Il fondo da duecento miliardi annunciato da Berlino ha scatenato le ire dei partner europei, compresi i commissari Gentiloni e Brenton. Ma tutti gli Stati hanno la tentazione di fare da soli. Finendo per indebolirsi

Poteva sembrare così semplice: un nemico comune compatta il villaggio gallico, unito come mai prima, nonostante le personalità molto diverse e i caratteri litigiosi dei suoi abitanti. Nella sua opposizione a Putin, l'UE si è dimostrata più unita di quanto non lo sia stata per molto tempo. Ma quello che nelle ultime settimane sembrava un'eco del mondo idilliaco di Asterix e Co. non ha resistito a lungo allo shock successivo: la carenza di energia, soprattutto di gas.

 

Quando la Germania annuncia, in un colpo di scena spettacolare, la creazione di uno «scudo di protezione» per imprese e cittadini di ben 200 miliardi, i partner europei trattengono il fiato preoccupati. Una reazione poco sorprendente da parte degli Stati con meno margine finanziario spaventati all’idea che le loro imprese perdano competitività rispetto a quelle tedesche. Come giustificare il comportamento tedesco all’interno di un mercato comune con regole severe per le sovvenzioni di Stato, pensate giustamente per evitare vantaggi sproporzionati?

 

I commenti critici, anche violenti, non sono mancati. I due commissari europei Gentiloni e Breton hanno attaccato il governo tedesco senza ambiguità. Anche sui giornali, italiani come europei, c’è stata polemica. Senza dubbio la mossa tedesca è tutt’altro che un capolavoro della diplomazia e un atto mancato di coordinamento con i partner europei. Un passo falso che Olaf Scholz e il suo ministro delle finanze Christian Lindner hanno descritto come ‘malinteso’, provando ad evitare polemiche europee. La decisione quasi sorprendente di spendere 200 miliardi di euro (fino al 2024, si deve aggiungere) si spiega, almeno parzialmente, come conseguenza di una politica interna che vede scivolare la popolarità del governo – e del cancelliere - verso minimi preoccupanti prima delle elezioni regionali nella Bassa Sassonia questa domenica.

 

Ovviamente questa non può essere una scusa per non essersi messi d’accordo con i partner europei. Ma una polemica, anche se giustificabile, rimane quello che è: polemica. Guardando meglio si scopre che le critiche degli altri paesi nascondono il fatto che l’egoismo tedesco, purtroppo, ha molti fratelli. Orbán che parla della decisione tedesca usando le parole «bomba» e «cannibalismo»? Le sue trattative parallele con Putin sono in verità molto più esplosive per l’UE. E la Francia che rimprovera alla Germania di spendere in modo massiccio per privilegiare le sue ditte e cittadini? Allo stesso tempo lo Stato francese si riprende il fornitore principale EDF e blocca i prezzi dell’energia in Francia, un altro modo di spendere miliardi per gli interessi nazionali. Olaf Scholz, in visita a La Coruña mercoledì scorso, ha trovato sostegno nel collega spagnolo Pedro Sánchez che si è dimostrato un leader di grande spessore. Sanchez ha sottolineato l’importanza strategica della pipeline Midcat che potrebbe trasportare gas liquido e idrogeno per l’UE attraverso i Pirenei, se dal lato francese ci fosse volontà di realizzare i lavori.

 

E infine anche l’Italia ha investito molto (soprattutto molto presto) per ridurre i prezzi della benzina. Il modello scelto da Mario Draghi doveva essere finanziato da una tassa specifica sugli extra profitti. Nonostante questa misura non abbia ancora portato i frutti voluti poiché molte ditte si sottraggono alla tassa via ricorsi legali, ha invece ispirato l’UE nel proporre una regola simile per tutta l’Unione, regola che dovrebbe non lasciare più spazio all’elusione fiscale.

 

In altre parole, molti paesi hanno agito da soli sotto la pressione dell’opinione pubblica e dei vari tessuti economici. È comprensibile il rancore verso la Germania, grande potenza economica in mezzo a questa UE, ma non è questo che ci aiuterà ad avanzare insieme. La pandemia ci ha dimostrato che uniti siamo più efficaci. Dobbiamo dunque privilegiare tutti gli strumenti che danno forza, credibilità e peso all’UE. Quello che sembra più preoccupante dello “scudo” da 200 miliardi è il fatto che la Germania si sia opposta ad un accordo europeo sull’acquisto del gas, accordo che voleva fissare un prezzo massimo da pagare ai paesi fornitori (questo dibattito intorno al tetto sul prezzo del gas è nato, ricordiamolo, da una proposta del governo Draghi).

 

Prendersi cura del proprio paese e bloccare allo stesso tempo gli sforzi comuni europei non è una strategia coerente. C’è da sperare che il governo tedesco, come altri che si sono opposti finora, capisca che, malgrado tutta la preoccupazione per un inverno difficile, l’UE deve agire da cliente unico davanti a paesi che traggono un profitto smisurato dalla crisi attuale. Dobbiamo spendere il denaro pubblico in modo strategico, e al limite, ma solo come ultima ratio, anche fare debito comune come per il Next Generation EU.

 

È chiaro che, invece di puntare il dito gli uni contro gli altri, ognuno dovrebbe chiedersi quale contributo può fornire il proprio paese all'approvvigionamento europeo di gas e altre forme di energia. Certo, l’UE dovrà spendere molto per resistere allo shock esterno della scarsità e per superare la transizione energetica - spesa ragionevole e sostenibile se aiuta tanto le nostre imprese e i nostri cittadini quanto gli investimenti in infrastrutture comuni. Ogni euro speso che rimane nelle tasche dei cittadini e delle nostre ditte non è altro che un investimento nel nostro futuro. Ricordiamoci sempre che, malgrado tutte le differenze che ci possono essere tra i nostri paesi a livello di interessi e di culture politiche, non c’è alternativa al dialogo, alla concertazione e alla ricerca di soluzioni comuni. Questa verità vale a Parigi come a Berlino e Roma, e perfino a Budapest.