Da Tommaso Giagni a Fabio Guarnaccia, da Emilie Pine a Nicolas Mathieu, la letteratura racconta la grande scommessa dei prossimi anni. A Milano, Roma, Palermo zone che si riplasmano, si rigenerano, quartieri marginali che diventano spazi di resistenza, sempre più protagonisti di nuove narrazioni

Le periferie sono la città del futuro, dice Renzo Piano. «Quella dove si concentra l’energia umana e quella che lasceremo in eredità ai nostri figli». Le periferie siamo abituati a pensarle come qualcosa di marginale, non solo perché associate al degrado, ma anche perché residuali in quanto aride, desertificate dal punto di vista culturale e dei servizi. Marginali perché non vicine al nostro cuore. Ma questo è un errore di prospettiva, un’illusione ottica, una visione falsa. Nelle periferie bisogna portare gli ospedali, le sale da concerto, i musei, le università, perché nel centro storico abita solo il dieci per cento della popolazione urbana: qui invece ci sono le nuove generazioni, qui c’è l’energia, dice Piano. Le periferie sono la grande scommessa dei prossimi decenni.


Pasolini si avventurava in una città ai margini, denunciava lo sviluppo senza progresso degli anni Sessanta, con i ceti meno abbienti impossibilitati a partecipare alla rinascita del Paese. Il degrado diventava radicale nella perdita di identità e nello sfumare della coscienza di classe. La periferia, a sessant’anni di distanza da “Accattone”, ha trovato nuovi modi di catalizzare le energie, si è incamminata verso nuove narrazioni capaci di mostrare scenari che si rimodellano.

LUCI A SAN SIRO
San Siro non è proprio una periferia. Lo sentiamo nominare spesso, perché lo stadio Meazza viene citato di solito con il nome del quartiere che lo ospita. San Siro sta lì, quasi al centro di Milano: in bilico tra due città, due storie – un passato operaio, un presente di precarietà – e decine di culture che convivono una accanto all’altra. La graphic novel “Quartieri” (Becco Giallo), a cura di Adriano Cancellieri e Giada Peterle, ci restituisce la narrazione di cinque periferie – Milano, Padova, Bologna, Roma, Palermo –: e le racconta con parole e immagini nuove, capaci di cogliere sfumature e peculiarità. Il centro di San Siro è piazza Selinunte, dove la torre dell’ex centrale termica sembra ora un monumento. È la piazza in cui si svolge la maggior parte della vita di quartiere. Qui persone di origini diverse si mescolano le une alle altre. La scuola Lombardo Radice è una scuola elementare: ha rischiato di chiudere perché i genitori di bambini italiani non ci iscrivevano i loro figli. La scuola Cadorna invece ha fatto dell’intercultura la sua politica principale (i bambini arrivano da 34 nazioni diverse). Per molte famiglie la scuola Cadorna di via Carlo Dolci è il centro della città. La scuola e le sue attività sono riuscite ad abbattere quel confine invisibile tra le case popolari e le villette della media borghesia. Dei mondi lontani qui si incontrano e convivono.


Ma a Milano non tutta la periferia è come questa. Dall’altra parte c’è la città che corteggia la campagna, là dove si sentono decollare gli aerei da Linate. Un po’ prima si trovano i quartieri di Greco e Lambrate. Fabio Guarnaccia ha ambientato qui il suo romanzo “Mentre tutto cambia”, edito da Manni. Lo ha ambientato nel 1989, quando il mondo per come lo conoscevamo stava per cambiare per sempre. E non solo il mondo, ma anche le vite del Vela e di Best, Paolino, Ivan. «Dietro la facciata onorevole della zona residenziale ci trovavi sfasciacarrozze, baracche con orti, persino una piazzola dove si bruciavano le guaine dei cavi per riciclare il rame. Non sapevamo granché di Milano, ma conoscevamo bene il nostro quartiere e i suoi confini erano per noi un monito inequivocabile».
La periferia è il luogo dove ogni cosa è in bilico, sul punto di trasformarsi in altro. C’è l’estate arroventata, c’è una baracca, il ritrovamento di un cadavere di un tossico che nessuno reclamerà e dintorni di oggetti negletti, pezzi di vita accartocciati. Resti di una cameretta, lattine scolorite dalla pioggia, stracci, secchi d’acqua. La periferia segna un confine frastagliato, il limite ambiguo della città, ma anche della legalità, del lecito, dell’immaginario, e ovviamente della vita e della morte. È lì che dobbiamo spingerci per superare le nostre vedute, il nostro paesaggio mentale.

CON GLI OCCHI DEGLI ADOLESCENTI
La letteratura racconta sempre le periferie attraverso i corpi giovani. Nicolas Mathieu, che con “E i figli dopo di loro” ha vinto nel 2018 il premio Goncourt, ha descritto una Francia periferica e operaia. Lo ha fatto soprattutto attraverso gli occhi di tre adolescenti: la loro fame di un futuro, la sensazione di poter fare tutto e niente nello stesso tempo, l’inconsapevole sospetto di essere ai margini della Storia. Perché la marginalità non è solo di certe periferie, ma anche di quell’età che abbiamo dimenticato: quando si è troppo grandi per essere guidati e troppo piccoli per andarsene. Quando ogni giorno si coltiva la rabbia per capire se davvero valga la pena vivere. I protagonisti del romanzo di Mathieu sono Anthony, Stephanie, Hacine.

 

E tre sono i giovani protagonisti di “Tuoni”, il nuovo romanzo di Tommaso Giagni (Ponte alle Grazie). Manuel, Flaviano e Abdou si muovono in una periferia romana dalla geometria precisa: il Rettangolo, la Spina, il Quartiere. Uno ha origini egiziane, uno è romano da sempre, l’altro è ivoriano. Manuel e Abdou condividono l’oscillazione ossimorica tra senso delle radici e tutto ciò che è provvisorio, soprattutto la casa. Si può vivere nel retro di un negozio con tutta la famiglia, oppure in una cantina occupata; o ancora condividere il letto con la nonna, come nel romanzo di Guarnaccia; o passare da un piano interrato a una casa sul lago di Bracciano – un po’ periferia della capitale, un po’ luogo di villeggiatura – come succede a Gaia, protagonista del romanzo di Giulia Caminito, “L’acqua del lago non è mai dolce” (Bompiani). In letteratura – ma anche nella vita – le case non sono mai solo case, contengono le stratificazioni del nostro tempo, la geologia della nostra vita. Certe case della periferia non sono un rifugio stabile: ci sono ma da un momento all’altro potrebbero non esserci più. Sono la metafora di una precarietà anche dell’anima: quella di chi pensa con rabbia che sia quasi impossibile trovare una giusta collocazione. Una collocazione anche linguistica, perché se sei straniero devi abbandonare la lingua che parli a casa e avventurarti in quella che sarà la tua nuova patria di parole. Diceva Wittgenstein che la nostra lingua è come una città: un labirinto di vie, di case vecchie e nuove, di palazzi ampliati in epoche diverse e, intorno, la cintura dei nuovi quartieri periferici, le strade rettilinee, regolari, i caseggiati tutti uguali. Ma la lingua impastata con altri idiomi ha un’energia nuova, segna la voglia di strade diverse.

LO SPAZIO DEL CAOS
La periferia è il luogo del caos, è sempre in movimento. Ci sono i caseggiati imponenti, ma anche una geografia che vede nuovi quartieri residenziali, i quartieri delle villette a schiera, crescere accanto a quelli popolari. Donatella, protagonista femminile di “Tuoni” vive lì, anche se suo nonno aveva un’officina in centro, quando il centro di Roma era popolare, non ancora gentrificato. Ed è in uno di quei quartieri in costruzione che i protagonisti di Guarnaccia vanno a passare il tempo libero, come a dire che c’è un futuro da costruire, anche se nessuno sa bene da dove iniziare. Forse perché la periferia è piena di insidie che possono tagliare di netto tutte le speranze. È il luogo dei sogni infranti e della droga. E la droga crea spesso un movimento inverso: dal centro le persone si spostano verso l’esterno per consumarla, per trovarla, per andare a ballare a qualche rave clandestino.


Emilie Pine in “Appunti per me stessa”(Irish Book Award) descrive la sua giovinezza londinese, i viaggi in autobus per attraversare la città alla ricerca di una discoteca, del freddo sulla pelle, del desiderio di annullarsi e perdere completamente l’orientamento muovendosi alla periferia della percezione di sé. E Arthur Cipriani, protagonista de “Gli Annegati” di Lorenzo Monfregola (Il Saggiatore) non sa davvero come ha fatto a cascare nella Sprea a Berlino; la notte nella capitale tedesca non ha freni: è fatta di luoghi che sono come isole o pianeti a sé, che si nutrono delle allucinazioni sintetiche. È la giovinezza che nega sé stessa, che ha perso il suo centro.


Da un lato non si può che fare gli stessi percorsi, come Valentina nella graphic di “Quartieri” dedicata a Roma: rimasta incinta a sedici anni, ora, a ventinove, fa la donna di servizio e ha tra figli. Suo figlio adolescente conosce una ragazza e tutto sembra iniziare da capo, sempre uguale come un destino che ci si passa col Dna. Oppure si possono trovare nuovi percorsi, come allo Zen di Palermo, all’Arcella di Padova, alla Bolognina. Certe periferie sono luoghi della conflittualità, ma allo stesso tempo sono anche luoghi della solidarietà e dell’attivismo; dell’orgoglio e dell’attaccamento. Luoghi che si presentano come laboratori quotidiani, decisivi campi di lotta.


Per tutti i protagonisti di queste storie il centro è una proiezione della fantasia, qualcosa da immaginare guardando verso il cielo oltre i caseggiati, un cuore che non si mostra ma di cui si vedono i battiti. La speranza di qualcosa di diverso per la propria vita. Perché un nuovo centro – ideologico e virtuoso – va trovato dentro la periferia. Solo così la periferia sarà la città del futuro.