La legislatura passa da lui. Per un paradosso più unico che raro Matteo Salvini è diventato l’epicentro dell’azione politica. Ha perso, anzi, straperso le elezioni. Ha fallito nel progetto di Lega nazionale. La vecchia guardia leghista, e parte della nuova, lo detesta pur sapendo di non avere alternative.
La Confindustria ha appena sparato a zero sui suoi cavalli di battaglia, flat tax e pensioni. Il quadro delle regioni alpine a prevalenza di governi leghisti (Lombardia, Friuli Venezia-Giulia, Veneto) non è più sostenibile per i pesi del voto del 25 settembre e il punto debole è proprio la Lombardia che vota a marzo e che Letizia Moratti vuole togliere ad Attilio Fontana, peraltro un bossiano di ferro senza simpatie per il Capitano.
E questo è quello che si vede. Sotto la superficie ci sono i 49 milioni di euro spariti, le manovre dell’hotel Metropol di Mosca, i ricatti incrociati, il filoputinismo a corrente alternata, le rinnovate spinte autonomiste destinate a cozzare con la stessa ragione sociale del partito di maggioranza relativa, Fratelli d’Italia.
Il consiglio federale della Lega del 4 ottobre dovrebbe chiarire molte cose. Ma è possibile che l’impasse continui. Sul Viminale il leader leghista non ha rinunciato a dare battaglia nonostante le perplessità di Giorgia Meloni, e ha chiesto ben quattro ministeri forti per il partito. Il problema è dove mettere lui. Salvini ha poche chance di prendersi la poltrona che era il suo vero obiettivo, il Lavoro, dopo che gli industriali hanno manifestato ostilità al programma leghista, e per il Viminale è ancora più difficile.
Niente non gli si può dare, però. Il fantasma dell’appoggio esterno leghista è sparito subito dopo essere stato evocato ma ci vuole più di un contentino al Capitano per scongiurare l’ipotesi che il nuovo governo vada sotto al primo voto segreto, questo è chiaro a tutti. Le infrastrutture, che vedono fra i candidati anche il leghista genovese Edoardo Rixi, possono essere la soluzione ideale. Il ministero di Porta Pia è sempre più carico di miliardi da spendere e consente un affaccio privilegiato sulla maggiore stazione appaltante d’Italia, il gruppo Ferrovie dello Stato.
Ma è altrettanto chiaro che è difficile presentare i ministri a Sergio Mattarella senza avere prima risolto la questione della Lombardia dove ormai sta andando in onda Casa Vianello, con dispetti continui tra Fontana e la sua vice Moratti.
Un ministero? Che noia, che barba, che barba, che noia. Il tormentone di Sandra Mondaini si applica bene ai tentativi di distogliere la numero due di palazzo Lombardia dal suo obiettivo: candidarsi alle regionali del marzo 2023 in sostituzione o addirittura contro l’altra metà del letto politico-matrimoniale. Meloni e soprattutto il suo colonnello siculo-milanese, Ignazio Larussa, sanno che quando lady Moratti si mette una cosa in testa è irremovibile. E sanno anche che la Lombardia vale molti ministeri. Su questo fronte, Salvini sa di potere contare sull’unità del partito che è diventato una realtà nazionale fra Varese e Bergamo dopo avere eliminato l’avventurismo separatista veneto.
Qualcuno dovrà cedere per garantire quanto meno un inizio senza scosse al nuovo governo. Stranamente potrebbe non essere Matteo Salvini, il più debole di tutti.