Il caso
Cani poliziotto addestrati per attaccare i neri: lo scandalo che investe gli Usa
Un’inchiesta da Pulitzer rivela l’incidenza delle ferite, anche mortali, inferte dagli implacabili K-9 usati dalle forze dell’ordine in alcune città. In cui a essere morsi sono quasi esclusivamente cittadini afroamericani
Avete mai sentito parlare di Joseph Lee Pettaway? Probabilmente no. Ma recuperiamo subito: Joseph Lee Pettaway era un operaio disoccupato di 51 anni. Viveva nella città di Montgomery, in Alabama. Da alcuni mesi, in casa con lui, si era trasferita anche l’anziana madre, un’ottasettenne non più autonoma. Trasferendosi a casa del figlio, la donna, aveva lasciato vuota la sua vecchia casa, a un paio di isolati di distanza, che Pettaway usava come deposito.
Fin qui, niente di cui valga la pena scrivere. Ma poi, una notte, lo scorso 7 ottobre, Joseph Lee Pettaway, andò nella casa vuota della madre. Forse per prendere qualcosa, o forse perché c’era stato un guasto. Non si sa. Quel che si sa, però è che un solerte vicino di casa lo vide. O meglio, vide un uomo, manco a dirlo nero, entrare di notte in una casa vuota. Ne dedusse che fosse un ladro e chiamò la polizia. A questo punto non si sa bene cosa sia successo, perché i filmati delle bodycam della polizia non sono mai stati resi disponibili, ma il risultato è che pochi minuti dopo l’arrivo della polizia, Joseph Lee Pettaway morì dissanguato.
E a questo punto, di nuovo, la storia potrebbe non avere niente di straordinario. Ormai siamo tristemente abituati alle notizie di abusi della polizia americana, di razzismo strisciante, e di arresti con eccesso di forza, quasi sempre verso i neri, tipo quello costato la vita la scorsa primavera a George Floyd.
Ma la storia di Joseph Lee Pettaway è diversa dalle solite storie di abusi della polizia Usa verso i sospetti neri. Perché a uccidere Joseph Lee Pettaway non è stato un poliziotto. O meglio, sì, ma non proprio. A uccidere Joseph Lee Pettaway è stato un cane poliziotto che, mordendolo, gli aveva secato un’arteria.
Il caso di Pettaway, benché particolarmente grave, non è l’unico. Nell’agosto del 2015, per esempio, in Wisconsin, un cane poliziotto si è attaccato alla testa di un uomo di 70 anni; nel giugno 2017, in Minnesota, un cane poliziotto ha strappato via almeno un terzo del cuoio capelluto di un senzatetto che dormiva sotto un albero. In Indiana, lo scorso maggio, un cane poliziotto ha morso il collo di un uomo per 30 secondi, lacerandogli la trachea.
Casi limite che però danno la misura del perché la questione dei cani poliziotto, negli Stati Uniti, sia da tempo al centro di accese discussioni. Nessuno ce l’ha con i cani, ovvio. Ma il problema è che, soprattutto nelle zone più depresse del Paese, quelle nelle quali il razzismo è più forte e le forze di polizia meno attrezzate e addestrate, i cani poliziotto sono stati e sono, sempre più, al centro di incidenti e di aggressioni ai danni di sospettati e fermati che, quasi sempre, non avevano fatto niente di male o quasi, e che, praticamente sempre, sono, o erano, come nel caso di Pettaway, neri.
Per questo, il sospetto, avanzato da studiosi di storia afroamericana, come Jason Williams della Montclair State University, o come Susan Hall Dotson, dell’l’Indiana Historical Society, oltre che da molti giornali che si sono occupati delle singole storie, è che, di fatto, oggi, i cani poliziotti, che pure tanti meriti hanno, vengano usati come armi. Armi che, rispetto a pistole e taser, hanno il vantaggio di fare la stessa paura, di fare persino, in alcuni casi, lo stesso danno, ma di non sollevare nessun polverone mediatico e di non comportare nessuna conseguenza legale, perché i cani non sono perseguibili per eccesso di forza o per omicidio. E neppure lo è il loro conduttore.
Negli scorsi mesi, il trust di siti indipendenti di informazione Marshall Project (una agenzia no-profit che si occupa delle falle del sistema di giustizia americano) insieme ai AL.com, IndyStar e Invisible Institute, si è dedicato a un’inchiesta monstre, durata mesi e premiata di recente con un Pulitzer, che mette a fuoco alcuni punti particolarmente nevralgici dell’uso dei cani poliziotto (detti K-9) negli USA.
Il primo, e più importante, è che non esiste, negli Stati Uniti, un database nazionale dei cani poliziotto e degli incidenti da questi provocati che vengono censiti (quando vengono censiti) solo dai locali dipartimenti di polizia e dai locali pronto soccorso. Questo significa che è quasi impossibile sapere con certezza quante ferite da morso si verificano in fase di arresto o di inseguimento di sospetti. Esistono solo stime e dati parziali. Sulla base di questi, un report del 2019 del Journal of Forensic and Legal Medicine ha calcolato che tra il 2005 e il 2013 i pronto soccorso americani abbiano medicato 32 mila e 951 morsi inferti da cani poliziotto.
Il secondo aspetto su cui punta la luce l’inchiesta, è che non esiste un protocollo unico che valga in tutti gli Stati per l’addestramento né dei cani né dei conduttori. Il che significa che, come sempre del resto, non esistono cani feroci, ma solo padroni feroci. «Se il conduttore è un idiota, lo sarà anche il cane», ha detto a Marshall Project, rivelando una verità piuttosto lapalissiana, Ernie Burwell, ex addestratore di cani per l’ufficio dello sceriffo della contea di Los Angeles. La questione della quasi completa adesione della personalità dei cani a quella dei loro conduttori è nota da tempo e, alcuni anni fa, è stata al centro anche di un esperimento condotto dalla rivista scientifica Animal Cognition.
L’esperimento funzionava così: alcuni cani antidroga e antibomba venivano condotti in tre stanze diverse. In una c’era un’esca profumata di salsiccia, in una non c’era niente, e in una terza non c’era niente ma il conduttore esclamava «Ah! Qui c’è qualcosa che non va!». Quest’ultima stanza è stata quella nella quale gli animali si sono agitati di più, a dimostrare che i cani, anche quelli più abili e meglio addestrati, più di tutto vogliono compiacere il loro padrone. E se il loro padrone è un razzista, dunque, è possibile che il cane attacchi con maggiore frequenza i neri o gli ispanici.
Il terzo aspetto su cui si concentra l’inchiesta dei giornali americani è quello della incidenza della razza sulle vittime (che nella stragrande maggioranza dei casi sono afroamericani) e sulla loro effettiva pericolosità. «Molte persone morse non erano violente ed erano sospettate di reati minori, o addirittura di nessun crimine. Mentre molte agenzie di polizia affermano di usare i cani solo per catturare persone accusate di crimini violenti o quando gli agenti sono in pericolo, la nostra analisi dei morsi in tutto il Paese ha rilevato che i cani sono spesso usati in casi minori: violazioni del codice stradale, taccheggio, controlli sulla salute mentale, violazione di domicilio, o persone in fuga. I nostri rapporti hanno rilevato morsi in quasi tutti gli Stati, anche se i dati variano da città a città.
La polizia di Chicago, per esempio, ha avuto un solo incidente dal 2017 al 2019. Los Angeles, nello stesso periodo, ne ha contati circa 200», riporta Marshall Project. In questo senso, il caso più eclatante è quello della città di Indianapolis. Lì, dove ha sede uno dei più affollati dipartimenti di cani di K-9, si conta un incidente da morso di cane poliziotto ogni 5 giorni. Il che significa più di 70 all’anno. Cioè più di quelli che si contano, ogni anno, sommando le città di New York, Chicago, Filadelfia, San Antonio, Dallas, Austin, San Francisco, Fort Worth, Columbus, Seattle e Washington. Le ragioni di un’incidenza tanto alta di aggressioni da parte di cani poliziotto, in una città relativamente piccola (800 mila abitanti, delle quali il 30 per cento è nero) potrebbero avere a che fare, oltre che con la singola mentalità dei singoli poliziotti, anche con la legge locale che prescrive che chiunque fugga in macchina dalla polizia sia considerato un «criminale violento» indipendentemente dal crimine che, prima della fuga, aveva effettivamente commesso.
Così, tra i casi di “criminali” feriti dai cani del dipartimento di Indianapolis, si contano soggetti pericolosi come un uomo che aveva rubato un pacco di pile in un supermercato; un altro che è scappato da una biblioteca; un altro ancora che aveva rubato una mancia di 5 dollari dal tavolo di un ristorante e una donna che non si era fermata a un posto di blocco. Tutti reati da niente. Tutti reati i cui colpevoli, vuoi per panico, vuoi per stupidità, vuoi per istinto, sono scappati. Tutti reati commessi da neri.
Un altro caso eclatante, in questo senso, è quello della città di Baton Rouge, in Louisiana, dove risulta che, tra il 2017 e il 2019, i cani poliziotto abbiano morso 146 persone; di queste, 53 avevano 17 anni o meno. Tutte, tranne due, erano nere. Lo stesso è successo nella città di Talladega, in Alabama. In quel caso la furia di Andor, un cane K-9, tra il 2014 e il 2015 ha mandato all’ospedale nove persone, tutte di colore. Da un’inchiesta successiva sulle azioni di Andor, nata dal fatto che una delle persone morse ha fatto causa, è emerso, grazie alla testimonianza di un poliziotto, che al momento di scegliere il cane il tenente Alan Kelly aveva detto agli altri ufficiali: «Ne voglio uno che morda i neri». L’ha avuto.