Non si poteva dire “membro” del parlamento, nell’Italietta armata di forbici censorie agli albori del servizio pubblico e di certo non era intesa come colorito intercalare. E quando Cesare Zavattini nel ‘76 disse la parola “cazzo” in diretta radiofonica causò un brivido da cui la dirigenza Rai si riprese a fatica. Perché la prima parolaccia non si scorda mai. Da allora la manica si è allargata parecchio e l’uso comune del turpiloquio in tv è diventato una pratica ai limiti della noia. Negli anni Duemila uno studio calcolava che andasse in onda una parolaccia ogni 21 minuti e visto l’andazzo difficile immaginare che la statistica si sia alleggerita. Anzi.
Portatori di linguaggi disinvolti, che fanno tanto giovane, ormai se ne trovano in ogni dove, illusi che l’aria scanzonata di chi parla alla telecamera come se fosse nel tinello avvicini lo spettatore. Così al netto dei tristi scontri via talk show dei soliti noti, che prima di venire alle mani aprono le ugole lasciando uscire qualsiasi cosa, l’abitudine all’insulto facilone e all’intercalare volgare vengono usati anche nei paludati programmi di prima serata.
A volte è una caratteristica simpatica. Altre invece, al di là di qualunque moralismo stantio, diventa solo una povertà di espressione che cerca la via d’uscita più facile.
L’ultimo caso è quello di Iva Zanicchi, cantante nota per la sua intonazione ormai tanto quanto per la sua facilità nel lasciarsi andare, quasi fosse un vezzo dato dalla maturità. Le sue esternazioni infelici nei confronti di Selvaggia Lucarelli a “Ballando” (“Tr**oia, ha detto ripetutamente come ormai sanno anche i sassi) ma anche quel ca**zo sciorinato neanche fosse un tic, in giro per ogni programma o seduta sul divano di Mara Venier, cancellano come un colpo di spugna la necessità dell’illusione, del doppio senso che dice e non dice ma muove il cervello di chi lo scova e soprattutto di chi lo riceve.
L’eufemismo non è da tutti e richiede un duro lavoro di arguzia e ironia, costa fatica e porta ricchezza, anche se si parla appunto di "membro”.
Come fece Benigni nel Fantastico del 1991 davanti alla radiosa e sconcertata risata di Raffaella Carrà: pistolino, pipino, randello, banana e così via. Insomma, il visconte di Valvert per offendere Cyrano de Bergerac disse solo che aveva un grande naso. Ma la lezione che ne ricevette avrebbe dovuto insegnare qualcosa.