L’événement: la sorpresa di Venezia è un film sull’aborto clandestino

La rivelazione della Mostra è della giovane regista Audrey Diwan che ha portato in concorso il romanzo autobiografico di Annie Ernaux

La rivelazione della 78ma Mostra del Cinema di Venezia è una regista franco-libanese nata nel 1980 con un solo altro film alle spalle e un premio letterario in tasca. Si chiama Audrey Diwan e ha adattato con rigore e talento il romanzo autobiografico di Annie Ernaux, “L’événement” (L’evento, pubblicato in Italia da L’Orma), storia di un aborto praticato a 23 anni, nel 1963, quando l’interruzione di gravidanza in Francia era un reato e la parola stessa era tabù. Tanto più in provincia, dove la protagonista del film (una portentosa Anamaria Vartolomei), una ragazza di estrazione semplice, vive e prepara il concorso d’ammissione a una “Grande école” fra coetanei e coetanee non sempre molto solidali, anzi.

Il segreto del film (della sua bellezza e della sua crudezza: la scena dell’aborto è quasi insostenibile) è semplicissimo. Si tratta di accordare a ogni elemento della vicenda, visivo, narrativo, emotivo, lo stesso peso e la stessa attenzione. L’epoca dunque è ricreata con la massima precisione possibile. Corpi, luci, colori, ambienti, posture, inquadrature. Dal formato “quadrato” alla gestualità dei personaggi, tutto è perfetto. Di conseguenza anche emozioni, paure, slanci, mentalità, meschinità, dei giovani come degli adulti, risultano sempre perfettamente credibili e coerenti. Così aderenti a quell’epoca remota da essere, con paradosso solo apparente, universali.

Il resto lo fa il racconto minuzioso fino alla spietatezza della Ernaux, che all’epoca stava maturando la propria vocazione e con quella gravidanza imprevista rischiava di giocarsi tutto. Dai genitori (apparizione rapida ma luminosa di Sandrine Bonnaire) ai compagni di studio, dai medici ai professori, dai maschi quasi sempre indifferenti, cinici o inetti, alle compagne gelose, infide o spaventate, ogni personaggio, anche minimo, viene inquadrato e definito in pochi secondi con una precisione chirurgica che ricorda a tratti addirittura Kieslowski.

Anche se il centro del film resta sempre lei, Anne, la sua solitudine, la sua forza, la consapevolezza di non avere altra scelta, il coraggio con cui va per la propria strada rischiando il tutto per tutto, vendendosi anche gli amati libri e la catenina d’oro per pagarsi l’intervento clandestino. Nessuno infatti sa e tantomeno vuole aiutarla. Tutti la mettono in guardia, rischia il carcere, la morte, alla meno peggio la gogna. E intanto tornano a galla ombre e miserie di un’epoca. La repressione sessuale. L’ipocrisia. La pornografia. Il conformismo. Miserie che impallidiscono confronto a ciò che ci aspetta quando Anne cerca di procurarsi un aborto da sola, poi ricorre a una mammana che opera nella sua cucina (inaspettatamente, Anne Mouglalis) in una lunga scena terribile e definitiva dopo la quale nessuno, maschi in testa, potrà mai più dire non credevo, non sapevo.

È bello che in una Venezia sempre più attenta al successo e agli Oscar ci sia ancora spazio per film di questo rigore. È terribile constatare quanto questa epoca apparentemente così remota sia ancora vicina a noi, al nostro presente, alle nostre rimozioni, alla nostra voglia e forse al nostro bisogno di non sapere.

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