata per fissare il tempo che separa la conclusione del secondo conflitto mondiale dalla cesura del biennio 1992-1994.

 

Un’espressione efficace, sintetica e fortunata, tanto da essere ripresa o richiamata in quasi tutte le sintesi, i manuali o i volumi sulla storia d’Italia nella seconda metà del Novecento. Il ruolo dei partiti e della democrazia di massa come filo conduttore di un percorso che affonda le radici negli eventi della seconda guerra mondiale e nella costruzione condivisa della Costituzione del 1948. La scelta del 2 giugno per ripubblicare il volume rappresenta un giusto riconoscimento a una data fondante, una lettura che si conferma anche a distanza di decenni: la Repubblica dei partiti e della guerra fredda percorre uno spazio possibile segnato dai conflitti delle guerre mondiali, dalla scommessa di una convivenza pacifica, dalle continue conquiste di una democrazia in cammino.

 

Se dovessimo indicare le eredità più forti, i segni più durevoli di una riflessione interrotta agli inizi del nuovo secolo ne sceglierei due. La prima riguarda il carattere provvisorio e incerto di ogni conquista, anche la più importante e ambiziosa. Il cammino della Repubblica mette da parte, non senza ambiguità, la cultura della rivoluzione, della frattura improvvisa e risolutrice per accettare fino in fondo il laborioso cammino della democrazia di ogni giorno, dei gesti in apparenza insignificanti, delle responsabilità individuali verso la collettività. Una ricerca difficile, con responsi altalenanti che confermano quanto la storia non sia un tribunale, ma un itinerario con interrogativi che mutano sotto l’incalzare degli eventi. Se l’Italia della repubblica dei partiti appare ben più lontana dei 30 anni che ci separano dalla prima edizione del libro, gli interrogativi di fondo non sono sbiaditi o perduti. Molti problemi del contemporaneo possono essere analizzati e compresi solo in un’ottica di lungo periodo cercando i fili di continuità o i tornanti di svolta.

 

Il secondo messaggio che ci consegnano queste pagine investe il delicato rapporto tra la storia e la politica, «visto che il passato condiziona il presente». Tale profondità di sguardo si è persa, spesso cancellata sotto i colpi dell’ignoranza divenuta sistema o della cancellazione sistematica di intere stagioni della storia repubblicana. Le argomentazioni di Scoppola sembrano perdersi in una dimensione lontana, eppure sono di straordinaria attualità: «Si tratta non già di negare il rapporto tra storia e politica e fra passato e presente, ma di assumerlo criticamente. Ogni iniziativa politica di qualche respiro presuppone un giudizio sul passato, una coscienza storica. La politica ha bisogno della storia: la politica senza la storia - ha notato Manzoni - è come un cieco senza una guida che gli indichi la via».