Il boss Matteo Messina Denaro, “u siccu”, ha partecipato alla deliberazione e all’attuazione delle stragi di Falcone e Borsellino. Ha sostenuto la strategia terroristica mafiosa di Riina e l’attacco allo Stato, al quale i Corleonesi avevano dichiarato guerra. Ed il capomafia è stato uno snodo della trattativa Stato-mafia. Sono alcuni dei punti su cui si sviluppa la lunga motivazione della sentenza di condanna del maggiore latitante italiano, depositata il 18 agosto. La Corte d’assise di Caltanissetta aveva inflitto l’ergastolo lo scorso ottobre a Messina Denaro per le stragi del 1992, così come aveva richiesto il pm Gabriele Paci, che ha istruito il processo, e che dal 18 agosto è il nuovo procuratore di Trapani.
I giudici scrivono che il latitante «condivise in pieno l’oggetto e la portata del piano criminale di Riina di attacco allo Stato e di destabilizzazione delle sue Istituzioni allo scopo, da un canto, di colpire i nemici storici, gli inaffidabili e i traditori di Cosa nostra, dall'altro canto, di entrare in contatto con nuovi referenti con cui trattare per giungere ad un nuovo equilibrio».
E sottolineano che questo mafioso trapanese-corleonese era a conoscenza della «trattativa Stato-mafia, l'altra faccia della medaglia del piano stragista» scrive la Corte. E aggiunge su questo punto: «Furono resi edotti Matteo Messina Denaro e Graviano (“i picciotti sanno tutto”), con sicuro coinvolgimento del boss trapanese». «In definitiva, Matteo Messina Denaro fu in assoluto un membro del cerchio magico di Riina e, anche solo in tale veste (senza nulla togliere alla comunque accertata reggenza della provincia di Trapani), è uno dei protagonisti dell'attacco sfrontato che Cosa nostra intraprese contro lo Stato al fine di destabilizzarne le Istituzioni e costringerlo tramite nuovi canali referenziati a trovare un compromesso favorevole ad entrambi i fronti».
Per i giudici Matteo Messina Denaro «mise fattivamente a disposizione della causa stragista le proprie energie e le sue forze militari e logistiche convogliando in senso unidirezionale tutta la nomenclatura trapanese. Man mano che il piano stragista prese corpo in parallelo Matteo Messina Denaro - in via diretta o indiretta (ovvero anche a mezzo degli uomini d'onore della provincia mafiosa da lui retta) - dimostrò tangibilmente la sua perdurante adesione e in tal guisa, ribadendo la fedeltà a Riina in quel delicato momento per la sua leadership e per l'intera Cosa nostra».
La Corte ha fatto un certosino lavoro di ricostruzione dei fatti e della storia criminale dei corleonesi. È entrata nei meandri mafiosi che hanno portato alla genesi delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Il movente. La deliberazione degli attentati e le singole riunioni in cui i boss ne hanno discusso. La creazione da parte di Riina della “Super cosa” che andava al di sopra della commissione di Cosa nostra.
Il piano stragista
La Corte nella motivazione sviscera i rapporti d’affari e criminali fra i corleonesi e i trapanesi. Gli interessi economici-patrimoniali di Riina nelle terre di Messina Denaro. I legami con la massoneria trapanese. E poi la figura di questo boss latitante e il suo ruolo al fianco del capo dei capi. Il protagonismo di “u siccu” nel periodo stragista, sia siciliano che nel “continente”, descrivendo «il motivo genetico dell’avversione di Cosa nostra a Borsellino» e l’attacco al patrimonio culturale e le ragioni «alla base delle sollecitazioni di Messina Denaro all’eliminazione di Borsellino». C’è in lui la consapevolezza di queste bombe. E i giudici spiegano bene, sulla base delle prove prodotte dal pm Paci, della sua responsabilità.
«Sarà, si badi, in particolare il duo Messina Denaro-Graviano, a gettare la Penisola nello scompiglio appena l'anno successivo alle stragi del 1992)».
Per i giudici che hanno condannato il boss all’ergastolo «Messina Denaro, seppur non ebbe alcun ruolo nella fase esecutiva delle stragi di Capaci e via D'Amelio, mise immediatamente a disposizione la propria persona e quella degli altri uomini d'onore e soggetti a lui legati trapanesi per una morsa a tenaglia dei due magistrati ovunque si trovassero contribuendo al loro stretto monitoraggio e a infuocare gli animi dei complici verso la loro morte che avvenne nella provincia di Palermo, ma che sarebbe potuto accadere anche a Roma, a Marsala o nelle diverse opzioni geografiche che per ipotesi si sarebbero potute presentare». E non mancano i giudici di ricordare le connessioni con la politica e con i politici. E i collegamenti che Messina Denaro ha cercato, e forse attuato dopo le stragi, con nuovi referenti.
Il boss, che nelle scorse settimane è diventato nonno, è ricercato ufficialmente dal 1993. È sempre più ricco e potente. Tutte le persone che hanno avuto contatti con lui sono state arrestate, compresi i suoi familiari. E sequestrati i beni. Li ha resi poveri e isolati in carcere. Nonostante ciò, la sua invisibilità non lascia trasparire alcuna crepa.