Identità di genere. Tre parole che potrebbero affossare la legge Zan contro l’omotransfobia e che incendiano Italia Viva e Partito Democratico. «Illuminano la vita di chiunque», spiega Guido Giovanardi psicoterapeuta, dottore di ricerca presso il dipartimento di Psicologia dinamica e clinica, all’università La Sapienza di Roma. Inserita nel ddl Zan, l’identità di genere «è riconosciuta dalla comunità scientifica da più di cinquant’anni. Indica la percezione di sé stessi come appartenenti al genere maschile, femminile o “altro” (oggi definito genere non-binario). Nella maggior parte degli individui è allineata al sesso assegnato alla nascita. Può succedere che, per un insieme complesso di fattori (biologici, psicologici e sociali), il genere percepito non corrisponda al sesso biologico. Nulla di strano: considerata una patologia un tempo, oggi è riconosciuta come variante identitaria».
A chiederne lo stralcio nel Pd è la senatrice Valeria Valente: «Può portare nel tempo a negare qualsiasi rilevanza del sesso biologico», dice in dissenso con la linea del segretario Enrico Letta.
«Ma per la Corte Costituzionale, l’identità di genere è oggetto di un diritto fondamentale», spiega Angelo Schillaci, professore associato di Diritto pubblico comparato alla Sapienza: «Consiste nell’aspirazione alla corrispondenza tra il sesso attribuito alla nascita e quello “soggettivamente percepito e vissuto” dalla persona. Contenuta nel ddl Zan, serve unicamente a identificare il movente di reati d’odio e a proteggere le persone trans da discriminazione e violenza».
L’asse contro l’identità di genere è da larghe intese: oltre Valente, i dem Valeria Fedeli e Andrea Marcucci. I senatori di Italia Viva, guidati da Davide Faraone, in collisione con i renziani della Camera Ivan Scalfarotto e Lisa Noja. Su tre parole rischia di spaccarsi il partito già scheggia di un altro, dunque vicino a esser polvere. Lo stralcio, per Luciana Goisis, professoressa di Diritto penale dell’università di Sassari, «escluderebbe dalla disciplina penale le vittime di transfobia. Posto che l’articolo 3 della Costituzione sancisce il principio di uguaglianza e il divieto di discriminazione in relazione alle “condizioni personali e sociali”, nelle quali si fa tradizionalmente rientrare l’orientamento sessuale e l’identità di genere, laddove - nei delitti contro l’uguaglianza - non si contemplassero queste caratteristiche protette, si potrebbero rintracciare profili costituzionalmente sospetti».