La voce era quella di sempre e, da lontano, anche il volto sembrava la stessa maschera di ghiaccio. Ma quando le telecamere hanno stretto l’obiettivo su Vladimir Putin, al centro dei quattro nuovi governatori, per un attimo la diretta è sembrata sospesa. Uno sguardo carico di sfida, un sorriso d’odio che dagli occhi alle labbra semichiuse si è trasmesso dietro lo schermo. Contemporaneamente, a Kramatorsk, capoluogo del Donetsk ucraino e obiettivo primario dell’invasione russa, iniziavano a cadere le prime gocce di quella che di lì a poco si sarebbe trasformata nell’ennesima pioggia torrenziale. Come molti corrispondenti, anch’io il 30 settembre mi sono fermato in un luogo con una connessione Internet sufficiente per assistere alla cerimonia in cui il presidente Putin avrebbe proclamato l’annessione alla Federazione russa dei quattro territori separatisti e occupati d’Ucraina.
Sul palco di Mosca si muovevano degli uomini dall’aria un po’ incredula, impacciati nei vestiti eleganti. Ma il capo li ha ridestati stringendoli a sé e raccogliendo le mani di tutti ha iniziato a urlare «Russia, Russia» come si fa nell’hockey, sport di cui è giocatore e appassionato. Tutta la sala, dai ministri agli oligarchi, dai militari alle signore con le pettinature cotonate ha scandito quel coro congiungendosi idealmente con il suo leader in quel momento storico. Le telecamere l’hanno inquadrato di nuovo e lo sguardo di prima è diventato più chiaro: il lupo messo alle strette ha ringhiato più forte, il sorriso si è allargato e i suoi occhi piccoli si sono illuminati di una luce strana e terribile: sembrava che chiedessero al mondo «E adesso cosa farete?».
Stando alle parole pronunciate poco prima e secondo la costituzione russa, modificata proprio dallo stesso Putin, i quattro territori annessi «ora sono parte della Russia e lo saranno per sempre». Servirebbe una nuova maggioranza assoluta in Parlamento in grado di cambiare nuovamente la costituzione per sciogliere questo vincolo. Uno scenario altamente improbabile, se non utopistico, almeno per il momento. E quindi «il nuovo ordine mondiale non più basato sul dollaro e sull’egemonia americana» Vladimir Putin ha voluto inaugurarlo così, con una festa a corte, nel Cremlino che ricorda sempre più una versione oscura della Versailles di Luigi XIV, e una in piazza di fronte al suo popolo.
A quel punto a Kramatorsk il diluvio era scoppiato e, nonostante i tuoni, ogni tanto si riusciva comunque a distinguere i boati dei colpi d’artiglieria. Su Internet si sono moltiplicate le teorie su quale sarebbe stata la risposta ucraina, soprattutto in virtù del fatto che un attacco ai nuovi territori annessi dalla Russia, che in realtà sono territori ucraini secondo tutto il resto del mondo (tranne la Corea del Nord e qualche astenuto, come la Cina), avrebbe potuto comportare una reazione spropositata di Mosca.
L’aveva detto, tra i tanti, anche l’ex presidente russo e ora vice-capo del Consiglio di sicurezza nazionale, Dmitry Medvedev: «Le armi nucleari strategiche della Russia saranno utilizzate a Kiev e Leopoli in caso di attacco ai territori annessi», aggiungendo, inoltre, che in quel caso «Zelensky sarà un obiettivo legittimo per la Russia».
Il giorno seguente, il 1° ottobre, in Russia si festeggia la giornata nazionale dell’esercito. Una ricorrenza particolarmente significativa quest’anno dato il protagonismo delle forze armate negli ultimi mesi. E tuttavia, la festa dei generali russi è stata guastata dalla più importante vittoria ucraina dall’inizio della guerra, ovvero la riconquista di Lyman. «Le nostre truppe si sono ritirate da Lyman», ha fatto sapere il ministero della Difesa russo, retto dal sempre più criticato Sergei Shoigu. Quanto sarà costato scrivere queste poche parole e doverle presentare a una classe politica ancora sotto i postumi del rito del giorno prima e a un’opinione pubblica illusa sull’invincibilità del proprio esercito non è difficile immaginarlo.
Anche Ramzan Kadyrov, il leader ceceno, si è espresso sulla ritirata da Lyman criticando aspramente i comandanti russi. Sul suo canale Telegram, Kadyrov ha lanciato un’invettiva contro Alexander Zhuravlev, il comandante del Distretto militare occidentale russo, reo di essere al suo posto solo grazie al «nepotismo» che dilaga nell’esercito di Mosca. L’appello non è caduto nel vuoto e a inizio settimana il presidente Putin ha sostituito Zhuravlev con il tenente generale Roman Berdnikov. Il ceceno aveva inoltre esortato il Cremlino a «prendere misure più drastiche« come «l’uso di armi nucleari tattiche». Anche perché, secondo la teoria di Mosca, si tratta del primo dei «nuovi territori russi» che gli ucraini riconquistano e quindi, tecnicamente, sottraggono alla Federazione russa. Tuttavia, la liberazione di Lyman indica che Kiev è disposta a proseguire la guerra nonostante le minacce del nemico.
A tale proposito è utile analizzare le ultime mosse sul campo per comprendere il perché dei successi fulminei della controffensiva ucraina. Secondo diversi analisti e per ammissione di alcune personalità vicine a Zelensky, come Mykola Bielieskov, ricercatore dell’Istituto nazionale di studi strategici, gli ucraini hanno trascorso settimane ad analizzare le linee di difesa russe e prima di lanciare l’attacco sono riusciti a identificare quasi esattamente dove la tenuta del fronte fosse più precaria. In estrema sintesi, in molti punti gli sbarramenti degli invasori erano costituiti da una sola linea, dipendente in tutto e per tutto da alcuni centri logistici. Kupyansk, ad esempio, era uno di questi. Quando i fanti sono riusciti a sfondare all’altezza di Balakliia, l’obiettivo seguente era Izyum. Tuttavia, l’artiglieria ha iniziato a bersagliare Kupyansk. Perché? Tutta la logistica verso Izyum passava da Kupyansk, i rifornimenti di cibo, carburante, munizioni, quasi tutto ciò di cui un esercito ha bisogno. L’artiglieria ha colpito senza sosta e poi le truppe di terra hanno occupato la città. Una volta presa Kupyansk, i russi sono stati praticamente costretti a lasciare Izyum.
L’obiettivo seguente era Lyman. Ma, ancora una volta, gli ucraini non si sono diretti direttamente verso la cittadina, rischiando di perdere una gran quantità di uomini negli scontri frontali. In questo caso il centro logistico che garantiva gli approvvigionamenti russi era a Svatove, nelle retrovie russe. Allora gli artiglieri di Kiev hanno iniziato a bombardare Svatove con Himars e Mlrs. Stando ad alcune rilevazioni satellitari, in circa 72 ore gli ucraini sono stati in grado di colpire almeno 5 obiettivi strategici diversi a Svatove, tra i quali il centro di comando del 144° reggimento di Mosca. Nel frattempo, la fanteria ha iniziato ad accerchiare Lyman villaggio dopo villaggio, senza fretta ma costantemente. In ultima analisi: Lyman è diventata indifendibile per i russi senza che gli ucraini portassero un solo attacco diretto alla cittadina e, di conseguenza, senza spreco di soldati. Un militare lo capisce quando lo stato maggiore si preoccupa dell’incolumità delle truppe e gli ucraini devono senz’altro essersi sentiti protetti. Con ogni evidenza, i fanti russi si sono sentiti abbandonati, se non apertamente sacrificati.
Ora, è plausibile pensare che gli ucraini si indirizzeranno verso Kreminna. La sua conquista permetterebbe di interrompere la linea ferroviaria che arriva a Svatove e, in questo modo, si taglierebbero i rifornimenti ai reparti di Mosca di stanza sul fiume Oskil. La caduta di Svatove avrebbe un effetto a catena su tutta l’area e permetterebbe, in teoria, di orientare tutti gli sforzi verso il quadrante di Rubizhne-Lysychansk-Severodonetsk. Un successo ucraino in quest’area sarebbe la vera débâcle per Mosca.
I soldati di Kiev continuano a dimostrare evidenti progressi nella preparazione, mentre dall’altro lato i nuovi coscritti russi vengono e verranno spediti al fronte con una o due settimane d’addestramento sulle spalle e, a quanto sembra, il morale sotto gli anfibi. Tuttavia, molto probabilmente a breve l’avanzata ucraina rallenterà e l’arrivo di un numero ingente di soldati russi cambierà di nuovo gli equilibri.
Purtroppo, questo breve e non esaustivo resoconto dal campo si chiude con un tetro interrogativo che ci riporta al ghigno del potere. Per quanto ancora Vladimir Putin sopporterà di essere con le spalle al muro sul campo da gioco che egli stesso ha scelto per provare al mondo la sua potenza? Se ha senso affermare che la guerra in Ucraina è entrata in una nuova fase non è solo in virtù dei successi che sta riportando l’esercito di Kiev, ma soprattutto perché il protagonista di questa tragedia, la Russia, ha scelto di limitare ancora i possibili finali.