Grandi coop fanno incetta di titoli terrieri, mentre esponenti dei clan fanno capolino tra le valli del Gran Sasso. Mentre sul territorio si vive un’escalation di atti intimidatori ad agricoltori locali. L’Espresso ha letto alcune informative della Dia che collegano grandi proprietari ad esponenti della Camorra e della mafia del Gargano

La strada che collega il Gran Sasso a Campo Imperatore è deserta. Il silenzio è rotto solo dal rumore degli zoccoli di una piccola mandria di cavalli agricoli da tiro che sembrano andare in giro selvaggi e liberi tra le valli di questo pezzo d’Abruzzo. Ma nonostante lo sguardo non incroci nessun’altra anima viva, in questo giorno di ottobre ci si sente osservati. Poco dopo una jeep grigia passa lenta: «Saranno foggiani, qui siamo nel loro territorio», dice Donato Di Marco, dirigente della Confederazione italiana agricoltori che conosce palmo a palmo ogni spicchio di questa parte di Appennino. I foggiani? E che ci fanno qui? E perché questo controllo?

 

Da tempo qualcosa di strano si sta muovendo in queste valli, tra volti scuri e sconosciute società che fanno incetta dei terreni privati e la fanno da padrone nell’assegnazione di appezzamenti pubblici destinati al pascolo. Tutti attratti da un fiume di denaro che arriva qui dall’Europa per sostenere agricoltori e agricoltura: una cifra intorno ai 150 milioni di euro all’anno. Soldi che dovrebbero creare ricchezza sul territorio, ma che invece svaniscono nel nulla, preda di speculatori del Nord che piombano nei piccoli comuni abruzzesi con Mercedes e valigie di denaro per affittare i terreni a prezzi che nessun agricoltore locale può sostenere, e anche di personaggi in odor di mafia che fanno capolino in queste contrade arrivati dalla Sicilia, dalla Calabria, dalla Campania e dalla Puglia.

Animali al pascolo nei laghetti di Campo Imperatore: un giovane di un comune della zona qualche mese fa aveva acquistato un furgoncino per vendere panini ai turisti ma è stato invitato da tre persone con accento pugliese ad andare altrove. La zona è sotto il controllo di alcuni foggiani arrivati dal Gargano

In queste valli non si dorme più tranquilli come una volta. La tensione sta salendo, come raccontano alcuni fatti di cronaca avvenuti di recente: mucche scaricate di frodo e abbandonate, allevatori che si son trovati un giorno quaranta bovini squartati oppure mezzi incendiati, tubi dell’acqua tagliati, ruote dei trattori bucate. E incendi, qui e là, come a Campo Imperatore: un hotel nuovo di zecca andato distrutto, un rifugio ridotto in cenere. Pressioni costanti: un ragazzo di un paesino della zona che aveva appena comprato un furgoncino per fare panini ai turisti di passaggio, è stato avvicinato da alcune persone con accento pugliese: «Qui non puoi lavorare». E il sogno del ragazzo si è così spento ancora prima di iniziare. A Campo di Giove invece un giovane agricoltore ha segnalato ai carabinieri di essere stato avvicinato da tre persone originarie del Gargano che volevano la sua azienda agricola ereditata dal padre allevatore. Al primo rifiuto ha ricevuto minacce: lui le ha solo comunicate alle forze dell’ordine ma senza sporgere denuncia. Perché in queste valli adesso c’è paura. Il denaro garantito dalla politica agricola comunitaria (Pac), al quale si aggiungono i contributi per l’allevamento di bovini e ovini, ha attirato l’attenzione di chi vuole incassare questi fondi senza tanti sforzi per portare poi i soldi altrove e far restare qui finti allevamenti e aziende che non producono nulla.

Assunta Valente che ha pascoli tra il Lazio e l’Abruzzo: ha denunciato l’uccisione di pecore e il furto di capre

Cooperative, intrecciate tra loro e con alcuni soggetti che ricorrono poi nelle varie aziende, da qualche anno stanno prendendo tutti i titoli di proprietà agricoli, da privati che non riescono a resistere a questo mercato ma anche attraverso le aste pubbliche dei Comuni: qui piccoli enti con poche centinaia di abitanti, come Lucoli, possono mettere a bando usi civici per 3 mila ettari. Ogni ettaro è arrivato ad avere un valore di contributi ricevuti solo per il sostentamento agricolo pari a 200 euro, ai quali occorre aggiungere altri contributi, come quello per bovino che può valere anche 240 euro a capo. Lina Calandra, docente di geografia dell’Università de L’Aquila, da diversi anni sta conducendo una dettagliata ricerca su quello che sta avvenendo nei pascoli d’Abruzzo. Seduta nel suo ufficio con vista sui monti aquilani racconta: «L’Italia, diversamente da quanto avviene in altri Paesi europei, ha scelto di applicare il sistema dei “titoli” considerando l’intero territorio nazionale come un’unica regione: ciò significa che per il pagamento di un titolo può essere ammesso qualsiasi terreno. Per un allevatore che ha qualche titolo dal valore di circa un centinaio di euro, è impossibile reggere il confronto nelle aste pubbliche per la concessione dei pascoli con chi ha molti più titoli e dal valore di gran lunga più alto: cioè le grandi cooperative. Il risultato è che recentemente da noi il prezzo di affitto di un terreno da pascolo è passato da 10 euro all’ettaro a 200. Stiamo così assistendo al paradosso per cui i contributi europei, invece di integrare il reddito di chi produce e vive con il pascolo e, quindi, di chi garantisce un prezioso lavoro di manutenzione del territorio e delle sue caratteristiche ambientali e paesaggistiche, non solo finiscono altrove ma concorrono a desertificare l’allevamento montano. Mentre proliferano allevamenti fantasma di società agricole solo sulla carta fatte da banchieri, commercialisti, avvocati, notai».

La ruspa dell’allevatore Dino Rossi, bruciata il 7 marzo 2022: uno dei due atti intimidatori ricevuti e denunciati ai carabinieri

Le conseguenze nel territorio sono drammatiche, come spiega Nunzio Marcelli, pastore di Anversa degli Abruzzi, presidente di Appia, la rete della pastorizia italiana: «Assistiamo al fenomeno dell’accaparramento dei terreni, della chiusura delle aziende oneste e dell'impossibilità per i giovani di restare in questa terra: stiamo creando un deserto. E poi stiamo assistendo ad altri fenomeni strani frutto di speculazione: ad esempio quella che io chiamo “somarizzazione”. Dalle nostre parti stanno crescendo gli allevamenti, anche fasulli, di somari: sempre per il meccanismo perverso dei contributi, che danno lo stesso aiuto a chi alleva una mucca o un asino, nonostante i costi molto differenti tra le due tipologie, visto che è molto più costoso tenere una mandria di mucche. Senza generare né valore aggiunto per l’economia dell’area, né benessere per l’ecosistema ambientale».

 

In queste valli non ci sono solo somari, ma anche atti di violenza sempre più frequenti, come raccontano diversi pastori sentiti da L’Espresso: «Non si possono neanche più contare tutti gli animali che mi hanno ammazzato. L’ultima vacca l’hanno uccisa due mesi fa. L’ho trovata morta all’interno di un burrone», dice Assunta Valente, proprietaria di un’azienda agricola al confine tra Lazio e Abruzzo, che da più di tre anni subisce violenze continue, intimidazioni e furti. «Non ho capito subito che gli attacchi fossero mirati, all’inizio non ci facevo caso. Ma poi si sono fatti più frequenti e sono arrivate anche le minacce. Tubi tagliati, mi hanno squarciato le ruote del trattore, strappato i recinti dove tengo gli animali. Finché non sono iniziate delle vere esecuzioni. Mi hanno fatto di tutto, anche ammazzato i cani».

 

Per Valente gli autori sono «quelli della mafia dei pascoli perché vogliono la terra. Hanno iniziato rubando gli animali ma poi hanno capito che il modo più efficace per mettere in difficolta gli allevatori è uccidere i capi di bestiame. Non comprano la tua azienda ma ti costringono con la forza ad abbandonarla. Se a un allevatore togli i terreni in cui porta gli animali a pascolare cos’altro gli rimane?».

Ad altri hanno bruciato i mezzi. «C’è fuoco, c’è fuoco da te», hanno gridato i vicini al telefono con l’allevatore Dino Rossi una notte dello scorso gennaio. «Anche se erano solo le 22 stavo per mettermi al letto perché l’indomani mi sarei dovuto svegliare presto per lavoro», dice Rossi, proprietario di un’azienda agricola nel Comune di Ofena, provincia de L’Aquila. «Sono sceso e ho trovato la rotopressa in fiamme. Tantissimo fumo e una puzza tremenda di gomma bruciata. Dopo poco più di un mese è successo di nuovo: mi hanno incendiato la ruspa che avevo parcheggiato nella stalla».

 

Per Rossi gli atti di violenza non erano rivolti a lui ma all’azienda agricola confinante. «Hanno dato due avvertimenti alla persona sbagliata e, infatti, poi sono andati a prendersi chi cercavano veramente». Il riferimento è alla morte di un giovane allevatore di Ofena trovato impiccato a un albero dopo che, qualche mese prima, era stato ferito alla testa con una pistola ammazza buoi. «In paese tutti dicono che qualcuno l’ha indotto ad ammazzarsi. L’Abruzzo sta diventando una terra di conquista». Una terra di conquista e una terra di mafia.

 

L’Espresso ha letto in esclusiva un documento che alza il velo sui contatti tra alcuni titolari di cariche amministrative in coop che stanno facendo incetta di terreni e nomi noti alla Camorra e alla mafia del Gargano. Un documento che si basa su alcune informative della Direzione investigativa antimafia di Napoli, dei carabinieri e della guardia di finanza de L’Aquila utilizzate in parte anche dalla prefetta Cinzia Teresa Torraco che ha firmato una pesante interdittiva antimafia al Consorzio Aquilano. In queste informative gli investigatori ricostruiscono alcuni contatti tra soci di diverse coop e, a esempio, uomini «del clan dei Casalesi» e per la precisione del gruppo Schiavone. Ma anche «frequentazioni tra altre figure societarie e i Cariglia*», uno dei quali sposato con «una cugina dei fratelli Notarangelo al centro della faida del Gargano».

 

Informative finite chiaramente sul tavolo di diverse procure e che si aggiungono alle carte inviate dalla procura di Messina dopo che si era scoperto che cognomi di peso della mafia dei Nebrodi, dai Bontempo ai Galati, risultavano avere titoli di proprietà di terreni in questa fetta d’Italia, e in particolare a Barisciano, Ofena, Castel del Monte, Pettorano sul Gizio, Crognaleto, Cortino, Valle Castellana, Rocca Santa Maria, Isola del Gran Sasso e Caramanico. Tracce di indagini che stanno chiudendo il cerchio su quello che sta accadendo nelle grandi valli del Gran Sasso e nel cuore d’Abruzzo. Nell’assoluto silenzio rotto soltanto da zoccoli e jeep.

 

*In data 22 dicembre riceviamo e pubblichiamo precisazione dell’imprenditore Giovanni Antonio Cariglia.

"In riferimento all’articolo apparso su L’Espresso in data 24 ottobre 2022  nel quale sono citati i “Fratelli Cariglia”, preciso quanto segue: Sono socio della Cooperativa Campo Imperatore e Felice sui cui terreni, situati in località Assergi (AQ), svolgo ogni estate l’attività di pascolamento con i mei capi bovini (circa 150 capi); Sono figlio di Bartolomeo Cariglia ex militare della Guardia di Finanza dal 1966 al 1996; Ho un solo fratello, Simone Cariglia il quale non si occupa della stessa attività svolta dal sottoscritto, lavorando da sempre nel settore alberghiero (non i fratelli Cariglia). La mia famiglia, prima di me, ha svolto sin dal 1979 la transumanza con i propri capi, sui pascoli abruzzesi e precisamente in provincia di Chieti e nell'ultimo decennio in provincia di l'Aquila, sui terreni dell'Asbuc di Assergi, in affitto alla Cooperativa Campo Imperatore e Felice di cui sono socio; non ho mai avuto alcun “legame” con la “mafia del Gargano”; non ho mai riportato alcuna condanna per associazione mafiosa né tanto meno ho in corso processi riguardanti reati di quella natura (si allega copia del casellario giudiziale); l’articolo allude a un presunto legame dei fratelli Cariglia con la “faida del Gargano”. Sostenere ciò solo perché mio cugino è sposato con la cugina di un presunto membro del clan della mafia garganica è  assolutamente privo di logica e riscontro probatorio. Tra l’altro, non si tratterebbe nemmeno di un rapporto di parentela diretto. 

Non ho mai percepito premi comunitari (Premi Pac) poiché, nonostante le sentenze di condanna passate in giudicato che accertano la legittimità delle mie Domande di contributo, l’Agea (Agenzia per le erogazioni in Agricoltura) non ha ancora erogato alcunché a mio favore. Pertanto, come avrei mai potuto commettere truffe ai danni della Comunità Europea se non ho mai percepito alcun contributo pubblico? Colgo l’occasione di precisare che i terreni in uso civico vengono assegnati a circa 15 euro all’ettaro, mentre il canone di affitto dei terreni detenuti dalla Cooperativa Campo Imperatore e Felice va dai 60 ai 100 euro all’ettaro. Diversamente da quanto affermato nell’articolo, questa diversità di prezzo non deriva affatto da un valore più alto dei Titoli Pac posseduti dagli allevatori che provengono “da fuori”, visto che, negli anni, il valore dei Titoli Pac di tutti gli allevatori si è allineato a un valore medio”.

 

**In riferimento a quanto scritto da Giovanni Antonio Cariglia, ribadiamo che nessun riferimento alla sua persona è stato fatto, tra l’altro in quanto soggetto interno alla compagine societaria. Ma si è riportato un riferimento a collegamenti tra “altre figure societarie” e i Cariglia, ramo esterno alla compagine societaria. Nessun altro accostamento è stato fatto comunque tra Cariglia di qualsivoglia ramo familiare e gli altri fatti narrati nell’articolo. a.fras