Niente soldi per scuole e strade. Personale ridotto al lumicino. E un terzo degli enti che non riesce a chiudere i bilanci. Così 14 milioni di persone vivono senza i servizi pubblici minimi garantiti nel resto del Paese. L’allarme dei sindaci: “Senza aiuti non potremo partecipare ai bandi con i fondi Ue in arrivo”

Palermo, quinto Comune d’Italia con i suoi 673 mila abitanti. Da un anno quasi mille bare sono insepolte perché gli spazi nei cimiteri pubblici sono finiti. Ci sarebbero dei nuovi terreni già opzionati, ma l’ente non ha in cassa nemmeno 200 mila euro, i fondi necessari per acquistarli: inoltre non può chiudere il bilancio di previsione 2021 perché mancano all’appello 80 milioni di euro.


Reggio Calabria, 182 mila abitanti, un Comune che sta uscendo a fatica dal dissesto e ha la spesa corrente bloccata: ha solo tre asili nido, realizzati con finanziamenti straordinari, ma non ha certezza sui fondi per pagare gli stipendi agli insegnanti e di sicuro non ne può aprire di nuovi. Caserta, quasi 80 mila abitanti, su 780 dipendenti previsti in pianta organica ne ha in servizio poco più di 200, vigili urbani compresi: mancano tecnici per fare i progetti per nuove iniziative ed esperti per partecipare ai bandi Ue.

 

Casal di Principe, piccolo Comune di 20 mila abitanti, simbolo della filiera di paesi dell’entroterra del Sud che sono la maggioranza degli enti locali in questo pezzo d’Italia: il sindaco chiude sì il bilancio, ma non ha i soldi per garantire l’illuminazione pubblica in tutti i quartieri né per aprire una scuola.


I Comuni del Sud stanno affondando. Erano già in crisi prima del Covid-19, la pandemia ha dato il colpo di grazia. Il 30 per cento degli enti locali da Napoli in giù non riesce a chiudere i bilanci per disavanzi di amministrazione. Se a questi si aggiungono i Comuni in dissesto e pre dissesto significa che nel Meridione una popolazione di 14 milioni di abitanti non ha già adesso servizi minimi garantiti e rischia di restare fuori dalla ripresa economica: perché in queste condizioni il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che per gli enti locali dovrebbe stanziare circa 30 miliardi di euro, passerà sopra le teste di un terzo degli abitanti del Mezzogiorno.

Roma 07/11/2016, i sindaci dell'Associazione Nazionale Comuni d'Italia si confrontano alla Camera dei Deputati sulle urgenze del paese. Nella foto i sindaci nell'aula di Montecitorio

Un esempio plastico di questo futuro imminente e beffardo, considerando che Bruxelles ha dato tanti soldi all’Italia per colmare i divari territoriali, arriva dal bando per realizzare nuovi asili nido pubblicato dal Miur con 700 milioni di euro già opzionati sul Pnrr. I criteri prevedono un premio per chi garantisce un cofinanziamento degli interventi. Risultato? Caserta non arriverà nemmeno a essere inserita in graduatoria, Reggio Emilia potrà realizzare altri asili in aggiunta ai sessanta che ha già operativi.

I NUMERI DEL DISASTRO
La crisi economica e finanziaria dei Comuni, iniziata con il governo Monti e l’avvio dell’austerity, oggi al Sud è arrivata a un punto di non ritorno. I numeri che l’Anci, l’associazione nazionale degli enti locali, ha consegnato al Parlamento nelle recenti audizioni in Camera e Senato lasciano pochi spazi ai dubbi. Su 396 Comuni in dissesto e pre dissesto, ben 304 sono al Sud e nelle Isole. Nel 2019, quindi già prima della pandemia, 1.119 Comuni registravano disavanzi, di questi 803 nel Meridione. Cifre che nel 2021 sono chiaramente aumentate. Numeri impietosi anche sul fronte della riscossione: in Sicilia il 50 per cento non riesce a riscuotere Tari, Imu e multe, in Calabria il 40 per cento, in Campania il 30 per cento. Anche qui, numeri in salita nell’anno della pandemia, visto che l’economia si è fermata.

pol pol pol

Ma c’è di più: la Corte Costituzionale ha appena bocciato la norma che consentiva agli enti locali di ripianare il debito per le mancate entrate in 30 anni, mettendo nero su bianco che non possono essere le nuove generazioni a farsi carico dei buchi del passato. In questo momento moltissimi Comuni non possono tecnicamente chiudere il bilancio di previsione del 2021 (e siamo a luglio).

ASILI, STRADE, ILLUMINAZIONE
Palermo non solo non ha in cassa 200 mila euro per risolvere un problema come quello delle bare accatastate, ma non riesce, ad esempio, a garantire la manutenzione delle strade: via Volturno, che collega il Teatro Massimo al Tribunale, pieno centro storico quindi, non viene asfaltata da oltre quindici anni. Impensabile così aprire nuovi asili nido o aumentare il tempo pieno nelle scuole. In Sicilia la mensa scolastica è garantita solo nell’8 per cento degli istituti, in Toscana si arriva al 62 per cento. Palermo inoltre non ha dirigenti tecnici, l’ultimo è andato in pensione poche settimane fa. In queste condizioni, come potrà partecipare ai bandi del Piano di ripresa nazionale?


Lo scenario non cambia se si sale di qualche chilometro, a Reggio Calabria. Il sindaco Giuseppe Falcomatà ha ereditato un Comune in dissesto e ha evitato il collasso grazie a un aiuto straordinario da 150 milioni per ripianare il debito: «Il Covid ha accentuato le difficoltà dei Comuni del Mezzogiorno, palesando quella che io definisco una discriminazione di cittadinanza. I problemi iniziano già nel 2010, con il criterio della spesa storica inserito tra quelli che stabiliscono quanto lo Stato deve dare ai Comuni: nel 2010 Reggio Emilia aveva 60 asili, Reggio Calabria zero e lo Stato ha continuato a redistribuire le risorse mantenendo questo divario. Anzi lo ha allargato: nel 2010 i trasferimenti statali per il mio Comune erano pari a 80 milioni, oggi sono appena 24 milioni. Nonostante questo abbiamo aperto tre asili nido grazie ai fondi Pac, che dovrebbero essere risorse aggiuntive per colmare i divari e invece diventano somme sostitutive. Ma già penso a come dover pagare gli insegnanti nei prossimi anni». Il sindaco di Catanzaro, Sergio Abramo, riesce a chiudere il bilancio. Ma solo da un punto di vista tecnico, perché poi non ha un euro per fare investimenti: «Il mio Comune ha 15 milioni in meno all’anno come trasferimenti rispetto a una realtà con gli stessi abitanti della Lombardia. Ecco perché i grandi enti della mia regione sono in dissesto: Cosenza, Crotone, Vibo Valentia, Reggio Calabria. Io non ho debiti ma non ho soldi per fare nulla. Non ho nemmeno 100 mila euro per migliorare la manutenzione del verde».


Un quadro che non cambia nei piccoli Comuni. Il sindaco di Casal di Principe, Renato Natale, allarga le braccia e al Pnrr nemmeno pensa: «Abbiamo enormi problemi da affrontare senza mezzi. A esempio io ho in gestione oltre 50 beni confiscati all’oppressione mafiosa. Ma questi beni hanno bisogno di interventi per accogliere servizi, come scuole, asili nido, uffici comunali e impianti sportivi. E io non ho un euro. Poi c’è il tema dell’abusivismo edilizio alimentato dal potere mafioso. Io devo abbattere, da solo, 200 beni. E per un abbattimento occorrono 200 mila euro. Per far crollare quattro case ho già dovuto accendere un mutuo con Cassa depositi e prestiti e sono stato costretto a ridurre la manutenzione stradale e a tagliare i fondi per la pulizia delle microdiscariche. Inoltre non ho nessun asilo nido e faremo fare i doppi turni nelle scuole medie perché non abbiamo le aule. Il Pnrr? Siamo tagliati fuori in partenza».

PERDERE IL TRENO DEL PNRR
Il sindaco di Casal di Principe tocca un tasto dolente, perché il vero timore dei sindaci, soprattutto del Meridione, è quello di perdere anche il treno del Piano di ripresa e resilienza. In questo senso campanelli di allarme sono già suonati. A esempio il Miur ha messo a gara 700 milioni per costruire nuovi asili nido, prenotando i primi fondi del Piano di ripresa. Tra i criteri che premiano le domande c’è quello del cofinanziamento, che dà 10 punti, mentre la mancanza di asili rispetto alla media del Paese dà solo 3 punti. È chiaro che così Milano, Bologna, Firenze avranno punteggi maggiori, mentre Napoli, Bari o Palermo resteranno ancora indietro. Non a caso il sindaco di Caserta, Carlo Marino, presidente dall’Anci Campania, nemmeno pensa che il suo Comune arriverà a essere ammesso in graduatoria: «Il problema comunque non è solo economico. Noi avremo difficoltà a salire sul treno del Pnrr anche perché non riusciremo a fare i progetti. Faccio l’esempio del mio Comune. Nel 2016 avevo 570 dipendenti compresa la polizia municipale. Oggi con quota 100 e pensionamenti vari sono a 215 dipendenti e non ho ingegneri informatici o esperti in digitalizzazione: come faccio i progetti con il Pnrr che prevedono fondi proprio per la digitalizzazione o per il risparmio energetico?».


Il tema delle difficoltà finanziarie comunque è ormai nazionale. Dice Alessandro Canelli, sindaco di Novara e responsabile Finanze Anci: «La situazione difficile dei Comuni è figlia di una stagione caratterizzata da un atteggiamento dello Stato di forte restrizione dei finanziamenti. Sono diminuite le spese correnti, è sceso il personale, sono calate le spese per investimenti per ben il 25 per cento. In questo scenario sono emerse le difficoltà drammatiche di quegli enti che già non stavano bene. E non è più una questione di mala gestio, è un problema sociale».


Il direttore della Svimez Luca Bianchi lancia quindi l’allarme sul rischio beffa del Pnrr proprio per il Sud: «La minore capacità progettuale delle amministrazioni meridionali le espone a un elevato rischio, con il paradosso che le realtà a maggior fabbisogno potrebbero beneficiare di risorse insufficienti. Se si vuole scongiurare questo rischio, va rafforzato il supporto alla progettualità di questi enti. Il tema della capacità di garantire l’effettiva offerta dei servizi rimanda all’esigenza più ampia di definire un percorso sostenibile di perequazione che consenta di superare la pratica della “spesa storica” e di ristabilire uguali diritti di cittadinanza in tutto il Paese e non solo in una sua parte».