In Russia non potranno partecipare alle tornate elettorali i gruppi definiti “estremisti” dopo la misura varata in tempo record dal Cremlino. Intanto continua la repressione nei confronti dei singoli antagonisti

Una legge che vieta agli oppositori di presentarsi alle elezioni. È il succo del provvedimento promulgato il 4 giugno dal presidente russo Vladimir Putin, che di fatto rende impossibile alle associazioni, organizzazioni e partiti definiti “estremisti” di correre in qualsiasi tornata elettorale nel paese. Legge approvata in tempi record: dalla Duma a fine maggio e dal Senato mercoledì 2 giugno. E proprio il tempismo fa presumere che sia stata una mossa studiata appositamente per frenare le aspirazioni di Aleksei Navalny e dei suoi sostenitori in vista delle elezioni parlamentari del prossimo settembre. Non a caso l’organizzazione del dissidente in queste settimane è oggetto di un’indagine delle autorità giudiziarie. Nel giro di qualche giorno potrebbe essere definita come “estremista” e quindi rientrare tra i gruppi messi al bando.

 

Un provvedimento che mira a interdire dai tre ai cinque anni anche le singole persone associate in qualche modo a tali formazioni: collaboratori, militanti o donatori. E la regola varrà anche in maniera retroattiva per chiunque sia stato legato negli ultimi 3 anni a queste organizzazioni.

Fa parte della tattica di Putin: cercare di far terra bruciata attorno ai suoi oppositori, con un occhio di riguardo proprio a Navalny che, nel giorno del suo 45esimo compleanno, ha ricevuto questo sgradito regalo. Il dissidente, famoso per la sua lotta contro la corruzione, è finito in carcere a gennaio dopo il suo ritorno in Russia dalla Germania, dove era stato curato a seguito dell’avvelenamento che lo aveva ridotto in fin di vita. Gli autori del presunto attentato non sono stati individuati ma i servizi russi sono stati fin da subito i primi sospettati. Nonostante sapesse della sorte che lo attendeva nel momento in cui avesse toccato nuovamente piede in Russia, Navalny aveva deciso comunque di tornare in patria, soprattutto per mantenere alta l’attenzione e il clamore mediatico sulla sua condizione e su quella dell’opposizione russa. Un calcolo esatto, visto che le manifestazioni a suo favore dopo l’arresto sono state numerose, seguite però da ondate di arresti generalizzati. Nelle ultime settimane ha portato avanti uno sciopero della fame in prigione, con l’obiettivo di protestare contro le condizioni carcerarie e per continuare ad avere i riflettori del mondo puntati.

 

Ma Navalny non deve affrontare solo la condanna a tre anni e mezzo di detenzione. I tribunali russi gli hanno comminato multe e risarcimenti per una cifra che avrebbe raggiunto i 29 milioni di rubli, corrispondenti a circa 327mila euro. Gli ufficiali giudiziari, come detto dal loro direttore Dmitri Aristov all’agenzia Interfax, sono pronti a cercare e a confiscare quei beni e fondi di proprietà dell’oppositore, unico modo per poter ripagare i debiti. 

RUSSIA TRIAL NAVALNY

E la caccia agli oppositori del Cremlino non si ferma a Navalny. L’ultimo arresto è stato quello di Andrei Pivovarov, direttore dell’associazione Open Russia. Un fermo che ha ricordato per modalità quello del bielorusso Roman Protasevich da parte di Minsk: stava per partire su un aereo da San Pietroburgo diretto a Varsavia quando è stato bloccato e prelevato dalle forze di sicurezza. Il 39enne, che rischia fino a sei anni di carcere, era a capo del gruppo fondato da Mikhail Khodorkovsky, un imprenditore in esilio in aperta opposizione a Putin, catalogato come “organizzazione non desiderata” da Mosca.

Un altro arrestato e al centro di perquisizioni è stato Dmitry Gudkov, ex parlamentare e figura nota tra gli oppositori del presidente. Bloccato il 1° giugno, a quanto detto dal suo avvocato per delle irregolarità su alcune rate di un affitto risalenti al 2015. Più di cento agenti hanno perquisito il suo appartamento e quelli dei suoi familiari, ma poi è stato rilasciato il 4 senza imputazioni.

La meticolosità del sistema Putin nello stringere i controlli e nel punire gli obiettivi politici aumenta sempre di più con l’avvicinarsi delle elezioni della Duma a settembre, cruciali per saggiare il consenso di cui gode ancora il presidente nel paese.