Nel 2004 Nicholas Merrill riceve una lettera dal Bureau che in base al Patrit Act gli intima di rivelare i dati di un cliente musulmano. Invece di obbedire, decide di rivolgersi agli avvocati. Vince, e oggi fornisce tecnologie per navigare in modo anonimo

«Ha presente quelle storie in cui un uomo si ritira in cima ad una montagna e passa un periodo lunghissimo in totale solitudine? Per molto tempo mio malgrado la mia vita è stata così: per undici anni sono stato costretto a starmene rinchiuso con i miei pensieri senza poter dire ai miei familiari e amici cosa mi stava accadendo».

 

Nicholas Merrill, 48 anni, non è un aspirante asceta o eremita alla ricerca del segreto dell’esistenza, ma un provider di servizi Internet newyorkese, la cui vita è stata stravolta quando nel 2004 ha ricevuto una “lettera di sicurezza nazionale” dall’Fbi e, anziché aderire alle richieste in essa contenute, ha deciso, primo caso nel Paese per un privato cittadino, di fare causa al Bureau.

 

La sua storia ha inizio tre anni prima, in un giorno che sconvolgerà per sempre l’America e l’ordine mondiale. È la mattina dell’11 settembre 2001 e Nick dorme profondamente: «Il mio ufficio si trovava a soli dieci isolati di distanza dal World Trade Center. Avevo lavorato fino alle 5 del mattino e non sapevo che i due aerei avevano colpito le Torri Gemelle, quando intorno alle 11 i telefoni iniziano a impazzire perché la connessione era caduta dappertutto. Mi sono alzato e quando ho aperto le finestre ho visto la polvere di cemento e le persone che fuggivano e sono rimasto allibito».

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Di quei giorni e dei mesi successivi Merrill ha un ricordo vivido: «L’esercito chiuse diversi isolati e per andare e venire dall’ufficio dovevo attraversare un posto di blocco. Rammento l’odore acre del fumo, durato settimane, e il clima di paranoia generale e di razzismo nei confronti dei musulmani: si diceva che il governo, a caccia di terroristi, ogni tanto ne prelevasse qualcuno che non faceva più ritorno a casa». Nonostante lo shock, Merrill si sente comunque al sicuro, non soltanto per il colore della sua pelle, ma anche per il suo lavoro conosciuto in città da privati e aziende.

 

L’incubo personale inizia una giornata qualsiasi del 2004: «Ricevo una telefonata in cui mi si dice che riceverò presto una lettera dall’Fbi», dice Merrill. «All’inizio ho pensato a uno scherzo, ma poco dopo mi suona alla porta un tizio vecchio e grasso, con un impermeabile di quelli che si vedono nei film, e mi dice che deve consegnarmi qualcosa da parte dei federali. Apro la lettera, la leggo velocemente e gli chiedo se posso chiamare il mio avvocato. Non risponde, ma mi fa firmare una ricevuta e se ne va».

 

Quello che Merrill ha in mano ha a che fare con la guerra al terrore avviata da George W. Bush quando il 26 ottobre 2001 ha promulgato il Patriot Act, legge federale che restringe le libertà civili in nome della caccia al nemico, cui seguono tutta una serie di direttive simili. «Si trattava di un esemplare di National Security Letter, che l’Fbi poteva inviare a chiunque per richiedere informazioni relative alla sicurezza nazionale», ricorda Merrill: «Ma se prima bisognava chiedere a un giudice l’autorizzazione, per vedere se esistevano prove sufficienti a giustificarle, dopo il Patriot Act la verifica è stata abolita. Nella lettera mi si chiedeva di rivelare una serie di informazioni sui collegamenti in rete, la posizione, la corrispondenza e altri dati sensibili di un mio cliente musulmano. Inoltre c’era scritto a chiare lettere che non potevo parlare del contenuto con nessuno. Il tono era minaccioso e ho iniziato ad avere paura, anche perché avevo visto Bush in tv dire che chiunque poteva essere considerato un nemico dell’America e condannato senza prove».

 

Nonostante il timore di finire a Guantanamo e dopo aver provato invano a barcamenarsi da solo nella comprensione delle 132 pagine del Patriot Act, Merrill decide di rivolgersi all’avvocato della propria società: «Era un vecchio amico e sapevo che potevo fidarmi, ma lui fino ad allora si era occupato solo di contratti. Così mi ha suggerito di rivolgermi a uno dei miei clienti, l’ufficio newyorkese dell’Aclu, l’Unione americana per le libertà civili, il cui sito era ospitato gratis sui miei server. Ho incontrato il direttore degli affari legali e mi ha chiesto se poteva parlarne con un collega: mi tremavano le gambe, perché già avevo rivelato il contenuto della lettera a due persone. Mi chiedevo per quanti anni sarei andato in carcere, ma ho accettato. Dopo una riunione mi hanno detto che la lettera era illegale, perché violava la mia libertà di parola e il diritto di avere un avvocato».

 

A questo punto Merrill deve decidere se obbedire alle richieste dell’Fbi o se opporsi, anche perché nemmeno gli avvocati possono assicurargli che il governo non lo arresterà. «Ci ho pensato a lungo ma ho deciso di fare causa, perché mi spaventava la deriva che aveva preso la presidenza Bush, che assumeva un potere senza controllo e limitava sempre più libertà individuali. Pensavo il processo sarebbe durato pochi mesi. Se avessi saputo che ci sarebbero voluti 11 anni, forse avrei rinunciato».

 

Dal 2004 al 2015, quando la vicenda ha avuto fine, gli avvocati di Merrill sono andati davanti a giudici di vario ordine e grado, senza che lui stesso potesse seguire le udienze: «Non potendone parlare con nessuno, come ho fatto in tutti quegli anni, non potevo neanche andare in tribunale rivelando così la mia identità. Ho vissuto anni difficili: quando ricevevo una telefonata per parlare con i miei legali, dovevo inventare una scusa con le persone che erano con me. Ero molto stressato, mi sembrava di tradire i miei cari, e avevo paura di essere spiato e pedinato».

 

I primi giudici cui si rivolge dichiarano illegittime quel tipo di lettere, ma dato il ricorso in appello dell’Fbi, Merrill resta consegnato al silenzio e i federali continuano a spedire missive ad altri cittadini: tra il 2003 e il 2006 ne vengono inviate 200mila. Poi il Patriot Act viene dichiarato incostituzionale e il suo caso emerge in cronaca, senza però che la sua identità possa essere svelata. «Qualcuno aveva il sospetto che parlassero di me, ma io negavo sempre», ricorda lui. «La battaglia legale è stata così aspra che a un certo punto l’Fbi, avendo incassato diverse sconfitte, pur di continuare a operare come voleva, mi ha comunicato che avrebbe ritirato la richiesta nei miei confronti se mi fossi consegnato al silenzio».

 

Nel frattempo lettere analoghe vengono spedite ad alcuni bibliotecari in Connecticut, perché l’Fbi vuole informazioni su libri letti, siti web visitati e persone incontrate dagli utenti. «A quel punto i casi sono stati accorpati», prosegue Merrill, «ma nelle more del giudizio, il Congresso ha emendato la legge, in modo da permettere al Bureau di continuare ad agire senza interferenze della magistratura. E così mi sono ritrovato dopo sei anni a ricominciare tutto da capo».

 

È un colpo di fortuna a permettere a Nick di parlare, finalmente, nel 2011: «Nel diffondere le lettere dei bibliotecari, qualcuno ha sbagliato ad annerire alcuni dati sensibili, e così la stampa ne ha identificato qualcuno e l’ha intervistato. A quel punto il patto di riservatezza non aveva più senso, così l’Fbi ha stretto un accordo coi miei legali, in modo che potessi rivelare che ero io il provider newyorkese di cui parlavano tutti. È stato un sollievo dire a mia moglie, agli amici e ai miei perché per tutti quegli anni mi ero comportato in maniera così bizzarra. Anche se non potevo ancora rivelare certi contenuti secretati della lettera, almeno potevo uscire allo scoperto. Nel frattempo avevo avuto un figlio, ero stanco, e per un po’ ho smesso di dar noia all’Fbi».

 

Dopo qualche tempo Merrill però decide di porre fine alla vicenda: «Se avessi dovuto pagare i legali per tutti questi anni, mi sarebbe costato centinaia di milioni di dollari. Così a quel punto mi sono rivolto alla Law Clinic di Yale, che mette a disposizione gratuitamente i migliori praticanti avvocati del Paese pronti a farsi le ossa su veri casi, e dopo ulteriori scontri in aula, un giudice nel 2015 ha stabilito che anche gli ultimi segreti sulla lettera potevano cadere. Non voglio rivelare l’identità della persona di cui l’Fbi voleva le informazioni, ma posso dire che era una persona influente nella comunità musulmana: lui stesso mi ha rivelato che il Bureau voleva costringerlo a diventare un informatore, ma siccome si è rifiutato lo hanno messo nella lista di chi non può prendere un aereo, e ogni volta che gli offrivano un posto da professore universitario, gli agenti si presentavano dal rettore per mandare a monte tutto. Gli hanno rovinato la carriera».

 

La battaglia contro l’Fbi ha cambiato per sempre la vita di Merrill: «Dopo tutti gli anni trascorsi in solitudine su quella metaforica montagna, ho capito che il governo e le multinazionali hanno un controllo eccessivo sui dati sensibili dei cittadini: nonostante i passi avanti fatti dalla tecnologia, quando fai una telefonata, è come se ci fosse ancora una telefonista che ti mette in collegamento col destinatario e ascolta tutto. Così ho deciso di fondare il Calyx Institute, organizzazione no profit, finanziata da donatori, che fornisce gratuitamente tecnologia VPN e server TOR, con cui è possibile rendere anonima la navigazione su Internet. Inoltre stiamo costruendo una versione di Android che evita di mandare tutti i dati ai server di Google come avviene ora. A volte può sembrare un’impresa titanica sfuggire al controllo di queste società, ma la mia esperienza mi ha insegnato che nessuna battaglia è impossibile. La privacy deve essere considerata un diritto fondamentale e ognuno deve essere libero di comunicare a voce o su Internet con chi desidera senza essere spiato».