Immaginare un mondo diverso è l’unico modo di iniziare a renderlo realtà, lavorandoci insieme, giorno dopo giorno

«Io non voglio parlarti dell’Italia di oggi, ma dell’Italia che vorrei». Queste sono le parole di Michele, un “ragazzo” di 40 anni che ho incontrato durante un mio viaggio attraverso l’Italia in un caldo pomeriggio di luglio - riparati all’ombra degli alberi nel mezzo delle colline umbre.
Prendo spunto da Michele per parlarvi, in occasione della Festa della Repubblica, non dell’Italia e del mondo di oggi, ma del Paese e del mondo che vorrei - come donna, come leader e come “giovane” (le virgolette non sono a caso: ai miei 33 anni o ai 40 anni di Michele si è giovani in Italia, non all’estero - e questo già la dice lunga).
Veniamo dunque ai miei quattro vorrei.


Vorrei un mondo fatto di opportunità,  non dell’opportunismo che invece prevale e pervade la nostra società di oggi. Un’opportunità che deve essere livellata per quanto possibile in partenza, compensando i bias e le differenze che determinano dall’esterno la vita di troppe persone. Un mondo dove l’educazione, la salute, la classe sociale, i diritti, sono assicurati e compensati da governi capaci di adempire la loro ragion d’essere.

Vorrei un mondo e un Paese più unito, incentrato attorno a dei valori cardini. Quelli dell’umanità, della solidarietà, dell’equità, della giustizia, della fiducia - insomma proprio i valori che stiamo perdendo in nome dell’individualismo, dell’interesse proprio, dell’egoismo, ma che abbiamo allo stesso tempo riscoperto durante questa crisi. Usando le parole di Arcadia, una pescatrice che ho incontrato nel Delta del Po, «l’Italia è infatti un Paese pieno di belle cose. Ma manca qualcosa: l’unità». Ecco, vorrei che riuscissimo a ritrovare questa unità di fondo, un rinnovato patto sociale, incentrato su una voglia di appartenere capace di dar senso e spazio alle differenze, non di vederle come fonte di paura e ragione di discriminazione.

Vorrei far parte di una classe politica e dirigente che è tale grazie alla sua capacità di creare e gestire una visione a lungo termine incentrata sull’interesse e bene comune, nostro e delle future generazioni, incorporando strategicamente le risposte ai bisogni e ai cambiamenti immediati. Vorrei guardarmi indietro e vergognarmi dei troppi dirigenti di oggi che esistono e sussistono per proteggere l’utile politico, personale e miope. Per arrivarci, serviranno donne e giovani di tutte le provenienze in posizioni di leadership per far sì che le decisioni, le aziende, i Paesi rispecchino la società e la gente si rispecchi in loro. Servirà la loro capacità di pensare a lungo termine (si sa, più intrinseca alle donne e ai giovani che agli uomini e agli anziani), in modo innovativo ed inclusivo, insomma proprio le capacità e la diversità che mancano alla classe dirigente di oggi.

Vorrei infine un mondo con le etichette rovesciate. Dove non devo dichiararmi femminista, ecologista, in favore dei diritti (che siano della comunità Lgbtqi, delle persone di colore, o quel che sia), ma dove questa sia la normalità, il punto di partenza e di decenza umana. Un mondo in cui le etichette vengano riservate ai misogini, agli omofobi, ai razzisti.

Direte che sono una sognatrice, un’idealista - lo sono, ma sono anche una pragmatica e immaginare un mondo diverso è l’unico modo di iniziare a renderlo realtà, lavorandoci insieme, giorno dopo giorno.

Le voci di Michele, di Arcadia, e di tanti altri italiani ed italiane che ho raccolto nel mio libro (“Volti d’Italia”, Il Saggiatore) sono un primo passo in questa direzione. Per capire a che punto siamo oggi come italiani - cosa ci divide, cosa ci fa paura, in cosa speriamo, cosa ci può unire - e come possiamo costruire il Paese, l’Europa e il mondo che vorremmo. Insomma, un libro e un viaggio da Nord a Sud che spero ci possa incoraggiare ad attivarci per creare un’Italia di cui essere fieri, di cui vogliamo far parte, e in cui abbiamo tutti un posto e un ruolo da giocare. Per guardarci indietro un giorno e sapere che ognuno di noi ha fatto qualcosa per lasciarci alle spalle quello che non va dell’Italia di oggi, e per far sì che una donna “giovane” come me possa sì partire, ma anche tornare o restare per realizzare tutte le sue ambizioni anche qua – in Italia.