L’intervento
Il falso dilemma tra l’iperilluminato scollegato e il populista ignorante
Pensare che la democrazia sia a un bivio tra questi due estremi significa avere un’idea balorda delle persone e dei lavoratori
Dopo aver parlato per anni con disinvoltura di disintermediazione, ci siamo arrivati.
Dai forconi ai no-vax, ma anche alle manifestazioni sì-tav senza bandiere, all’occultamento dei simboli di partito. Dai loghi e luoghi che aggregavano e garantivano ad aggregati no-logo o alla ricerca di nuovi simboli. I motivi sono almeno tre: la riduzione dei grandi luoghi di lavoro collettivo, la crisi dei sistemi educativi, l’affermarsi della «mediocrazia» in luogo delle élite e dei gruppi dirigenti ed un acceleratore degli effetti dei primi due elementi: il digitale.
In tutto questo penso, come dice Massimiliano Panarari, sarebbero urgenti degli Stati Generali dell’informazione, soprattutto all’indomani delle 30 telecamere a riprendere i due no-vax che volevano bloccare i treni a Napoli.
La riflessione aperta dall’editoriale di Marco Damilano non andrebbe fatta cadere. Proviamo, un po’ tutti, ad andare oltre le alzate di scudi che solitamente nel nostro Paese suscitano riflessioni di questo tipo. Un conto è discutere sulla natura della rappresentanza e se ha senso che partiti e corpi sociali e datoriali contribuiscano a dar voce o esaltare le istanze corporative minoritarie. Un altro è pensare che una democrazia compiuta possa esistere senza corpi intermedi. Partiti, sindacati, associazioni, attivisti civici, volontari accanto al loro ruolo specifico hanno il compito storico e insostituibile di dare forma e contenuto alle energie del Paese, per renderli mondi vitali. I processi in corso non sono solo italiani, non partono da oggi e hanno tantissime cause. Di fronte ad essi una cosa è certa: bisogna decidere se contrastarli o inseguirli. Questa maionese impazzita fa diventare nemica la ragionevolezza, confonde i capricci di pochi con le istanze di giustizia e dignità. Non conviene mai, perché a cavalcare la tigre poi si finisce sbranati dalla tigre stessa. E infatti la luna di miele si interrompe nel peggiore dei modi: hanno colpito tutti e posto qualche domanda, gli striscioni beceri «Conte traditore» delle ultime manifestazioni no-vax.
A fronte di una realtà sempre più complessa, si diffondono i banalizzatori, in un momento in cui la competenza andrebbe dedicata a rendere la complessità più comprensibile.
ART.39-49 DELLA COSTITUZIONE, APERTURA E CONTENDIBILITÀ
Chi riduce la crisi della rappresentanza a responsabilità personali commette un errore, ma altrettanto chi pensa di recuperare terreno attraverso la scorciatoia dell’inseguimento populista.
Guardiamo alla partecipazione politica: le mobilitazioni faticano, i circoli vivono di dibattito nazionale (non foriero di grandi passioni), sempre meno iscritti votano nei congressi dei partiti tradizionali ma anche nei movimenti populisti. Quando nei congressi (dove vengono ancora celebrati) vota meno della metà degli iscritti, possono essere considerati validi i risultati? La democrazia senza quorum non funziona.
Senza spinta dal basso (come diceva uno slogan del sindacato tedesco Dgb) la rappresentanza è un castello di sabbia che si regge sulla legittimazione dall’alto e che spinge al conformismo e a compiacere i vertici.
I meccanismi della democrazia rappresentativa (l’unica seria) necessitano da decenni di manutenzione straordinaria e senza partecipazione autentica non sono in grado di funzionare.
In tema di rappresentanza sociale il cambiamento della struttura produttiva è stato notevole ed evolverà ulteriormente. Le forme e i modelli organizzativi della rappresentanza sociale devono mutare con altrettanta rapidità. Bisognerebbe riaprire una riflessione con risposte nuove agli aspetti lasciati inapplicati degli articoli 39-49 della Costituzione. Democraticità degli Statuti, contendibilità dei gruppi dirigenti, certificazione della rappresentanza, trasparenza e certificazione della gestione delle risorse. La credibilità si misura con la riconoscibilità pubblica di criteri comuni.
IL POPULISMO RESUSCITA NEI LUOGHI PIÙ IMPENSABILI
Proprio all’indomani della conclamata crisi elettorale dei suoi cartelli politici, il populismo si sta prendendo la sua rivincita, riproducendosi per gemmazione anche nei luoghi una volta ostili e ritenuti ontologicamente più impermeabili al credo semplicistico della disintermediazione.
Un fertilizzante è la pigrizia e la difesa di bottega, perché la dialettica e il confronto con il fanatismo sono faticosi. Pensate ai no-vax, sono considerati personaggi singolari, ma perdere voti e rappresentanza non piace a nessuno. Il rischio è di dar forma a una dittatura di luoghi e istanze neanche quantitativamente significative. Ma c’è anche un’ulteriore verità.
Un vecchio adagio, che andava molto in voga in ambienti sindacali, ammonisce, riferendosi naturalmente ai lavoratori: «Se rappresenti gli ultimi, li rappresenti tutti». Ciò significa che, facendosi carico delle istanze dei più deboli, chi rappresenta i lavoratori riesce a fare sintesi ed a ricondurre ad un unico vincolo di solidarietà con «gli ultimi» anche i lavoratori «più forti» da un punto di vista reddituale, professionale e contrattuale. Questo è il principio base della Confederalità. Il rischio oggi è di confondere questo assunto con il «se rappresento il più insensato urlante rappresento tutti». In realtà si realizza un testacoda per cui si perde rappresentanza di buonsenso.
NOTAI O EDUCATORI?
Nel Paese è fortissima una sottocultura fondata non su principi, ma su sensazioni. Non si è mai combattuto lo scetticismo senza un grande lavoro di informazione e di costruzione della speranza.
Prima ancora della propria strategia bisogna ragionare sul proprio ruolo della rappresentanza. Bisogna smontare il falso mito per cui la scelta è necessariamente tra il gruppo dirigente iperilluminato ma scollegato dal mondo o la parte populista viscerale e ignorante. In entrambi i casi si ha un’idea balorda delle persone e dei lavoratori. E soprattutto è un peccato che in un momento in cui è finalmente chiaro quanto sia duro (e inutile) trasferire un’ideologia, si pensi che il ruolo educativo (in cui si cresce insieme sui valori) sia poco importante.
Proprio in una fase di transizione, di insicurezza e di sbandamento è decisivo avere agenzie educative di consapevolezza, di civismo e di democrazia. Ma proprio oggi, in una fase di cambiamento, il sindacato, i partiti, il terzo settore, il volontariato devono essere luoghi di crescita, culturale e civile. Il loro compito può tornare ad essere interpretare la complessità. Per questo servono tantissima formazione e gruppi dirigenti che sappiano stare tra le persone, ma con competenze fortissime sul piano tecnico-sindacale e un gigantesco retroterra culturale. Accettando le bufale come «opinioni diverse», rinunciamo a comprendere quando, come e in che ambito queste opinioni diventeranno senso comune.
Rappresentare non è solo fare da «notaio» di quello che ci arriva dalla base, e soprattutto non è fare da megafono a ciò che scambiamo per il popolo ma ne rappresenta un’esigua minoranza, urlante, che ripete a pappagallo.
TORNARE VIRUS DI CONSAPEVOLEZZA
Il terreno di coltura del populismo non è il sottoproletariato, come si sarebbe detto una volta, e neanche, a ben vedere, il proletariato. Non è la disperazione che nasce dalla povertà assoluta, come la chiamano gli statistici, cioè l’impossibilità di tirare avanti. Magari ci fosse un movimento che dà parola agli ultimi. Ma è il rancore che alimenta la povertà relativa, quella che risulta dal confronto con gli altri e con il passato: la sensazione di veder cadere il proprio status sociale rispetto a quello a cui si era abituati o che ci si aspettava durasse a tempo indeterminato.
Come ha detto su questo giornale Arturo Parisi, serve una democrazia fondata sui cittadini e una scelta maggioritaria tra progetti di lunga durata che possa liberarci dalla politica dei caporali di partito fatta di posizionamenti e riposizionamenti continui di nessuna credibilità.
Oggi l’urgenza vera è battere tutti i fanatismi e gli egoismi riscoprendo il valore dei legami che edifica proprio la Comunità e che non può che identificarsi con la solidarietà. Don Tonino Bello diceva: la speranza non è una specie di ripostiglio di desideri mancati. È invece un esercizio di volontà.