Per la prima volta la cantante acclamata in tutto il mondo veste i panni della protagonista dell’opera di Strauss. “Mia madre è molto malata e soffre di Alzheimer. Ho davvero conosciuto quei sentimenti che ora mi sono utili per entrare nella parte”

Petra Lang interpreta Elektra: «Ora ho la voce giusta, è arrivato il momento»

Petra Lang, una delle maggiori cantanti liriche viventi, per la prima volta nella sua lunga carriera interpreterà l’assassina di Agamennone nella straordinaria tragedia in un atto di Richard Strauss, “Elektra”, che il 18 ottobre aprirà la Stagione sinfonica dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia a Roma. «Solo adesso è arrivata la giusta voce e il tempo giusto per questo ruolo», dice. Quindi chiude gli occhi, dondolandosi appena sulla sedia.

Petra Lang, acclamata in tutto il mondo per le sue interpretazioni wagneriane e mahleriane (ha vinto due Grammy e ha lavorato con i più grandi direttori d’orchestra degli ultimi quarant’anni) è portatrice di un dono che protegge da sempre, come fosse un organo vitale: una voce scura e carnosa capace di sussurrare, di declamare, di volteggiare. Una voce in grado di dare vita a personaggi meravigliosi e spesso complessi, che lei rende indimenticabili. Ed è anche una donna simpatica, umile e terribilmente decisa.

«Sono arrivata alla mia età facendo piccoli passi ben calibrati. Perché per cantare fino alla fine del mio tempo ho dovuto combattere contro la fretta».

Ha i capelli biondi raccolti in una piccola coda, e sorride, sorride sempre, con la dolcezza di una donna serena, che ha visto realizzati i propri sogni, anche quelli che sembravano impossibili.

E anche questo sogno si compie, quindi. Cosa pensa del suo personaggio: una donna vittima e carnefice, con un destino infelice segnato, già prima della nascita, dalla vendicativa dea Afrodite.
«Esatto, una donna ingabbiata in una vita in fondo già scritta. Crudele, sì, ma anche tormentata, sofferente, piena di odio. Non bisogna dimenticare che Agamennone è uno dei più grandi assassini della mitologia greca. Un uomo violento che non solo le ha ucciso il primo marito e il figlio, ma ha sacrificato la loro figlia Ifigenia per placare le ire di Artemide. Quindi la vendetta della regina di Micene ha motivazioni fondate. Certo, l’omicidio non si giustifica. Infatti lei stessa è schiacciata dai sensi di colpa».

La colpa dell’adulterio, la colpa di aver ucciso il marito, ma anche la colpa di aver cacciato il figlio Oreste, testimone dell’omicidio del padre. Insomma, davvero un ruolo pieno di sfaccettature. Come si è preparata a una sfida del genere?
«Da un punto di vista canoro mi sono affidata a mio marito, che per fortuna è pianista e insegnante: questo mi permette di studiare dentro casa, con molta libertà. Spero che Pappano apprezzerà la mia preparazione “domestica”! Per quanto concerne l’aspetto psicologico, sono molto aiutata dalla musica. Il mio personaggio ha più o meno cinquant’anni. Oggi avere cinquant’anni vuol dire essere ancora relativamente giovani, ma nel 400 a.C. i cinquanta erano l’età del declino. Strauss ha fatto qualcosa di geniale: raccontare l’età avanzata della donna componendo arie che, nella loro costruzione melodica, ricordano l’affanno, la mancanza di respiro tipica degli anziani. Ma un altro aspetto mi ha permesso di comprendere bene Clitennestra: un’esperienza personale. Nell’Elektra la figlia vendicatrice vede la vecchia madre arrancare, sfiancata da una vita piena di dolore. La vede debole, spaventata. Tale sguardo pietoso è, per Clitennestra, un altro dolore da mandare giù. Un’umiliazione, la vergogna della dipendenza, che la porterà a sviluppare sentimenti competitivi e astiosi. Queste emozioni, fino a prima della pandemia, non le avrei capite così a fondo. Invece, purtroppo, mia mamma, ultraottantenne, è molto malata e soffre di Alzheimer. Durante la reclusione mi sono occupata di lei e non è stato facile per nessuna delle due… Ho davvero conosciuto quei sentimenti che ora mi sono utili per entrare nella parte».

Suo padre non l’ha mai incoraggiata nella sua passione. Ma il destino ha deciso per lei.
«Sì, incredibile fortuna. Mio padre non era assolutamente convinto che io potessi fare la cantante lirica. Conosceva molto bene l’ambiente perché lavorava come tecnico all’Alter Oper di Francoforte e quindi gli pareva impossibile che io, la sua dolce piccola figlia, fossi in grado di affrontare un mondo tanto combattivo e faticoso. Quando venne per la prima volta a sentirmi sul palco rimase sconvolto. Mi disse che non era riuscito a ritrovare la sua bambina. Che ero irriconoscibile. Poi, con il tempo e dopo tanto scetticismo, ha accettato la cosa, e credo anche che ne fosse molto fiero. Vero è che se il merito non è suo non è neanche solo mio. All’epoca studiavo violino per diventare insegnante e avrei dovuto scegliere altre due materie complementari. Optai per la viola e il pianoforte. La segretaria commise un errore. Mi iscrisse al corso di canto. Io, che amavo cantare più di ogni altra cosa, ne approfittai e ne rimasi catturata per sempre. Quella svista ha aperto la porta al mio sogno più grande».

Come ha fatto a proteggere così bene la sua voce? Una voce che ha affrontato vari registri, dal contralto, al mezzosoprano, al soprano. Com’è possibile avere una tale estensione? Lei ha note medie eccezionali, ma anche acuti sorprendenti. Come le note basse, sostenute senza sforzo.
«Altra mia fortuna: gli insegnanti. Ho studiato con maestri straordinari: Gertie Charleut, Ingrid Bjoner, Astrid Varnay, Angelo Forese. Tutti erano d’accordo sul fatto che avrei dovuto cantare i ruoli giusti nel tempo giusto, cercando di non andare oltre i miei limiti. Mi hanno insegnato la pazienza, la prudenza, atteggiamenti che mi hanno aiutato a conservare la voce. Angelo Forese, nonostante la potenza vocale, evitava ruoli troppo impegnativi».

Negli anni Sessanta, quando andava di moda un canto lirico poderoso, era davvero strano.
«Strano per chi pensa solo al successo immediato. Ma lui fu lungimirante. Scelse sempre ruoli di minore impatto perché la sua voce doveva mantenere la sua famiglia il più a lungo possibile. E così è stato. Io infatti consiglierei, a chi vuole intraprendere questa carriera, di non avere fretta. Di fare esperienza con vari generi musicali come la canzone, i Lieder, gli oratori. Variare mantiene flessibile la voce e allo stesso tempo si rischia meno di stancarla. Bisogna stare comodi».

E lei, con chi sta davvero comoda?
«Con Mahler. Ecco, Mahler è il mio riposo, il nutrimento della mia anima. Mahler è curativo: un balsamo».

Dove, se non sbaglio, canta da mezzo soprano, come con Bach e Beethoven. E poi, nel 2012, ci propone ruoli da soprano drammatico. Insisto, mi spieghi il trucco.
«Nessun trucco. Le note alte del mezzosoprano sono uguali alle note medio basse del soprano drammatico. Gli acuti li ho sempre avuti, ma ho deciso di permettermeli solo quando mi sono sentita pronta, quando l’età me lo ha concesso. Poi, arrivata la menopausa, ecco un altro cambiamento: si perdono gli acuti e si cambia repertorio. Ripeto, la cosa fondamentale è seguire le proprie possibilità, senza forzare mai. Altra cosa fondamentale: lo stile di vita. Io do molta importanza anche all’alimentazione e a mantenere reattivi i muscoli del mio corpo. Anni fa, da ragazza, ho avuto problemi di allergia da antibiotici. Ero sempre stanca. Ho cominciato così a seguire la medical therapy, che ricorre a trattamenti fisioterapici. Da allora non ho più smesso».

Ha passato la vita a prendersi cura del suo dono. Cos’altro le piace fare?
«Amo molto insegnare ed essere di supporto ad altre cantanti. E mi piace occuparmi del mio giardino. Ora che non sono più così giovane finalmente potrò affrontare ruoli sempre meno ardui e proverò a occuparmi di altro, se ci riuscirò. Sono anche stanca di viaggiare continuamente».

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