La pandemia ha peggiorato un quadro già critico. Ora tocca alla politica investire al meglio i soldi europei. Ecco tre suggerimenti

L’Italia è da molto tempo in gravissima crisi di natalità, con 9,6 milioni di minorenni, cioè il 16,2 per cento della popolazione, tre punti percentuali sotto la media europea, mentre Francia, Danimarca, Regno Unito e Paesi Bassi superano il 21 per cento di popolazione con meno di diciotto anni. In Italia, ogni cento individui tra 0 e 14 anni, vi sono 182,6 persone di età superiore ai 65. Siamo un paese ricco, che fa pochi figli. Eppure ci permettiamo un tasso di povertà assoluta minorile che è più che triplicato, passando dal 3,9 per cento del 2005 al 13,5 del 2020, da 375mila a 1,273 milioni di bambini. A questi vanno aggiunti 1,924 milioni di minori in povertà relativa, in crescita di un terzo nell’ultimo quinquennio. Siamo tra i paesi con più minori poveri d’Europa, insieme a Polonia, Grecia, Romania, Bulgaria.

 

Un bambino su tre in Italia parte in svantaggio: vive in case e quartieri molto peggiori della media, con meno servizi e opportunità, meno sport, cultura e connessione, meno ore di nido e scuola e un grave deficit di apprendimento all’inizio della vita, come attestano i dato Ocse e Invalsi su Italiano, Scienze, Matematica di base, con minor probabilità di trovare lavoro e di poterlo migliorare durante la vita, di partecipare alla nostra democrazia e più probabilità di restare ai margini e fragili, contrarre malattie, delinquere, avere dipendenze.

 

Molte evidenze mostrano che tutto ciò è purtroppo peggiorato con la pandemia. È questa la più grave crisi italiana. E una simile situazione da tempo non è accettabile, né in termini di diritti delle persone né in termini di sviluppo sostenibile. Come si fa a pensare a una crescita stabile con un terzo delle “risorse umane” che parte in situazione di esclusione multi-dimensionale?

 

Ora abbiamo un’occasione unica per iniziare a invertire la rotta. Infatti, l’entrata in scena contestuale di Pnrr e programmazione europea 2021-2027 (e del nuovo programma Ue “Child Garantee”) rende possibile avviare un’azione riparativa di sistema, un nuovo welfare dedicato ai minori, un welfare educativo che diventi politica pubblica nazionale stabile.

 

Ma perché ciò accada, davvero la politica non può più sbagliare. Ci vuole un patto trasversale, su questa materia, tra tutte le parti politiche, che duri per almeno dieci anni e assicuri che siano messe bene in campo le risorse, territorio per territorio, decidendo come farlo insieme a chi le cose le fa già e le sa fare:

 

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1. Va “fatto cantare a voce forte” il comma due dell’articolo 3 della Costituzione, rafforzando, per ognuna delle misure previste dal Pnrr il criterio di discriminazione positiva, dando di più a chi parte con meno e, perciò, riparando i danni arrecati, negli ultimi decenni, dalla cosiddetta “spesa storica” e, dall’altro, superando i tagli lineari in istruzione che, a partire dal 2007, sono stati ben più dolorosi nelle aree più fragili, lì dove non vi erano fonti supplenti (cioè Regioni capaci di spendere bene, Comuni con spesa corrente consolidata, fondazioni bancarie attente al territorio, reddito medio delle famiglie capace di supplire in qualche modo, imprese con vocazione di responsabilità sociale).

 

2. Va curato l’allineamento tra bilancio ordinario, finanziamenti straordinari del Pnrr, programmazione europea riunendo le disponibilità del piano di ripresa e resilienza per le strutture con le spese di gestione ordinaria dei servizi: la costruzione di nidi, mense, tempo pieno previsti devono marciare a braccetto con la creazione di personale ben formato. E ciò va assicurato con un coordinamento davvero stabile tra Stato, Regioni, Comuni che è tanto più importante quanto meno le regioni si sono dimostrate capaci nella gestione della spesa corrente in istruzione e formazione professionale, educazione e nell’uso dei fondi Ue.

 

3. Sulla lotta alla dispersione scolastica e i divari di apprendimento, i soldi non vanno più dati a pioggia (come in passato) bensì assegnati ad alleanze territoriali stabili tra scuola e terzo settore, creando un “tempo pieno territoriale” dedicato a motivare e recuperare chi sta indietro, d’accordo con le famiglie e i ragazzi stessi, sull’esempio dei migliori partenariati locali oggi al lavoro. Soprattutto, va data forza alle comunità educanti. Perciò va sostenuta la sinergia tra Comuni, scuole e terzo settore rafforzando i patti territoriali già in campo, sulla base dell’art. 118 della Costituzione. Non si parte da zero: vanno consolidati ed estesi i modelli che già dimostrano buoni risultati, in particolare i 400 cantieri educativi con 7.200 organizzazioni al lavoro, promossi dal Fondo nazionale di contrasto della povertà educativa minorile. Che, ben documentati e valutati, mostrano la possibilità di uno sviluppo educativo locale integrato, da zero a 18 anni, nelle aree critiche del Paese, favorendo così la costituzione di vere e proprie zone di educazione prioritaria, lì dove i dati ci dicono che è necessario gestirle con alleanze.

 

Marco Rossi Doria è membro del Forum Disuguaglianze e Diversità, insegnante in pensione e presidente dell’Impresa sociale Con i Bambini

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