Analisi
Nasce il governo di Giorgia Meloni. Cibo, mare e famiglia, titoli squillanti per ministri grigi
Scelte autarchiche e sovraniste. Una lista che è specchio fedele del bilancino elettorale: 11 ministri a Fratelli d'Italia, 5 alla Lega, 5 a Forza Italia. Il Manuale Cencelli è salvo (almeno lui)
Un governo in cui contano più i nomi dei ministeri che la personalità dei ministri. Sovranità alimentare. Natalità. Mare e sud. Scelte squillanti, sovraniste, autarchiche. Scelte meloniane. Assai più visibili, almeno a primo impatto, dei nomi dei ministri, più grigi. Un governo nel quale la borsa è in mano alla Lega, che ha i due ministeri più pesanti (Economia e Infrastrutture), ma dove l'identità - e anche un'altra buona quota di denari - è in mano proprio a Fratelli d'Italia.
«Questa volta il tempo è stato breve: è stato possibile per risultato delle elezioni. E necessario per la situazione internazionale», ha detto Sergio Mattarella, il Capo dello Stato, concludendo le consultazioni. Un'ora e mezza chiuso con Giorgia Meloni a limare la lista. Solo loro due, senza gli alleati troppo ingombranti. Qualche rimaneggiamento, niente di stravolgente. Sotto la casella "nonostante tutto" vengono confermati, fra gli altri, Antonio Tajani agli Esteri, il prefetto Matteo Piantedosi all’Interno, Carlo Nordio alla Giustizia.
La lista dei ministri del governo, che in omaggio alla rapidità giurerà già sabato alle 10, è lo specchio fedele del bilancino elettorale. 11 ministri a Fratelli d'Italia, 5 alla Lega, 5 a Forza Italia. Ventiquattro nomi che rispecchiano i risultati elettorali, dove il partito di Giorgia Meloni ha preso più del doppio della somma dei due alleati. Un manuale Cencelli rispettato alla lettera, da questo punto di vista. C'è, per dire, un posto per Roberto Calderoli, che ha rinunciato alla seconda carica dello stato e tornerà a fare il ministro delle riforme. Tutti i fedelissimi della premier presenti, tranne Giovanbattista Fazzolari che si cancella dai social.
Di Fratelli d'Italia sono le caselle più identitarie. All'agricoltura e sovranità alimentare c'è Francesco Lollobrigida, uno dei due bracci destri di Meloni sin dai tempi della presidenza di Azione giovani, sin qui capigruppo alla Camera, anche nella scorsa legislatura, organizzatore e ordinatore, marito di Arianna Meloni e per questo detto il cognato. La ex radicale, poi radicalmente conservatrice soprattutto in tema di diritti civili e diritti delle donne, Eugenia Roccella, è ministra della Famiglia, della natalità e delle pari opportunità, una scelta precisa che segna il passo dell'intero governo su questo fronte.
Ministro del mare e del sud è Sebastiano Musumeci, ex governatore della Sicilia, protagonista in questi mesi di complesse polemiche circa la sua riconferma alla guida della regione: anche qui un segno preciso che Meloni ha voluto dare, anche a equilibrare l'asse nordista del governo, dove la lega ha in mano almeno due caselle fondamentali, come le Infrastrutture, che sono andate a Matteo Salvini e, più di tutte, il Ministero dell'Economia, di cui da oggi è titolare Giancarlo Giorgetti. Al Mise, che adesso però si chiamerà Ministero delle imprese e del Made in Italy, c'è Adolfo Urso, presidente della fondazione Farefuturo, già viceministro alle attività produttive con Berlusconi, carica da quale si dimise con la scissione dal Pdl nel 2010, nell'ultima legislatura presidente del Copasir e uno dei garanti dell'allineamento atlantico di Fratelli d'Italia. L'altra casella su cui ballava Urso, quella della Difesa, va invece a Guido Crosetto, unico insieme a Fitto "di nuovo conio" - cioè non ex Msi-An - tra i fedelissimi di Meloni.
Agli Affari europei, Coesione territorale e Pnrr c'è Raffaele Fitto. Già presidente della Regione Puglia nei primi anni Duemila, è stato ministro alle politiche comunitarie nello stesso governo Berlusconi in cui Giorgia Meloni era ministra della Gioventù. Finito fuori dai giochi dopo la dissoluzione del Pdl, si è reinventato come stratega di Fratelli d'Italia sul fronte dei rapporti internazionali, collocando per tempo Fratelli d'Italia sui binari del conservatorismo europeo. Gestirà la delega a sport e giovani il manager Andrea Abodi, presidente dell'Istituto per il credito sportivo, il nome che Meloni avrebbe voluto candidare al comune di Roma nel 2021 (rifiutò per ragioni di salute).
Spunta all'ultimo Ciriani, capogruppo del Senato, che avrà la delega ai rapporti col parlamento.
Alla Giustizia c'è Carlo Nordio, magistrato, votato da FdI come candidato di bandiera alla presidenza della repubblica, eletto deputato con i Fratelli per la prima volta il 13 ottobre, da deputato: su di lui si è consumato lo scontro più aspro tra Meloni e Berlusconi, dopo quello attorno al nome di Licia Ronzulli. Berlusconi ha cercato in ogni modo di mettere al suo posto Maria Elisabetta Alberti Casellati, già presidente del senato, arrivando persino ad assicurare ai giornalisti che «su di lei l'accordo è chiuso»: alla fine comunque la Casellati al governo c'è, nella casella delle Riforme.
Antonio Tajani conquista il posto di ministro degli Esteri messo in forse dagli spericolati audio del Cavaliere. Tra gli azzurri spunta all'ultimo, alla Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo, manager, parlamentare di Forza Italia, fratello del più famoso Alberto il medico di Berlusconi. Il ministero della transizione ecologica viene spacchettato e Gilberto Pichetto Fratin, già vice ministro dello Sviluppo Economico con Draghi diventerà titolare dell’Ambiente e della sicurezza energetica.
L'università va in mano ad Anna Maria Bernini, già capogruppo di Forza Italia al Senato e, prima, ministra delle politiche europee, senatrice di An e del Pdl, fondatrice a suo tempo della fondazione Farefuturo, con Adolfo Urso.
Di rilievo il ruolo del magistrato Alfredo Mantovano, che sarà sottosegretario alla presidenza: già parlamentare, più volte, di alleanza nazionale, era stato sottosegretario agli interni già con Scajola e Pisanu.
Alla Cultura, dopo un lungo tira e molla per inserirvi Letizia Moratti - che alla fine ha preferito la corsa per al conquista della regione Lombardia - ci va Gennaro Sangiuliano, direttore del Tg2, il più abile di tutti a sfidare il mutare dei tempi. Tatarelliano e vicino all'area La Russa-Gasparri nei primi anni duemila, fu finiano sfegatato fino al 2010, vice di Minzolini al Tg1, restando poi con Forza Italia (e al Tg1) dopo la scissione. Lo ritroviamo sovranista leghista nel 2017, quindi al Tg2 ai tempi del governo gialloverde, poi draghiano con Draghi, fino all'incarico di oggi. E proprio da qui, dal mancato ingresso di Moratti al governo, comincerà uno dei prossimi litigi della maggioranza.